COSTA, Luigi Maria Pantaleone (Leone), marchese di Saint-Genis di Beauregard
Primogenito dei sei figli del marchese Vittorio Enrico Maurizio Giuseppe e di Elisabetta de Quinson, nacque il 19 sett. 1806 in Francia, nel castello di Marlieux, nei pressi di Bourgoin, nel Delfinato, dove il padre si era ritirato presso il cognato marchese di Murinais.
Il C. aveva per nonno Giuseppe Enrico "l'homme d'autrefois", e per zio Silvano Luigi Giuseppe Costa Di Beauregard (Beauregard, 30 sett. 1785-Torino, 20 apr. 1836), maggior generale, grande di corte e primo scudiero del re Carlo Alberto.
Trascorse, sotto il Primo Impero, una infanzia serena e studiosa nelle proprietà di famiglia di La Motte-Servolex, vicino a Chambéry, e di Beauregard, educato dal padre al culto delle tradizioni familiari, della casa di Savoia e dell'onore militare. La madre, profondamente pia, e il precettore abate Luigi Rendu, futuro vescovo d'Annecy, gli inculcarono quei principi religiosi cui restò fedele per tutta la vita. Completati gli studi nel collegio dei gesuiti di Chambéry, il 30 giugno 1827 fu ammesso come sottoluogotenente nel reggimento di cavalleria Piemonte Reale, e il 2 luglio successivo fu nominato scudiero in seconda del principe Carlo Alberto di Carignano.
La famiglia Costa godé sempre della particolare predilezione di Carlo Alberto, che era stato oggetto di attenzioni da parte del padre del C., dopo il ritorno in Piemonte durante la Restaurazione. Al di là delle relazioni formali, una vera amicizia univa Carlo Alberto al C., come attestano il tono e il contenuto della loro corrispondenza. Risalgono allo stesso periodo i legami con Camillo di Cavour, che proseguivano relazioni già strette tra le due famiglie nella precedente generazione. Il Cavour, con grandissima apertura d'animo e di cuore, confidava al C. speranze e idee politiche, come appare dalla celebre lettera dell'ottobre 1847, fondamentale per capire la genesi del suo pensiero liberale.
I suoi inizi nella carriera militare e diplomatica risalgono al febbraio 1833, durante il conflitto tra Sardegna e Reggenza di Tunisi seguito alla cattura di una feluca mercantile genovese. Il C. partecipò alla missione del generale Federico Montiglio, inviata col brigantino "Zeffiro" per sistemare la contesa, e ne scrisse una relazione. La parte avuta nella buona riuscita del negoziato gli valse la croce di cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro, la promozione a capitano e la nomina a primo scudiero del re.
Lasciato il servizio attivo ritornò in Savoia, dove sposò, il 2 maggio 1834, Marta Agostina Antonietta Adriana di Saint-Georges di Vérac (1811-1884). Le nozze gli aprirono le porte dell'alta società parigina, l'apparentarono alle maggiori famiglie dell'aristocrazia legittimista, e gli dettero occasione per frequenti soggiorni in Francia nella sua vasta proprietà di Champigny, nell'Indre-et-Loire. Divenuto capo del casato alla morte del padre nel 1836, il C. si dedicò all'educazione dei figli, pur votandosi agli interessi della Savoia.
Membro del Consiglio del debito pubblico, insieme a Camillo di Cavour fu promotore e il principale azionista della Compagnia savoiarda per la costruzione di una ferrovia con trazione a cavalli - la prima degli Stati sardi e dell'Italia - tra Chambéry ed il lago del Bourget, e per la navigazione a vapore sul Rodano. L'iniziativa, prematura sul piano tecnico e vittima d'una sfavorevole congiuntura economica, ebbe vita difficile, dal 1838 al 1843. La liquidazione si chiuse nel 1846 con una perdita di 100.000 lire per il C., che in aggiunta indennizzò del suo capitale operai e fornitori, cui scriveva: "Ce que j'ai fait, tout autre l'eût fait à ma place. E était juste que je misse aux soins de vos intérêts plus d'importance qu'aux miens propres".
Fino al 1848 si dedicò principalmente a lavori intellettuali ed alla filantropia. Trasformò il villaggio di La Motte-Servolex, dove a sue spese creò un ospedale, una farmacia e delle scuole. Conservatore del museo e della biblioteca di Chambéry, ebbe parte determinante nello sviluppo delle ricerche storiche in Savoia. Ingegno di grande e illuminata curiosità, s'interessò ai soggetti più diversi, dalla geologia all'ornitologia, per concentrarsi poi esclusivamente sulla storia. Attribuiva allo studio del passato una primaria importanza perché, a suo giudizio, nel quadro di un decentramento culturale, doveva ispirare ai suoi compatrioti il senso della identità savoiarda e rinforzarne i legami verso la loro dinastia. Per rimediare alle perdite archivistiche causate dalla Rivoluzione, accumulò una massa considerevole di documenti raccolti negli archivi locali o copiati in archivi di altri paesi, e soprattutto costituì una biblioteca liberalmente aperta agli studiosi, della quale un contemporaneo poteva dire che "il possédait la collection complète de tous les auteurs savoisiens, depuis le commencement de l'imprimerie, et des écrivains qui se sont occupés de notre pays". La biblioteca fu poi dispersa all'inizio del secolo.
Sotto la spinta del rinnovamento dell'erudizione piemontese a partire dagli anni 1840, e della pubblicazione, auspice Carlo Alberto, della collana dei Monumenta historiae patriae, nel quadro intellettuale del romanticismo che orientava le sue curiosità verso il Medioevo, il C., membro assiduo della Société royale académique de Savoie, proprio a questo periodo dedicò i suoi lavori principali - i quali segnano una data nella storiografia per l'esigenza di oggettività e di metodo critico che li ispira - dal C. stesso così definita: "Mon oeuvre serait sans mérite, si elle n'était basée sur la plus scrupuleuse impartialité. Fermer l'oreille aux sollicitations de l'amour-propre, ne jamais adopter ou rejeter sans preuves les traditions flatteuses généralement accréditées, réfuter les prétentions injustes, dévoiler les usurpations, mettre au jour, quand il pourra les découvrir, les illustrations ignorées, tel est le devoir du généalogiste consciencieux. Sa tâche est délicate, mais s'il a le courage de l'entreprendre, il doit avoir celui de la remplir sans jamais transiger avec la vérité".
La carriera politica del C. si svolse nei dodici anni che vanno dal 1848 al 1860. Partecipò alla prima guerra d'indipendenza seguendo da volontario il re Carlo Alberto sul teatro delle operazioni. Il 3 apr. 1848 era nominato senatore, e accettò senza lasciare l'esercito. Mentre si preparava l'attacco a Peschiera, apprese che il 27 apr. 1848 gli elettori del collegio di Chambéry lo avevano eletto deputato a schiacciante maggioranza contro l'avvocato Carlo Dupasquier. Per corrispondere al voto espresso dal sindaco e dal Consiglio municipale di Chambéry, autorizzato dal re, rassegnò il mandato di senatore e sedette alla Camera dei deputati.
In una Savoia in cui la rappresentanza parlamentare era caratterizzata da una preparazione politica in genere mediocre, dai limitati orizzonti, che dava la preminenza alla difesa degli interessi locali, il C. si andò affermando come il leader incontestato della Destra monarchica e cattolica. E ciò era bene espresso dalla locuzione: "A Torino, quando il marchese Costa dice "Io", la Savoia dice "Noi"". Questa posizione, affermatasi rapidamente, fece del C., sul piano nazionale, uno dei personaggi più in vista della Camera. L'autorità morale esercitata dal C. dipendeva da molti motivi: il carattere grave, perfino austero, e la lealtà imponevano rispetto anche agli avversari; la grande ricchezza e lo assoluto disinteresse lo mettevano al riparo da ambizioni materiali e intrighi ministeriali; l'apertura intellettuale dava al suo pensiero politico dimensioni incommensurabili con quelle della maggior parte dei rappresentanti della Destra. Uomo di carattere e convincimenti, tagliato all'antica, il C. basò la sua attività su principi dai quali non si separò mai. Non aveva nulla in comune con quei membri della nobiltà savoiarda che avevano conosciuto un'età dell'oro dopo la Restaurazione del 1815, col favore dei sovrani e l'accesso alle alte cariche dello Stato, e che erano ritornati al paese nel 1848 pieni di rancore contro la monarchia costituzionale e il nuovo ordine delle cose. Benché spesso descritto come un reazionario, era al contrario una specie di landlord ispirato da un conservatorismo illuminato. Il ritorno all'assolutismo gli sembrava un'utopia assurda, come la società fondata sui privilegi; le sue opinioni sulla nobiltà erano quelle di uno spirito liberale che vedeva per questa classe, nel quadro dello statuto, un privilegiato destino di devozione alla cosa pubblica. Era quanto esprimeva in un testamento morale, destinato ai figli: "La noblesse est aujourd'hui dépouillée de ses privilèges. Ils ne constituaient pas son essence. Elle ne doit pas les regretter, mais elle recevra toujours dans l'opinion publique le rang qui lui appartient, si elle sait se distinguer, non par de vaines prétentions, mais par la supériorité du mérite et de la vertu". Il suo sogno era lo sviluppo del regime costituzionale negli Stati di casa Savoia, a condizione che il cattolicesimo fosse rispettato e che si rinunciasse ad ogni ingrandimento territoriale nel resto della penisola. Atteggiamento che veniva ad essere sempre più in contrasto con l'idea nazionale italiana e che il C. definiva così alla Camera, l'8 marzo 1854: "Puisqu'on me pose en chef de parti, je crois devoir déclarer que si l'on entend par là l'homme dévoué au Roi, au culte catholique et à la Constitution, je ne récuse point ce titre... Nous voulons le respect et l'observation des lois, de la religion, de la morale. Nous voulons le maintien de l'indépendance de la justice, ce palladium des institutions sociales et de la liberté. Ces libertés, nous les voulons toutes, telles qu'elles nous ont été promises; nous les voulons sans la licence, mais aussi sans les restrictions et les entraves que leur suscite chaque jour le pouvoir exécutif". Il suo biografo, E. Burnier, scrive del C.: "Il eut, il faut en convenir, les grandes inspirations du libéralisme; mais dans l'application de ses principes, il rencontra deux obstacles: l'idée italienne et les réformes, qui lui parurent contraires à la liberté de l'Eglise".
La carriera politica del C. comprende due grandi periodi. Il primo va dallo statuto del marzo 1848 al dicembre 1849, durante le tre prime legislature subalpine. L'esordio alla Camera fu segnato da un vigoroso intervento in favore della conservazione dell'Ordine delle dame dei Sacro Cuore di Chambéry, assimilate ai gesuiti e minacciate d'espulsione (giugno-luglio 1848). Combatté vigorosamente la propaganda separatista della Sinistra savoiarda, favorevole all'annessione del ducato alla Francia della Seconda Repubblica. Al momento dell'armistizio di Vigevano fu interpellato dal principe Eugenio di Carignano, luogotenente generale del Regno, e vivamente pressato dai colleghi Dabormida e Revel l'8 ag. 1848, perché entrasse nel gabinetto Revel-Pinelli. Rifiutò perché il programma del governo prevedeva l'espulsione effettiva dei gesuiti e della dame del Sacro Cuore, decisa dalla Camera. Il 27 dic. 1848. in un intervento che fece sensazione, interpellò il governo "sur les intérêts moraux et matériels de la Savoie", concludendo che "il considérerait comme un malheur notre séparation du Piémont et notre union à la France". Rieletto il 22 gennaio del 1849, avversò la ripresa della guerra contro l'Austria. Espresse i suoi timori a Carlo Alberto in una lunga conversazione il 1° genn. 1849; ciò fu sfruttato dai suoi avversari politici come un abbandono della causa piemontese, ma gli valse il 12 gennaio una lettera del sovrano che gli esprimeva stima e fiducia. Nella discussione del testo di risposta al discorso del trono del 1849 il C. presentò un emendamento avverso al riconoscimento della Repubblica Romana da parte dello Stato sardo. L'intervento scatenò una tempesta parlamentare e Brofferio, leader della Sinistra, dichiarò: "...io sono avversario del deputato Costa di Beauregard, non senza ammirare il suo coraggio di farsi sostenitore della temporale potestà del pontefice in questa Camera... " (28 febbr. '48).
All'indomani di Novara il C. rifiutava il portafogli degli Affari Esteri nel gabinetto de Launay, per il quale egli era stato interpellato ai primi di maggio nella sua residenza di Champigny da una lettera di Vittorio Emanuele II. Il re lo nominò allora ministro plenipotenziario e inviato straordinario a Parigi il 6 maggio per sostituire Gioberti, ma la partenza del de Launay e l'arrivo agli Esteri di Massimo d'Azeglio lo fecero dimettere dal posto che aveva già accettato, persuaso che le intenzioni del nuovo governo erano incompatibili con i propri convincimenti. Il C. fu rieletto il 15 luglio 1849 ma, profondamente colpito dagli attacchi di cui era stato oggetto e deluso dall'evoluzione della politica piemontese, rassegnò dal 17 ottobre il mandato di deputato e declinò ogni candidatura alle elezioni del 9 dic. 1849.
Per quattro anni si tenne in disparte dal Parlamento dedicandosi agli affari della Savoia nel Consiglio divisionale e in quello provinciale di Chambéry, dei quali fu membro dal 1848 al 1860. Fu di nuovo eletto l'8 dic. 1853 dal collegio di Thonon, optando il 22 genn. 1854 per quello di Chambéry, e conservò il seggio nello scrutinio del 15 nov. 1857. Questo secondo periodo della sua carriera politica fu il più intenso e il più coerente, nel ruolo di leader dell'opposizione al governo Cavour. Si ripresentò a palazzo Carignano con un discorso sulle modifiche al codice penale relative allo statuto del clero, proposte da Rattazzi, nel marzo 1854. Accusato da quest'ultimo di essere l'alleato dell'Austria, rispose, scatenando gli applausi della Camera: "Pendant que M. le Garde des Sceaux proclamait que l'heure de la riscossa était arrivée, j'avais vu l'Autriche de plus près que lui sur les champs de bataille, où j'eus l'honneur de suivre volontairement Sa Majesté". Il Cavour si adoperò per ridurre la portata dell'incidente, ma l'episodio segnò invece l'inizio della rottura tra i due.
Assente da Torino, il C. non partecipò al tempestoso dibattito sulla legge sulle congregazioni religiose; alla vigilia del voto però motivò il suo rifiuto in questi termini: "je voterai contre la loi, parce qu'elle met arbitrairement hors du droit commun toute une classe de citoyens sans les juger, sans les entendre... je voterai contre cette loi parce qu'avant tout je suis catholique et qu'au dessus des prescriptions de l'Etat je mets les enseignements de l'Eglise". Il C. svilupperà a più riprese una concezione dello Stato come delega di poteri da parte della gerarchia famiglia - comune - provincia, secondo la quale appartiene a questi istituti l'esercizio di una funzione di controllo per limitare le crescenti usurpazioni degli organi centrali. Votò contro il prestito per la guerra di Crimea (febbraio 1855), ma in nome della deputazione savoiarda rese un risonante omaggio al valore delle truppe sarde nella seduta del 9 maggio 1856. Nel maggio 1856 difese, contro il progetto governativo, la costruzione della ferrovia Lione-Chambéry attraverso il tunnel dell'Epine; richiese invano la creazione di una cattedra di letteratura francese all'università di Torino (aprile 1857) e s'oppose al trasferimento dell'arsenale militare da Genova alla Spezia (luglio 1857).
Le relazioni tra il Cavour ed il C. resistettero a lungo, come attesta la loro corrispondenza, alle opposizioni di principio che li stavano separando sempre di più. Il C. conservò nei suoi attacchi parlamentari un punto di vista distaccato, e non si può condividere il giudizio di A. Omodeo che lo colloca in prima fila tra i "querimoniosi savoiardi" e ne fa "il patrono della stampa diffamatrice d'oltre il Cenisio". Si sforzò così di fare ridurre dal Cavour la portata della legge sui conventi nella sua applicazione in Savoia. Il Presidente del Consiglio, dal lato suo, si riferiva alle loro passate relazioni: "Conservez-moi votre amitié et croyez que la mienne demeurera inaltérable tant que je pourrai compter sur votre estime"; e ancora nell'ultima lettera indirizzatagli: "je ne vous parle pas comme ministre, mais comme un ancien ami qui a la plus entière confiance dans votre amitié et votre loyauté" (inizio del 1857). I loro rapporti però, deteriorati fin dal 1854, si ruppero definitivamente ai primi del luglio 1857, in occasione di un incidente causato dalle lamentele del C. contro l'intendente generale di Chambéry, Pietro Magenta, zelante esecutore della politica del governo. La separazione tra Destra savoiarda e Cavour s'accentuò poi all'indomani delle elezioni del novembre 1857, che portarono alla Camera ventidue deputati conservatori del ducato contro due democratici.
Dopo l'attentato di Orsini il C. votò la legge De Foresta (29 apr. 1858) che reprimeva i complotti contro i sovrani stranieri, ma rimproverò al Cavour di subordinare tutto alla politica italiana e combattere il papa. Ai primi d'agosto 1858 dallo statista ginevrino James Fazy fu informato del "segreto di Plombières" e della eventualità della cessione di Nizza e Savoia alla Francia. Il suo ultimo grande intervento parlamentare ebbe luogo il 9 febbr. 1859, in occasione della discussione sul prestito di 50 milioni per l'esercito. Scongiurò il governo di non impegnarsi in un conflitto con l'Austria e, per la prima volta, in un clima di forte tensione drammatica, avanzò l'ipotesi d'una unione della Savoia alla Francia: "Si, par la tèmérité et l'ingratitude du Piémont nos soldats, un jour, prennent rang dans les fortes armées de la France, comme nous, ils seront trop fiers pour exprimer un regret. Si ces prévisions, conséquences très vraisemblables de vos combinaisons italiennes, viennent à se réaliser un jour, lorsque les aigles de la France étendront leur vol redoutable sur les rochers du Mont-Cenis, ah! puissiez-vous ne regretter jamais d'avoir si mal compris l'importance de nos montagnes, si mai apprécié le coeur et le dévouement des hommes généreux qui les habitent".
L'annessione della Savoia alla Francia creò al C. un doloroso dramma di coscienza. In un ultimo incontro con Cavour, il 25 maggio 1859, si convinse che il Piemonte aveva preso in considerazione la cessione della Savoia e di Nizza. Nonostante i suoi legami familiari in Francia ed i favori di cui Napoleone III colmava il clero, egli restava profondamente attaccato alla casa di Savoia. Il 28 luglio 1859 firmava, con dodici altri deputati savoiardi, un manifesto dichiarante che gli eletti si sarebbero astenuti da ogni passo relativo ad una eventuale separazione del ducato dal Piemonte, e reclamante per la Savoia il decentramento amministrativo, la diminuizione dei carichi fiscali e militari, e una politica di sviluppo economico. Denunciato a Torino come favorevole alla Francia, protestò energicamente in questi termini: "Je dois à mon passé, avec lequel je serai toujours conséquent, de donner un démenti formel à cette imputation qui est pour moi une injure. Je connais la situation de mon pays et ses trop justes griefs, mais je resterai fidèle, avant tout et malgré tout, à mes affections dynastiques, aux traditions héréditaires que j'ai recueillies dans ma famille... Je ne puis m'associer dans aucun cas à un mouvement intérieur qui tendrait à provoquer des mouvements séparatistes, car ses manifestations seraient révolutionnaires". Mentre si sviluppava il movimento filo-francese, il C. si tenne da parte, evitando di prendere parte attiva alla propaganda annessionista. Il 18 marzo 1860, dopo lo scioglimento della Camera, in qualità di presidente del Consiglio divisionale di Chambéry firmò un indirizzo di protesta a Napoleone III ed a Vittorio Emanuele II contro ogni smembramento della Savoia settentrionale a favore della Svizzera, ma non fece parte della delegazione che portò il documento alle Tuileries e non fu neanche candidato alle elezioni parlamentari del 25 marzo 1860, all'indomani del trattato di Torino che cedeva la Savoia alla Francia.
Il senatore Armand Laity, inviato dall'imperatore in Savoia per preparare il plebiscito, il 5 apr. 1860 visitò per primo il C., e così scriveva al Thouvenel: "Vous savez que par sa fortune, par son nom, par son intelligence, il est la plus remarquable individualité du pays ... C'est un esprit éminemment distingué. Il m'a parlé de l'Empereur et de la France en homme qui les aime, et du Piémont en homme qui l'a beaucoup aimé, mais qui s'est séparé d'un gouvernement dont les tendances actuelles ne peuvent plus lui inspirer aucune sympathie et il s'est exprimé sur le compte de M. de Cavour en termes remplis d'amertume".
Dopo il plebiscito del 22-23 apr. 1860, benché fosse proprietario d'una tenuta in Piemonte, il C. optò per la nazionalità francese, così come tutti i membri della sua famiglia. Napoleone III gli offrì la nomina a senatore, che il C. rifiutò scrivendo: "Je désire que mon rôle public soit terminé. Je ne peux ni ne dois prendre place au Sénat et n'ai plus d'autre ambition que celle de finir tranquillement mes jours au milieu de ma famille et de mes études. Mais je désire que mes enfants servent la France avec honneur et dévouement. Je serai dévoué à la France, comme je l'ai été à la Maison de Savoie, mais je ne saurais accepter aujourd'hui une position brillante dans ma nouvelle patrie, sans paraître sacrifier à l'ambition le culte des souvenirs". Commendatore dell'Ordine mauriziano, fu nominato commendatore della Legion d'onore il 5 genn. 1861. Consigliere municipale di Chambéry e presidente del Consiglio generale della Savoia, la sua ultima presa di posizione politica fu, nel dicembre 1860, all'indomani dell'annessione delle Marche e dell'Umbria, un viaggio d'omaggio a Roma presso Pio IX, per portare alla S. Sede, a nome dei cattolici savoiardi, la raccolta dell'obolo di S. Pietro, senza che l'amministrazione imperiale osasse biasimare il suo gesto. Nel 1863 presiedette, a Chambéry, il Congresso scientifico di Francia.
Il C. morì nel castello di La Motte-Servolex (Savoia) il 19 sett. 1864.
Scritti: Discours pour l'ouverture de la thèse de physique, qui a eu lieu au Collège royal de Chambéry, le 11 juillet 1823, Chambéry 1823; Notice sur l'extraction du borax des volcans boueux de Monte Gerboli, près de Volterra, ibid. 1828; Matériaux historiques et documents inédits extraits des Archives de la Ville de Chambéry, in Mémoires de la Société royale acadèmique de Savoie, t. XI (1843); Familles historiques de Savoie: les seigneurs de Compey, Chambéry 1844; Rapport sur l'organisation du Collège et du Pensionnat de Chambéry, lu au Conseil de Ville, le 14 juin 1848, ibid. 1848; Projet d'un Musée historique et archéologique national, ibid. s. d.; Notes et documents sur la condition des Juifsen Savoie dans les siècles du Moyen-Age, ibid. 1851; Souvenirs du règne d'Amédée VIII, premier duc de Savoie, ibid. 1859; Recherches sur le Livre anonyme, ouvrage inédit de Samuel Guichenon, ibid. 1862; Mémoire sur la famille Costa, rédigé en 1864, ibid. 1864.
Fonti e Bibl.: Chens sur Léman (Alta Savoia), Archivio del castello di Beauregard; Atti del Parlamento subalpino. Camera dei deputati (legislature I-III, V-VI), ad Indices;C. Benso di Cavour, Discorsi parlamentari (1848-1860), II, Firenze s. d.; L. Chiala, Lettere edite ed ined. di C. Cavour, Torino 1883-1887, ad Ind.; C. Cavour, Epist., Bologna 1962-1968, ad Indices; Discours de récéption de M. Eugène Burnier [biografia del C.], in Mémoires de l'Académie impériale de Savoie, IX, 1868; P. Guichonnet, Une grande figure savoyarde du temps de l'annexion: le marquis P. C. de Beauregard (1806-1864), in Cahiers de l'amitié alpine, Grenoble 1960; N. Rodolico, Carlo Alberto, principe di Carignano, Firenze 1948, ad Ind.; Carlo Alberto negli anni di regno 1831-1843, ibid. 1936, ad Ind.;Id., Carlo Alberto negli anni di regno 1843-1849, ibid. 1943, ad Ind.;F. Salata, Carlo Alberto ined., Milano 1931, ad Ind.; A. Costa de Beauregard, La jeunesse du roi Charles-Albert, Paris 1889; Les dernières années du roi Charles-Albert, Paris 1895; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, Bari 1969-1984, ad Ind.;A. Omodeo, L'opera politica del conte di Cavour, Firenze s. d., ad Ind.; J.Trésal, L'annexion de la Savoie à la France (1848-1860), Paris 1913; C. de Maugny, Le dernier gouverneur militaire de la Savoie sous le règime sarde, Le général comte de Maugny (1789-1859), Chambéry 1921; R. Avezou, La Savoie depuis les réformes de Charles-Albert jusqu'à l'annexion à la France, Chambéry 1934; P. Guichonnet, La Savoie et le Royaume de Sardaigne, in Cahiers d'histoire, Lyon 1957; Id., Cavour et la Savoie. Lettres inéd. à Léon C. de Beauregard, in Revue de Savoie, 1959; Id., La Droite savoyarde et piémon. devant les événements de 1859, in Revue d'hist. moderne et contemp., n. s., VII (1960), pp. 81-109; Id., Da Gioberti a Massimo d'Azeglio. La Destra savoiarda e il ministero de Launay (marzo-maggio 1849), in Fert. Studi savoiardi e nizzardi. Boll. dell'Ass. oriundi savoiardi e nizzardi italiani, Torino 1960; Id., L'élite savoiarda di fronte alla cessione del 1860, in "Fert", Savoiardi e Nizzardi nel Risorgimento, Torino 1960; Id., Cavour agronomo e uomo d'affari, Milano 1961, passim;Id., Histoire de l'annexion de la Savoie a la France, Roanne 1982.