Costa d'Avorio
Diversamente che in altri Paesi africani, in C. d'A. (colonia francese dal 1893, indipendente dal 1960) il cinema non ha potuto contare su aiuti statali: i governi (fortemente autoritari) hanno sempre seguito una politica economica liberista, facendo del Paese una specie di 'vetrina' del capitalismo africano. Il cinema ha sofferto della competizione con la Radiodiffusion télévision ivoirienne, principale produttrice di film, tra gli anni Sessanta e i Novanta, attraverso la Société ivoirienne du cinéma e poi la Compagnie ivoirienne de cinéma et d'audiovisuel. Così, per es., Georges Keita ha potuto realizzare il primo lungometraggio ivoriano, Korogo (1964), adattamento di una leggenda popolare, solo per la sua destinazione televisiva. Gli anni Sessanta hanno visto comunque esordire personalità di rilievo, come Désiré Écaré (nome d'arte di D. Ekrarey), Henri Duparc e Bassori Timité. Concerto pour un exil (1968) e À nous deux, France! (1970), girati a Parigi, hanno inaugurato la filmografia di Écaré, il miglior regista della C. d'A., attento a descrivere la solitudine dell'immigrato, ricorrendo anche a sfumature grottesche; egli ha poi rappresentato le diverse esperienze delle donne della sua terra in Visages de femmes (1985), iniziato nel 1973 e portato a termine con difficoltà dopo dodici anni. Dalla fine degli anni Sessanta è attivo anche Duparc dapprima con film a carattere documentario; egli ha esordito poi nel lungometraggio con Abusuan, noto anche come La famille (1972), storia familiare nella quale i ritmi del villaggio si contrappongono a quelli della città; il suo film più famoso è la commedia Bal poussière (1988), dove con tratto leggero affronta lo spinoso problema della poligamia. Più rischioso e sperimentale è stato il lavoro di Timité (anche regista teatrale e documentarista), autore di numerosi cortometraggi, tra cui Sur la dune de la solitude (1964), e dell'inquietante suo unico lungometraggio La femme au couteau (1969), in cui i risvolti psicologici traggono particolare forza dalla contaminazione di generi come il noir, il thriller, l'horror. Un diverso sguardo è offerto da Roger Gnoan M'Bala: dopo Amanie (1972), che segue le vicissitudini di un uomo di campagna nel contatto con la vita di città, e Ablakon (1984), ritratto della società urbana e della sua influenza nei villaggi, costruito seguendo le disavventure di un piccolo imbroglione, la sensibilità visiva del regista si è appesantita nei film di argomento religioso o storico Au nom du Christ (1993) e Adanggaman (1999).
Nel cinema ivoriano si sono messi in luce anche autori meno costanti da un punto di vista produttivo e artistico, ma capaci di tracciare interessanti percorsi. A cominciare dall'opera collettiva Hold-up à Kossou (1972), realizzata dalla Gendarmérie ivoirienne, sotto la guida del colonnello Ouassenan Koné, per illustrare, tra realismo e parodia, l'efficienza del proprio lavoro. Tra i film di ambientazione urbana di Étienne N'Dabian Vodio, anch'egli esponente della prima generazione di cineasti, si segnalano Le cri du muezzin (1972) e La collégienne (1975). A una situazione ricorrente nel cinema africano ‒ una storia d'amore ostacolata dalle tradizioni che impongono la separazione tra le caste ‒ si ispira Djeli, conte d'aujourd'hui (1981) di Kramo-Lanciné Fadika. Altre proposte sono venute dall'attore Sijiri (propr. Sidiki) Bakaba, che in Les guérisseurs (1988), suo esordio dietro la macchina da presa, ha narrato la corruzione di una capitale dell'Africa nera, e dall'opera prima di Diaby Lanciné La jumelle (1998), che vede protagonisti due gemelli presi nel caos dell'accavallarsi di rapporti sentimentali e superstizioni.
V. Bachy, Le cinéma en Côte d'Ivoire, Bruxelles 1982.
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