Vedi Costa d'Avorio dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Pilastro del sistema di potere della Francia in Africa occidentale anche dopo la fine del colonialismo, la Costa d’Avorio si è rivelata un’area caratterizzata da un equilibrio precario i cui effetti si estendono ben oltre i propri confini. Le ragioni dell’instabilità riguardano le forme e i contenuti di una difficile transizione che mette in gioco i diritti politici, l’integrazione fra le diverse componenti etniche, culturali e produttive della società e persino l’identità nazionale. L’introduzione del concetto di ivoirité ha avuto un peso rilevante per il precipitare della situazione.
A partire dall’indipendenza, acquisita nel 1960, la storia della Costa d’Avorio si è intrecciata a lungo con quella personale di Félix Houphouët-Boigny, che ha retto le sorti del paese fino alla morte, avvenuta nel 1993. Negli anni Novanta fu avviata la transizione dal partito unico al multipartitismo, in una situazione di crisi sociale ed economica che trasformò rapidamente quello che era considerato un modello di stabilità politica per l’intera regione in un paese in preda alla guerra civile. Le riforme vennero in particolar modo osteggiate da quei dirigenti che erano espressione degli interessi agrari e referenti degli investitori stranieri.
Morto Houphouët-Boigny, divenne presidente Henri Konan Bédié, capo dell’Assemblea nazionale, sulla base di quanto previsto dalla Costituzione e con il sostegno determinante della Francia. Bédié si fece portavoce del concetto di ivoirité ed escluse dalla vita politica, segregandoli anche costituzionalmente, tutti i residenti provenienti o originari di altri paesi africani, che erano giunti in Costa d’Avorio durante il colonialismo, ai tempi del boom economico, e che rappresentavano circa un terzo dell’intera popolazione.
Fu messo così a repentaglio il delicato equilibrio di una società composita, ma tradizionalmente capace di integrare i flussi di lavoratori stranieri. Bédié fu poi esautorato nel 1999 dal colpo di stato del generale Robert Guéï che, a sua volta, non riconobbe i risultati delle elezioni del 2000, vinte dal candidato del Front Populaire Ivoirien (Fpi), Laurent K. Gbagbo, che allora era noto come strenuo oppositore di Houphouët-Boigny. A seguito di violenti disordini, Guéï fuggì nell’ottobre del 2000, lasciando la presidenza a Gbagbo. La situazione precipitò nel 2002 quando, dopo un altro colpo di stato, il nord del paese venne di fatto occupato dalle forze antigovernative vicine a Guéï, che fu però ucciso in circostanze mai chiarite. Il paese si spaccò in due, con un sud legittimista, identitario e perlopiù cristiano e un nord ribelle, vicino alle rivendicazioni degli ‘stranieri’ e in maggioranza di religione musulmana. Nell’ottobre del 2002 fu raggiunto un cessate il fuoco con la creazione di una fascia di interposizione tra il nord e il sud del paese, che venne monitorata dalle truppe francesi. I sospetti di Gbagbo circa un possibile sostegno dell’ex potenza coloniale ai ribelli favorì un più ampio coinvolgimento internazionale, che nel 2003 ha portato alla missione della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas), passata poi sotto mandato delle Nazioni Unite dal 2004.
L’accordo siglato a Ouagadougou il 4 marzo 2007, che prevedeva la smobilitazione delle diverse fazioni armate e la riunificazione del paese sotto un nuovo governo di transizione, è stato solo parzialmente applicato. L’indizione per il 31 ottobre 2010 di nuove elezioni presidenziali (attese da ben cinque anni) ha portato al riacutizzarsi della crisi: dopo che la Commissione elettorale indipendente ha dichiarato vincitore al secondo turno Alassane Dramane Ouattara, leader del Rassemblement des Républicains (Rdr), il Consiglio costituzionale, forse subendo pressioni dall’alto, ha annullato il voto in alcuni distretti del nord e ha proclamato vincitore il presidente uscente Gbagbo. Dopo cinque mesi di guerra civile e più di 3000 morti, la reazione della comunità internazionale e in particolare della Francia, intervenuta militarmente con l’operazione ‘Liocorno’ a sostegno dello sfidante di Gbagbo, hanno portato nel maggio 2011 al definitivo insediamento di Alassane Ouattara. Gbagbo è stato consegnato alla Corte penale internazionale dell’Aia ed è attualmente sotto processo per crimini contro l’umanità. Nel marzo 2015 Simone Ehivet Gbagbo, moglie dell’ex presidente, è stata invece condannata dalla giustizia ivoriana a 20 anni di carcere per il suo ruolo nelle violenze del 2010-11.
La Costa d’Avorio è membro delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana, dell’Ecowas – di cui Ouattara è stato presidente di turno tra il 2012 e il 2014 –, della Comunità degli stati sahelo-sahariani (Cen-Sad) e della Comunità francofona. Parigi rimane il principale partner politico ed economico ivoriano, soprattutto per i piani d’investimento infrastrutturale previsti per alcune grandi città. Sono proprio le opportunità d’investimento e la necessità del governo di finanziare i suoi ambiziosi piani di spesa a guidare le relazioni internazionali della Costa d’Avorio; da questo deriva il progressivo avvicinamento del paese all’Oriente, e alla Cina in particolare. Ottimi sono anche i rapporti con gli Stati Uniti. Sul piano regionale il paese ha più volte giocato un ruolo di mediazione con i propri vicini; tuttavia la cooperazione rimane segnata da rivalità politiche, da dispute di confine e dalla carenza di canali istituzionali che affrontino in modo corretto le varie questioni aperte. La Costa d’Avorio evita di sfidare le ambizioni di leadership perseguite dalla potente Nigeria in nome della cooperazione regionale, e orienta le relazioni con Ghana e Liberia in funzione del loro sostegno contro le milizie fedeli a Gbagbo. Le relazioni internazionali ivoriane potrebbero imboccare svolte inattese qualora le indagini sulle atrocità commesse durante il conflitto dimostrassero un coinvolgimento dei membri del governo.
Le elezioni di ottobre 2015, le prime dopo il conflitto civile, si sono svolte pacificamente e hanno confermato Ouattara con quasi l’84% dei voti. Nonostante 3 candidati su 10 si siano ritirati dalla competizione elettorale, dichiarandola non libera, e buona parte dell’opposizione abbia invitato a non partecipare alla votazione, la partecipazione, arrivata al 55%, è stata sufficiente a garantire una buona legittimazione al presidente. Le prossime elezioni legislative sono state fissate per dicembre 2016.
Nonostante la sua scarsità numerica (circa 20 milioni), la popolazione ivoriana si divide in più di 60 gruppi etnici, tra cui i principali sono: Akan, Krou, Mande meridionali, Mande settentrionali e Senoufu/Lobi. Sono più di 60 anche le lingue e i dialetti africani parlati nel paese (in particolare agni, baoulé, senoufo e malinke), sebbene la lingua ufficiale resti il francese, che viene utilizzato dai media, dal sistema scolastico e dall’amministrazione pubblica. Sulla base del censimento del 2014 la fede più diffusa è quella musulmana (42%), seguita da quella cristiana cattolica (34%). Hanno una forte presenza anche il protestantesimo, i culti tradizionali e sincretici e le chiese indipendentiste africane. Circa un terzo della popolazione è costituito da immigrati o da figli e nipoti di immigrati. Durante il colonialismo la Francia favorì il travaso di manodopera rurale dai paesi dell’interno come il Niger, il Sudan francese (odierno Mali) e soprattutto l’Alto Volta (odierno Burkina Faso). Esistono inoltre importanti comunità libanesi e siriane che arrivarono con il beneplacito dei colonizzatori francesi con il compito di svolgere una funzione di intermediazione economica o amministrativa. Fino alla guerra civile, la relativamente ricca economia della Costa d’Avorio continuò a rappresentare una meta privilegiata per gli abitanti dei paesi limitrofi più poveri. L’emigrazione ha contribuito all’aumento del tasso di urbanizzazione e all’aggravarsi del problema della disoccupazione urbana, in particolare ad Abidjan, anche se la povertà continua a colpire soprattutto la popolazione rurale. Riveste infine una particolare importanza culturale ed economica la comunità di espatriati francesi, che nel 2008 ammontava a più di 10.000 persone (erano circa 37.000 un decennio prima).
Nonostante gli sforzi compiuti e il sistema scolastico che ricalca quello francese, il tasso di analfabetismo rimane alto. Il rispetto dei diritti umani, in quello che era definito un paese parzialmente libero, si è considerevolmente deteriorato a causa della guerra civile, che ha portato anche alla contrazione della libertà di stampa. Il presidente Ouattara, sulla scorta di altri paesi africani, ha nominato una Commissione per la verità e la riconciliazione, con l’obiettivo di giudicare i responsabili delle violenze durante gli scontri. Tuttavia gli arresti hanno riguardato soprattutto i sostenitori di Gbagbo, mentre hanno toccato solo in minima parte gli uomini schierati in favore dell’attuale presidente. Ciò ha alimentato diverse proteste contro una giustizia “del vincitore”, come da molti è stata giudicata. Il timore è che questa disuguaglianza di trattamento possa avere effetti negativi sulla stabilità, e quindi sulla ripresa, della Costa d’Avorio.
Quella che era un tempo conosciuta come una delle economie più avanzate nel continente (la ‘Svizzera d’Africa’) risente ancora pesantemente degli strascichi di dieci anni di conflitto interno. Al contempo, la ritrovata stabilità politica sembra favorire una decisa crescita economica che nel 2015 ha raggiunto l’8,2% e che dovrebbe continuare nel breve periodo. Inoltre il nuovo presidente sta dando fondo a tutte le proprie risorse di credibilità internazionale per ovviare ad anni di recessione e riallacciare rapporti con i donatori internazionali. Società francesi, per esempio, sono spesso coinvolte nei lavori infrastrutturali, come quello della costruzione di un ponte di un chilometro e mezzo ad Abidjan (completato nel dicembre 2014), o quello dell’ammodernamento del porto di San Pédro. Dopo un decennio d’investimenti insufficienti, il rilevante potenziale dei settori agricolo, minerario e degli idrocarburi attrae pretendenti da Europa, Nord America e Asia (in particolare Cina), incoraggiati dalla stabilità che sembra avviata nel paese. Tra il novembre 2011 e il giugno 2012 i creditori internazionali, tra cui anche l’Italia, hanno condonato il 60% del debito del paese, aprendo la strada al ristabilimento di relazioni economiche internazionali più favorevoli. L’economia ivoriana è sostenuta anche dai forti investimenti governativi, soprattutto in ambito infrastrutturale, per la ricostruzione dopo la guerra civile e dalle importanti riforme effettuate negli ultimi anni.
Dall’epoca coloniale in avanti, l’economia della Costa d’Avorio si è basata sulla coltivazione di prodotti tropicali e, più recentemente, sulla produzione di petrolio. Con il 35% del raccolto mondiale, il paese è il maggiore produttore ed esportatore di fave di cacao. Nel 2014 la produzione ha raggiunto 1,7 milioni di tonnellate e per il raccolto 2015-16 il prezzo di vendita ha raggiunto il livello record di 2$ a chilogrammo. Il primato riguarda anche gli anacardi. La Costa d’Avorio è inoltre il primo esportatore africano di olio di palma. Negli ultimi anni il governo ha sostenuto le coltivazioni di banana, caffè e gomma, con il fine di differenziare la produzione agricola. Tuttavia l’economia è altamente sensibile alle fluttuazioni internazionali dei prezzi di questi prodotti e, in misura minore, alle condizioni climatiche. Inoltre lo sfruttamento sistematico delle foreste per la produzione di legnami pregiati o per far spazio alle monocolture agricole ha portato alla deforestazione di circa l’80% della loro estensione originaria, mettendo a rischio la biodiversità del paese. L’abbozzo di una legislazione ambientale è stato compromesso una volta di più dalla guerra civile.
A tutt’oggi circa il 68% della popolazione è impiegata nel settore agricolo. La proprietà della terra è riservata ai cittadini ivoriani ed è largamente privata, nonostante l’esistenza di alcune aziende pubbliche.
Nel 2015 il crollo del prezzo internazionale del petrolio ha impattato negativamente sulle finanze dello stato, danneggiate anche dalla scarsa capacità di riscossione delle agenzie dei tributi, dalle numerose esenzioni dalle tasse e dalla diffusa economia informale.
Grazie agli impianti di produzione di gas naturale, la Costa d’Avorio è un esportatore netto di energia. Dopo una prima crisi economica negli anni Ottanta, causata dal crollo del prezzo del cacao e del caffè, il paese passò per una nuova fase di ripresa attraverso le riforme guidate dal Fondo monetario internazionale, con la svalutazione nel 1994 per la metà del suo valore del franco Cfa, valuta garantita una volta dal franco francese e oggi dall’euro.
La svalutazione fu a lungo osteggiata da Parigi malgrado le insistenze della Banca mondiale. L’aumento dell’instabilità politica aveva prodotto una forte contrazione degli investimenti esteri e un peggioramento dei parametri economici e della qualità di vita. La moderata fase di crescita economica era stata momentaneamente interrotta dal conflitto civile nel 2011, ma ha ritrovato nuovo slancio a seguito della rinnovata stabilità politica. Nel complesso, la Costa d’Avorio risente di un basso livello di reddito pro capite, ma soprattutto sconta gli effetti negativi della guerra e della crescente corruzione.
Sul piano strategico, a seguito della fine della guerra civile l’esercito ivoriano si trova ancora oggi ad affrontare la sfida della smobilitazione delle truppe e a convivere con la presenza di forze militari internazionali sul territorio. Nella fine del 2014 diverse proteste hanno coinvolto dei gruppi di soldati che rivendicavano l’aumento di stipendio promesso dopo la fine del conflitto civile. Dal 1961 la Francia mantiene un proprio contingente nel paese, che fornisce armi e addestramento all’esercito locale. Durante la crisi del 2002 tale contingente è arrivato a contare 4000 soldati.
Nella crisi succeduta alle elezioni presidenziali del novembre 2010, la Francia ha nuovamente rafforzato la propria presenza nel paese e ha contribuito a determinare la resa di Gbagbo e dei suoi sostenitori (allora la Francia contava ben 1650 militari nel paese, che sono oggi ridotti a 450). Nel gennaio 2003 l’Ecowas ha dispiegato una forza di 1500 uomini, confluita poi, assieme al contingente francese, nella United Nations Operation in Côte d’Ivoire (Unoci), decisa dal Consiglio di sicurezza nel 2004 e a oggi operante sul territorio.
Buona parte dei paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea, tra cui la Costa d’Avorio, sono stati recentemente accomunati da una minaccia che non inerisce solo alla sfera della sicurezza ma anche a quella economica. Nel 2013 gli attacchi di pirateria nel golfo sono quasi raddoppiati rispetto all’anno precedente e hanno provocato una crescente insicurezza marittima che si manifesta in una lievitazione dei costi di trasporto e in una diminuzione degli scambi. Ad alimentare la pirateria contribuiscono soprattutto la povertà e la mancanza di un’efficace cooperazione navale multilaterale tra gli stati del Golfo. Per ovviare al problema, l’Ecowas e la Comunità economica degli stati dell’Africa centrale (Eccas) sono in procinto di sviluppare iniziative che dovrebbero essere sostenute a livello internazionale e coordinate a livello regionale. In questa direzione si muovono, per esempio, l’accordo militare firmato nel settembre 2013 tra Costa d’Avorio e Liberia e l’istituzione del centro inter-regionale di coordinamento sulla sicurezza marittima in Africa occidentale e centrale (settembre 2014).
Il 25 ottobre 2015 si sono tenute le elezioni presidenziali ivoriane, le prime dopo il conflitto civile scoppiato nel 2010 che ha causato più di 3000 morti. Forte dei risultati economici e della stabilità politica raggiunti dal suo governo e favorito dalla frammentazione dell’opposizione, Alassane Ouattara è stato confermato presidente con quasi l’84% dei voti. Questo risultato è stato permesso anche dal ritiro di 3 candidati (sui 10 iscritti) che hanno definito la competizione non libera né corretta. Il principale contendente (con poco più del 9%) si è rivelato essere Pascal Affi N’Guessan, leader del Fronte Popolare Ivoriano (Fpi), il partito dell’ex presidente Laurent Gbagbo. Buona parte dell’opposizione aveva invitato a non recarsi alle urne e quindi la partecipazione del 55%, pur molto minore rispetto a quella delle elezioni del 2010, è stata sufficiente a garantire una solida legittimazione al vincitore. Ouattara ha ottenuto un consenso diffuso, vincendo in 30 delle 31 regioni (tra cui il distretto di Abidjan) e superando in alcune aree del nord il 99% dei consensi. Il processo di voto è stato giudicato regolare dagli osservatori internazionali e le opposizioni hanno riconosciuto la sconfitta. Nonostante i timori di violenze, le elezioni si sono svolte pacificamente e questo ha portato in secondo piano risultati che, anche al netto di boicottaggi e possibili ritocchi governativi, sono fortemente sbilanciati e testimoniano un momento di debole “competizione” democratica. La ritrovata stabilità politica ha quindi superato la prova del voto e, sembra, anche la crisi post-elettorale di 4 anni fa: un passaggio essenziale per supportare la forte crescita che sta vivendo il paese. Continuano tuttavia a permanere delle tensioni legate ancora al conflitto e alimentate da una giustizia che non equipara le colpe dei due vecchi schieramenti. Le regioni occidentali del paese sono in parte rimaste fedeli a Gbagbo e sono sede di proteste contro il governo: quelle avvenute nel mese di settembre 2015, quando il Consiglio costituzionale ha accettato la candidatura di Ouattara, hanno causato un morto.