COSMA di Iacopo di Lorenzo
Padre di Luca e Iacopo, fu marmoraro attivo nel sec. XIII. Benché sul suo nome sia stato modellato quel termine di "cosmatesco" che, per tradizione, indica la produzione di arredi liturgici e di pavimenti con decorazione a tassellato marmoreo caratteristica delle botteghe dei marmorari del Medioevo romano, solo in tempi relativamente recenti la figura di C., esponente di una delle più note di quelle botteghe, ha assunto, sul piano biografico, una connotazione precisa e cronologicamente accettabile.
La scelta del suo nome a eponimo di una forma di produzione artistica è originata dall'equivoco sorto intorno alla sua figura tra gli studiosi del secondo Ottocento che più di altri si interessarono alla ricostruzione degli alberi genealogici dei membri di quelle imprese a carattere familiare. Il Boito (1880), con il Barbier de Monthault (1858), il Salazaro (1882), il Clausse (1897), ritenne infatti che Cosma, testimoniato attivo insieme al padre Iacopo nel 1210 al portico della cattedrale di Civita Castellana e successivamente nel 1231 nella cattedrale di Anagni insieme con i figli Iacopo e Luca, fosse lo stesso Cosma autore tra il 1277 e il 1280 della cappella del Sancta Sanctorum in Laterano. Di conseguenza i figli di questo - Giovanni, la cui prima indicazione cronologica sicura è quella del 1299 legata alla tomba dei cardinal Rodriguez in S. Maria Maggiore a Roma, e Deodato, forse ancora attivo nel 1332 alla facciata del duomo di Teramo - sarebbero stati fratelli di Iacopo e Luca presenti con il padre ad Anagni, e lacopo sarebbe stato lo stesso che nel 1293 figura come maestro dei muratori nella Fabbrica del duomo di Orvieto. Un albero genealogico così dilatato nel tempo, se aveva il pregio della semplicità, scontrava però con la logica in quanto prevedeva per tutti questi artefici e in particolare per C. una vita lunghissima e inverosimilmente attiva, al punto che, per ridurla in termini più credibili, studiosi come il Cavalcaselle (1875) e il Frey (1885) giunsero a ritenere, contro ogni evidenza dei fatti, che la data del 1210posta sulla fronte dei portico di Civita Castellana fosse mutila ed incompieta e per questo indicativa di un tempo posteriore. Inoltre i dati stilistici venivano ad indicare che lo stesso artista sarebbe passato dalle esperienze apertamente classicheggianti di Civita Castellana alla esecuzione di una delle opere più gotiche esistenti in Roma, la cappella appunto del Sancta Sanctorum. La complessità di esperienze che si condensava in questo modo intorno alla figura di C. e il. supposto estendersi della sua attività per quasi tutto l'arco dei sec. XIII hanno forse suggerito di vedere in lui l'esponente più significativo del gusto per l'ornamentazione geometrica e vivacemente policroma tipico dei marmorari e quindi di assumerne il nome come indicativo di una tendenza artistica.
In realtà il disagio che nasceva da quella sistemazione genealogica fu presto recepito dal De Rossi (1875) che, con il Frothingam (1889), lo Stevenson (1884), il Faloci Pulignani (1879), ne propose una correzione che la rendesse più accettabile sul piano della logica e cioè che Cosma, autore della cappella del Sancta Sanctorum, fosse figlio di Cosma attivo a Civita Castellana e ad Anagni e quindi fratello di Luca e di Iacopo. Suoi figli sarebbero stati a loro volta lacopo operoso ad Orvieto, Giovanni, Deodato e Pietro di Cosma, di cui nel frattempo lo Stevenson (1884) aveva rinvenuto il nome in un documento d'archivio. Senonché nessun elemento concreto provava che un Cosma fosse in effetti figlio dell'altro.
È merito del Giovannoni (1904) aver posto definitivamente ordine in questa intricata vicenda con un documento del 1264 in cui compare un "Gusmarus marmorarius filius domini Petri Mellini".
Sulla base di questa indicazione fu possibile allo studioso riconoscere che Cosma autore della cappella del Sancta Sanctorum, verosimilmente quello citato nel documento e di cui egli ritrovò tutta una serie di testimonianze che giungono fino al 1279, dunque agli anni di esecuzione di quel lavoro, non solo non era la stessa persona di Cosma attivo, a Civita Castellana e ad Anagni, ma apparteneva ad un'altra famiglia, quella dei Mellini, e quindi proveniva da una diversa tradizione di bottega che dopo di lui passerà nei quattro figli Iacopo, Giovanni, Deodato e Pietro che è forse legittimo assegnargli anche se non dimostrabile.
Quanto al primo C., il suo albero genealogico veniva in questo modo definito e con esso l'attività della bottega alla quale appartenne e che evidentemente fu tramandata di padre in figlio.
Capostipite noto risulta essere un Tebaldo per il quale tuttavia non si conosce alcuna testimonianza sicura che svolgesse attività di marmoraro. Il suo nome compariva assieme alla data del 1162 come indicazione del patronimico del figlio Lorenzo (allo stato dei fatti il sicuro iniziatore della bottega) in una iscrizione - oggi perduta ma riferita dal Forcella (1876) e dal De Rossi (1899) - posta sull'altare maggiore della chiesa romana di S. Stefano del Cacco. La successiva attività di Lorenzo è provata con una serie di testimonianze indirette e dirette, come svolta costantemente con l'aiuto del figlio Iacopo. Epigrafi oggi scomparse, ma di cui ci sono giunte le trascrizioni (De Rossi, 1875 e 1891) indicano l'esecuzione da parte dei due di un ciborio nella chiesa dei SS. Apostoli e di un arredo liturgico decorato con tessere di vetro dorato in S. Pietro.
Testimonianze concrete della collaborazione, in virtù dei dati epigrafici, sono l'architrave frammentario reimpiegato nel portale al termine del corridoio che conduce al Sacro Speco di Subiaco; i pulpiti della chiesa dell'Aracoeli trasferiti dall'edificio precedente nella ricostruzione duecentesca e in seguito malamente ricomposti; il portale della abbazia di Falleri, per il quale si propone in genere una datazione verso il 1185 sulla base della notizia di avvenute consacrazioni di altari della chiesa in quel tomo di anni in connessione con una possibile campagna di lavori; il portale centrale dei duomo di Civita Castellana che, sulla scorta delle vicende costruttive dell'intero edificio, è da riferire verosimilmente agli ultimi anni del XII secolo.
La sola opera comune ai due marmorari databile con certezza è l'architrave frammentario del duomo di Segni di recente ritrovato e riferibile epigraficamente al 1185 (Pasti, 1982), per cui ben scarse sono le indicazioni che si possono dare sul procedere della collaborazione tra il padre e il figlio. Un dato concreto che si ricava dalle epigrafi è che mentre in precedenza lacopo appare costantemente subordinato al padre che firma in prima persona, a Civita Castellana i due vengono indicati con pari dignità di autore. Argomento utile, questo, per ritenere il portale il frutto finale di questa fase del percorso della bottega, malgrado non vi siano spunti concreti per determinare se lo spiccato classicismo che vi fa mostra e che già impronta di sé il portale di Falleri sia da attribuire all'uno o all'altro dei due artisti.
È certo comunque che con il nuovo secolo le testimonianze di Lorenzo cadono, segno della sua scomparsa, mentre il primo decennio appare per Iacopo, solo alla guida della bottega, come un momento di piena maturità e di attività intensa. Intorno alle date sicure del 1205, fornita dall'epigrafe posta sull'architrave del portale della chiesa romana di S. Saba, e del 1207, quando è citato (Giovannoni, 1904) nel Liber Censuum della Curia pontificia in un Instrumentum addestratorum mappulariorum et cubiculariorum tra i membri della schola che porgono il giuramento di rito, si raccolgono interventi, tutti epigraficamente documentati, che vanno dal portale destro del duomo di Civita Castellana, che lo indica anche mosaicista nel Cristo della lunetta, al lato meridionale dei chiostro di S. Scolastica a Subiaco in cui Iacopo svolge le prime sicure prove di un fare architettonico più in grande, ai lavori di S. Bartolomeo all'Isola a Roma, mal determinabili nella loro consistenza, ma ai quali sono con certezza da riferire le due colonnine con iscritto il suo nome oggi conservate nella chiesa dei SS. Bonifacio e Alessio e, per via di attribuzione, i due Leoni a mezza figura murati ai piedi della scala che conduce all'altare di destra nella chiesa tiberina, i quali lo mostrano attento imitatore dei modelli antichi anche sul piano della scultura figurativa. Questo periodo di intenso fervore si chiude con il portico del duomo di Civita Castellana che, datato epigraficamente al 1210, segna da una lato il culmine del riferimento classicistico, dall'altro la comparsa nella bottega di C., sia pure in veste subordinata, cosa che permette di ipotizzare una sua data di nascita verso il 1190. Esempi ulteriori della collaborazione tra Iacopo e C. sono con certezza il portale dell'ospedale romano di S. Tommaso in Formis sul Celio e forse la cattedra di S. Maria in Trastevere, se alla loro bottega può essere riferita (Gandolfo, 1980) in virtù dei rapporti con i due Leoni di S. Bartolomeo all'Isola, e se puo essere collegata alla data del 1215, anno in cui, il 15 novembre, il pontefice Innocenzo III procedette ad una nuova consacrazione della chiesa. là del resto intorno a questo anno che si può presumibilmente localizzare la scomparsa di Iacopo e l'assunzione in prima persona nella direzione della bottega da parte di Cosma.
A questa fase è da riferire il distrutto ciborio nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, assegnabile al solo C. (Prandi, 1953) sulla base di una testimonianza epigrafica, conservata parte in trascrizione e parte in originale, che lo indica frutto della committenza di Cencio Savelli quando questi era ancora cardinale titolare della chiesa, dunque anteriormente al luglio del 1216, anno in cui fu eletto papa con il nome di Onorio III. È inoltre probabile che a C. e alla sua bottega sia da assegnare anche il portale della stessa chiesa. Dati gli stretti legami stilistici esistenti tra i Leoni posti alla base degli stipiti di esso e quello sulla destra del portale di S. Lorenzo fuori le Mura, un edificio al quale Onorio III volse il suo interessamento subito dopo la sua elezione promuovendone l'ampliamento, si può ritenere che C., conclusi i lavori nella basilica celimontana, sia passato nel nuovo cantiere del Verano, impegnato nella costruzione del portale e del portico.
Il fatto tuttavia che nella struttura muraria di quest'ultimo si colgano i segni di una interruzione e che il leone di sinistra del portale presenti caratteri stilistici nettamente differenti rispetto a quello assegnabile a C. lascia intendere come ben presto la sua bottega dovette essere allontanata dal cantiere laurenziano probabilmente per un mutamento nel gusto della committenza papale ormai orientata a favorire il più saldo e monumentale classicismo dei Vassalletto, che negli anni successivi svolgeranno a Roma quel ruolo dominante che in precedenza era stato di Lorenzo e di Iacopo. I Leoni dei SS. Giovanni e Paolo e di S. Lorenzo fuori le Mura, pur nel costante referente classico, mostrano una scelta formale di tipo espressionistico che li allontana in modo netto tanto dalla raffinata plasticità espressa solo pochi anni prima da Iacopo nelle consimili figurazioni di S. Bartolomeo all'Isola e di S. Maria in Trastevere come dagli spunti neoegizi della bottega vassaliettiana, il che giustifica un isolamento e una incomprensione dell'artista in un ambiente romano diversamente orientato.
Da questo momento infatti C. risulta costantemente attivo al di fuori di Roma. Tra il 1224 e il 1227 esegue il pavimento delle navate della cattedrale di Anagni ed entro l'aprile del 1231 quello della cripta della stessa chiesa. Il ricordo epigrafico di questo secondo intervento mostra per la prima volta associati a lui i figli Luca e Iacopo, il che lascia intendere una loro nascita a cavallo tra il primo e il secondo decennio del secolo e a breve distanza l'uno dall'altro. Immediatamente successivo dovette essere il completamento del chiostro di S. Scolastica a Subiaco iniziato da Iacopo di Lorenzo un ventennio prima. Il ricordo epigrafico di questo intervento, che mostra ancora i figli uniti a C., lo riferisce al tempo dell'abate Lando (1227-1243), per cui è presumibile che esso sia avvenuto subito dopo la conclusione dei lavori di Anagni. P, questa anche l'ultima testimonianza di C. e di "Iacobus alter", come lo definisce l'epigrafe per distinguerlo dal nonno, segno che alla probabile morte del padre, forse sul finire dei quarto decennio del secolo, dovette far seguito la sua, o che comunque si verificarono avvenimenti tali da condurre ad un progressivo sfaldamento della bottega.
Indizi di questo si colgono del resto nella successiva attività di Luca. Il suo nome risulta infatti unito a quello di Drudo da Trivio quale autore dei due plutei della recinzione presbiteriale della cattedrale di Civita Castellana.
Quando e per quali ragioni sia avvenuta l'associazione tra i due marmorari è difficile dire, tenuto conto che per Drudo (Giovannoni, 1904) abbiamo una serie di testimonianze relative ad una sua attività autonoma forse anteriore e una sola indicazione cronologica esplicita fornita dalla trascrizione (Schede Gualdi Cod. Vat. lat. 8253, c. 500r) di una epigrafe posta sul perduto ciborio della cattedrale di Lanuvio che lo dice attivo con il figlio Angelo nel 1240. Che la fusione si sia verificata prima o dopo tale data è forse secondario rispetto alla constatazione che i plutei di Civita Castellana testimoniano dello sforzo comune di adeguare un linguaggio figurativo ancora legato al lessico di Lorenzo e del figlio Iacopo, dunque al momento di maggior splendore della bottega, a novità formali tipicamente vassallettiane, con risultati di evidente impaccio particolarmente sul piano compositivo.
È questo il segno di un ristagno culturale che non significa un'interruzione dell'attività di Luca, tenuto conto che egli compare (Giovannoni, 1904) come teste in un documento del 1254 e nel 1255 figura come marinorarius nelle aggiunte all'Instrumentum addestratorum mappulariorum et cubiculariorum contenuto nel Liber Censuum. Ilfatto tuttavia che sia prima sia dopo tali date il suo nome non si trovi più associato ad imprese di un qualche rilievo sembra suggerire un suo ruolo sempre più marginale ed isolato, al di fuori delle ricche committenze ecclesiastiche., e un definitivo impoverirsi della bottega ancorata a schemi ormai superati.
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