RUCELLAI, Cosimo
– Nacque a Firenze nel 1520, da Palla e da Diamante, figlia di Pierfrancesco Ridolfi, poco prima della partenza del padre per la Francia, da collocarsi presumibilmente nella seconda parte dell’anno. Fu il maggiore di quattro fratelli, Bernardo e Clemente, e l’altro figlio di Palla, naturale ma, forse, illegittimo, Piero.
Sposò in giovane età Cornelia di Raffaello Pucci (Buonsignori, 2000, p. 44), che ereditò una fortuna ingente dalla morte del fratello nel 1549, quando era, però, già vedova. Rucellai fu discepolo di Pietro Vettori, con il quale intrattenne poi una sincera quanto breve amicizia che gli valse la conoscenza di illustri personaggi: Giovanni Della Casa, per esempio, a conclusione di una sua lettera a Vettori, lo pregò di «salutar messer Francesco de’ Medici et messer Cosimo Rucellai a mio nome, et le bacio le mani» (Carrara, 2007, p. 139). Da registrare la nomina ad accademico fiorentino l’11 febbraio 1541.
Al di là di queste poche informazioni biografiche, il quadro bibliografico e le fonti sono tutti piuttosto scarsi (brevi ma quasi inservibili profili in Passerini, 1861, p. 147; Marpicati, 1921, p. 44, e 1934, pp. 103 s., in quest’ultimo caso si fa confusione con il parente omonimo) e a complicare la situazione vige anche l’uso indistinto, ripetitivo e indiscriminato da parte della famiglia Rucellai di appellare spesso con gli stessi nomi i suoi componenti (anche tra loro coevi). Il nome Cosimo fu assai diffuso tra i Rucellai, così come Palla; non stupisce, quindi, che per distinguerlo dai due cugini coevi e omonimi, l’uno monaco dell’Ordine dei servi di Maria, morto nel 1521, l’altro Bernardo, amico di Niccolò Machiavelli, ma noto come Cosimo o Cosimino in onore del padre – anch’egli un Cosimo – spirato nel 1495, si faccia riferimento a lui con l’aggiunta della specifica ‘di Palla’. La confusione, derivata dai casi di omonimia, dovette essere una problematica non lieve anche per i contemporanei, considerato che, nella già ricordata lettera a Varchi, viene negata con forza la possibilità che lo stesso Varchi abbia potuto ricevere da ignoti dei sonetti di Cosimo – forse, l’umanista padovano dovette aver letto dei sonetti del cugino più anziano –, il quale, piuttosto meravigliato, afferma di non aver mai composto nulla in questo particolare metro («Dell’aver voi visto sonetti di mio mi maraviglio [...] non ne avendo fatti», Lettere serie, 1735, p. 18).
Rucellai morì giovanissimo, probabilmente di tubercolosi o di una malattia simile, come sembra possibile intuire da una lettera del 28 giugno 1539 a Varchi, dove afferma che da lì a poco si sarebbe recato a «quei freschi di San Casciano» per dare tregua ai terribili umori (p. 18).
Durante la sua breve vita, rispettando una tradizione familiare, si dimostrò «fedele all’avita consuetudine di “far dell’orto” benché privo ormai dei connotati specifici di un circolo istituzionale» (Vianello, 1988, pp. 24 s.). In quello che, se non si poté considerare un circolo istituzionale, fu senz’altro riconoscibile anche per i contemporanei come un cenacolo culturale privato degno di nota, Rucellai strinse diverse amicizie importanti. Frequentarono i nuovi Orti letterati come Carlo Strozzi (raccomandato a Varchi in una lettera del 25 aprile 1540, dove Rucellai dà notizie sugli affari paterni e da cui è intuibile una discreta conoscenza del greco: «Ho piacere che Messer Carlo venga a stare con voi perché so che farò bene, avendo egli naturalmente, come mi pare, buono ingegno, e poi so, che lo conforterete a imparare le lettere greche manco timidamente, cioè con migliore speranza, ch’ei non faceva quando era qua», Lettere serie, cit., p. 19), solo di passaggio Pietro Bembo, Annibal Caro, oltreché i già ricordati Vettori e Varchi. Stimato possessore di codici interessanti e rari (ricorda proprio Caro, Lettere familiari, 1957-1961, I, pp. 137 s., a proposito dello studio di Catullo da parte di Vettori, che «Messer Cosimo Rucellai gli mandò quella diversità di scrittura dell’Epitalamio di Peleo e Tetide che gli sono state molto carissime»), non mancò di cercare di ampliare la biblioteca paterna (Cecchi, 1993, p. 277) chiedendo codici preziosi ai suoi amici e conoscenti.
Dai suoi contemporanei, in particolar modo, furono apprezzate di Rucellai le doti da esperto scacchista, capace di appassionare al gioco diversi conoscenti: tanto che non solo «il Varchi [...] redisse le regole e le spiegazioni per gli amici fiorentini [...], invitando chi abbisognava di ulteriori chiarimenti a rivolgersi al principale esperto, al Rucellai» (Vianello, 1988, p. 25), ma Carlo Strozzi affermò, prima di tutto, in una lettera diretta a Rucellai, e probabilmente risalente all’estate del 1539, di essere in spasmodica attesa per la nuova meraviglia di cui Rucellai fu il maestro indiscusso («Io l’aspetto con desiderio, il giuoco degli scacchi per essere cosa nuova, bella et in somma vostra», Archivio di Stato di Firenze, Carte strozziane, Serie prima, 132, cc. 74-75) e poi compose l’ancora inedito Dialogo sopra la particolare dichiarazione del giuoco di Pitagora (nome con cui erano famosi gli scacchi, una copia dell’opera di mano di Marchiono di Marchioni è conservata presso il centro Rare Book & Manuscript Library University of Pennsylvania, LJS.232).
Nell’opera, gli interlocutori privilegiati sull’arte degli scacchi sono Iacopo Vettori, figlio di Pietro, lo stesso Carlo Strozzi e, infine, proprio Rucellai, eretto a maggiore esperto del gruppo. Ma la sua passione non si consumò solo nei giochi e nelle amicizie, egli scrisse anche una canzone di gusto petrarchesco, dal titolo Nella queta stagion del dolce oblio, inclusa nelle Rime diverse di molti eccellentiss. auttori... (Venezia, G. Giolito, 1545, pp. 238-241). Le sue maggiori imprese letterarie devono, però, essere riconosciute in un commento – o una traduzione – della Retorica di Aristotele di cui si occupò insieme con il fratello Piero o più probabilmente sotto la supervisione dell’amico Vettori, e un’edizione emendata e commentata delle Georgiche di Virgilio. Di entrambi i testi non restano che pochi accenni in una lettera diretta a Caro del 29 maggio 1540 (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. VIII.57; cfr. Kristeller, 1967, p. 132, pubblicata in Lettere serie, cit., p. 20). Dai pochi passi in cui si fa riferimento a Virgilio, Rucellai sembra comunque possedere una buona e sicura comprensione dell’opera, ma solo letterale, povera cioè di conoscenze o interpretazioni allegoriche.
Fonti e Bibl.: Alcune lettere, in special modo quelle dirette a Varchi, sono state raccolte e pubblicate nei due volumi Lettere serie, erudite e famigliari di diversi uomini, scienziati ed illustri nuovamente raccolte, in due parti divise, Venezia 1735, pp. 18-25. Per l’epistolografia di Rucellai, una fonte importante è il manoscritto Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. VIII.57, che raccoglie altre lettere dell’autore.
Preziose alcune notizie contenute nell’epistolario di A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, Firenze 1957-1961, così come valida di informazioni F. Buonsignori, Memorie (1530-1565), a cura di S. Bertelli - G. Bertoli, Firenze 2000, ad indicem. Infine, utili sono ancora le Carte strozziane dell’Archivio di Stato di Firenze. La bibliografia critica è assai scarsa: alcune informazioni sono reperibili nel Giornale de’ letterati italiani, XXXIII (1719-1720), articolo VI, ma la mancanza di riferimenti e l’anonimato dello scritto non garantiscono la giusta affidabilità; un breve profilo è contenuto in L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia Rucellai, Firenze 1861, p. 147, da cui derivano A. Marpicati, Saggi storico-critici, Fiume 1921, p. 44, e Id., Saggi di letteratura, Firenze 1934, pp. 103 s., dove però il profilo è ancora più ridotto. Una breve nota sulla biblioteca in A. Cecchi, Un ritratto immaginario e celebrativo di Paolo Giovanni Rucellai: indagini e ipotesi, in I Tatti studies in the Italian Renaissance, V (1993), pp. 265-278. Qualche accenno alle corrispondenze letterarie in P.O. Kristeller, Iter italicum, I, Leiden 1967 e in E. Carrara, Il carteggio in volgare di Giovanni Della Casa con Pietro Vettori, in Giovanni Della Casa. Ecclesiastico e scrittore, Roma 2007, pp. 125-170. Una buona ricostruzione del circolo culturale gestito da Cosimo è presente in V. Vianello, Il fenomeno del fuoriuscitismo, in Id., Il letterato, l’Accademia, il libro: contributi sulla cultura veneta del Cinquecento, Padova 1988, pp. 24-26.