MASI, Cosimo
– Nacque a Firenze, forse nel 1537, da Giovan Battista, imparentato con un ramo della famiglia che aveva dato alla città priori e gonfalonieri, e da Francesca Scarlattini.
Divenuto paggio di Margherita d’Austria, nel 1566 entrò a far parte della segreteria del figlio, il principe Alessandro Farnese, collaborando con Francesco Luigini, che, dopo essere stato precettore del principe, ne era diventato il segretario. Nel 1568, alla morte di Luigini, gli subentrò nella carica, seguendo costantemente Alessandro Farnese fino a quando morì, nel 1592. Nell’aprile 1571 il M. assunse al suo servizio, tramite lo zio Massimo Teofilo, benedettino cassinese, il giovane fiorentino Camillo Monguidi, che avrebbe successivamente ricoperto un ruolo di rilievo alla corte del Farnese.
Nel 1571 seguì il principe nella battaglia di Lepanto, di cui inviò una dettagliata relazione a Giovan Battista Pico, segretario del duca Ottavio Farnese, padre di Alessandro. Intorno al 1572 sposò Laura, figlia di Giovan Battista Costa, di una nobile famiglia di Pontremoli, dalla quale ebbe, nel 1573, Vittoria (considerata la fondatrice del collegio delle orsoline di Parma) e, l’anno seguente o all’inizio del successivo, Giovan Battista; ai primogeniti seguirono altri sette figli, alcuni dei quali morti in fasce.
Nel 1572 prese parte alla spedizione della Lega, in cui Alessandro Farnese si distinse nell’assedio alla fortezza di Navarino. Nel 1573 e nel 1574 fu con il principe in Sicilia e a Napoli, e da qui inviò notizie su di lui a Parma, dove abitavano la moglie Maria di Portogallo e il duca Ottavio, a L’Aquila, residenza di Margherita d’Austria, e a Roma allo zio cardinale Alessandro Farnese.
Nel 1577 il M. accompagnò nei Paesi Bassi Alessandro, che lì fu luogotenente e poi governatore, e ne divenne il principale collaboratore, responsabile di gran parte degli affari di Stato. La sua attività fu apprezzata dalla corte di Spagna, che nel 1582 gli concesse una pensione annua di 300 scudi per intercessione del cardinale Antoine Perrenot de Granvelle. Secondo il cronista Alonso Vázquez, il M. parlava perfettamente spagnolo, e i suoi rapporti con i militari delle varie nazionalità che formavano l’esercito regio erano ottimi. A Bruxelles fu raggiunto dalla famiglia nel 1582, e il 13 dic. 1591 fu investito da Alessandro Farnese (duca di Parma dal 1586) del feudo di San Michele di Tiorre con il titolo di conte. A causa della posizione elevata che occupava nel governo dei Paesi Bassi, divenne inviso a molti fiamminghi, che lo accusarono di venalità: in particolare, lo rendeva sospetto l’alto tenore di vita che conduceva. Fortemente ostile al M. fu Frédéric Perrenot, signore di Champagney, fratello del cardinale Granvelle, che gli imputava, oltre all’eccessiva influenza nel Consiglio di Stato, la protezione accordata agli italiani che approfittavano delle loro cariche per arricchirsi. In un memoriale, Champagney segnalò che il M. era molto vicino a un altro collaboratore di Alessandro Farnese, il presidente Jean Richardot, e insieme rappresentavano «due teste sotto un solo berretto» (Mémoires, p. 276).
Il 2 dic. 1592 il M. diede notizia a Ranuccio Farnese della morte del padre Alessandro, così come dei passi intrapresi per fargli ottenere da Filippo II la successione nella carica di governatore dei Paesi Bassi. Insieme con il tesoriere ducale Pier Benedetto Giandemaria, giunto da Parma, sistemò le proprietà del defunto governatore a Bruxelles e ne inviò prontamente in Italia le carte, che gli Spagnoli poco dopo richiesero per verificare la correttezza del suo operato. Nell’aprile 1593, allorché i servitori di Alessandro Farnese rientrarono in Italia, non gli fu possibile partire, per un ordine giunto da Madrid che richiedeva la sua presenza per chiarire al nuovo governatore molti affari di Stato: era tuttavia diffusa la convinzione che fosse tenuto come ostaggio per la restituzione dell’archivio di Alessandro Farnese da Parma. Il 19 ag. 1593, con una lettera in parte in cifra, istruì il duca di Parma Ranuccio I Farnese su quali documenti avrebbe dovuto spedire in Spagna e sulle copie da fare di altri che sarebbero serviti per scrivere una storia di Alessandro. Nel corso della permanenza forzata a Bruxelles il M. inviò a Ranuccio dettagliate relazioni sulla situazione militare e politica dei Paesi Bassi e sugli attacchi condotti alla memoria del padre; lo informò anche di aver pagato ad Anversa un compilatore di gazzette perché talvolta vi inserisse lodi di Alessandro Farnese.
Gli fu possibile rientrare in Italia grazie al permesso concesso il 29 sett. 1594 dall’arciduca Ernesto d’Austria, governatore dei Paesi Bassi: il presidente Richardot, in una lettera a Ranuccio Farnese del 3 ott. 1594, scriveva che «doppo longa e quasi insuportabile paciencia» partiva «stimato et onorato, et in opinione d’huomo da bene, pieno di fede et sincerità» (Carteggio Farnesiano).
Da Parma mantenne rapporti epistolari con varie personalità dei Paesi Bassi e con il banchiere di Anversa Cosimo Masi, suo omonimo e forse suo parente, con il quale talvolta è stato confuso. Su richiesta del duca Ranuccio, entrò in contatto con il letterato Cesare Campana che celebrava le gesta del duca Alessandro, fornendogli notizie per le Imprese nella Fiandra del sereniss. Alessandro Farnese (Cremona, 1595) e Della guerra di Fiandra (Vicenza 1602). Un libro di disegni con le imprese militari di Alessandro, fatto giungere dai Paesi Bassi per mezzo del M., fu richiesto dal cardinale Odoardo Farnese al fratello Ranuccio I nel febbraio 1595 perché servisse da modello ai Carracci che dovevano decorare il salone di palazzo Farnese. Nel 1597 il M. inviò a Filippo II una memoria in cui difendeva il comportamento del defunto duca e l’anno seguente chiese al re che gli venissero corrisposte le annualità della pensione che da tempo non gli erano state pagate. Nel marzo 1600 acquistò dal cardinale Francesco Sforza di Santa Fiora il feudo di Felino.
Il M. morì, probabilmente a Parma, agli inizi di settembre 1600. Designò erede universale con diritto di primogenitura il figlio Giovan Battista, al quale lasciò anche ingenti debiti.
Il M. fu molto legato al letterato Pomponio Torelli, conte di Montechiarugolo, personaggio di spicco della corte farnesiana, e a Leolazzaro Haller, castellano di Piacenza, che, scrivendo al figlio del M. una lettera di condoglianze, ricordava la sua amicizia quarantennale con il padre, iniziata nel 1557, quando entrambi erano stati paggi. Il M. lasciò un’importante collezione di dipinti fiamminghi, acquistati durante la sua permanenza nei Paesi Bassi, fra cui i due celebri dipinti di Pieter Bruegel il Vecchio: il Misantropo e la Parabola dei ciechi, entrambi datati al 1568, e i Sette peccati capitali di Jacques de Backer, tutti conservati a Napoli nel Museo naz. di Capodimonte. Nel 1592 aveva iniziato, tramite Michele Guardini, tesoriere ducale che gli fungeva da agente, la costruzione di una villa ad Arola, sulle colline presso Parma (forse da identificare con l’attuale villa Peroni). Il 17 febbr. 1592 sottoscrisse, con procura a Guardini, una convenzione con Achille Turbati, collaboratore dello scultore e architetto Simone Moschino, per lavori di marmo su progetto di quest’ultimo, nella cappella del Crocefisso nella chiesa di S. Giovanni Evangelista di Parma, che il M. aveva acquistato qualche tempo prima (la cappella, la terza di destra, non si conserva, ma ne è stato identificato il probabile disegno a Monaco di Baviera, nella Staatliche Graphische Sammlung, inv. 4943). Per l’altare della cappella nel 1595 commissionò un dipinto a Otto van Veen, che era stato pittore di corte di Alessandro e lo aveva aiutato nell’acquisto di dipinti per la sua collezione.
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