DELLA RENA (Della Arena, De Arena, Arena), Cosimo (Cosma)
Nacque a Firenze l'8 genn. 1615 (e non 1614, come erroneamente si trova presso molti autori) da Orazio, segretario della granduchessa di Toscana Maria Maddalena d'Austria-Tirolo, e da Margherita di Francesco Quaratesi.
Benché la famiglia di origine provenisse dai ranghi della borghesia professionistica (medici e giuristi), tanto il D. quanto il fratello Ferdinando preferirono intraprendere la carriera militare, forse a causa delle difficoltà familiari seguite alla prematura morte di entrambi i genitori, o forse perché lo spirito dei tempi e la stessa politica del granduca Ferdinando II tendevano a creare una situazione di privilegio per i membri della milizia. Nel 160, alle prime avvisaglie della cosiddetta guerra di Castro, il D. venne nominato "capitano di duecento fanti" e inviato alla fortezza di Terra del Sole. Di qui lo vediamo corrispondere, nel 1642, con l'erudito Carlo di Tommaso Strozzi, una delle figure più autorevoli nell'ambito dell'antiquaria non solo fiorentina, la cui protezione e amicizia permise al D. di introdursi nei circoli culturali fiorentini prima e romani poi.
Entrato a far parte dell'Accademia degli Apatisti nel 1650 (in seguito fu anche accademico fiorentino e della Crusca), ebbe modo di coltivare i suoi interessi storico eruditi e di maturare una crescente sensibilità scientifico-metodologica grazie al contatto con personaggi quali Carlo Dati, cui lo stringerà una duratura amicizia, e Francesco Maria Fiorentini, lo storico lucchese che aveva dato il primo esempio di una rivalutazione storiografica dell'età barbarica e altomedievale attuata attraverso l'applicazione delle metodologie bollandiste e maurine.
La passione erudito antiquaria si innestava nel D. su di un profondo sentimento della patria che, se aveva forse l'effetto di restringere gli orizzonti storiografici, stimolava d'altro canto in lui un'indagine storica motivata, vissuta anche come ricerca delle proprie origini individuali e collettive. Di qui l'interesse per la civiltà etrusca, sentita come una parte ancora incognita della storia toscana, e di qui i ripetuti ma vani tentativi di decifrarne la scrittura, che occuparono il D. per vari anni senza risultato alcuno.
Trasferitosi a Roma, dal 1656 al 1658 frequentò gli ambienti dell'antiquaria romana. In questo periodo, secondo un processo evolutivo comune ad altri eruditi contemporanei che avvertivano l'esigenza di una radicale rivalutazione storiografica delle varie storie locali e regionali del periodo postclassico, egli maturò l'interesse per l'alto Medioevo ed il progetto di raccogliere i dati necessari per ricostruire la successione dei duchi e marchesi longobardi in Toscana, sull'esempio del Fiorentini. Rientrato a Firenze, proseguì nell'attività di regestazione e spoglio di interi fondi archivistici, acquistando una esperienza che gli meritò, nel 1665, l'incarico di "assistere alla cura, buon ordine e conservazione" delle carte del fondo Segreteria Vecchia e di altri archivi di magistrature fiorentine (cfr. motu proprio granducale del 31 genn. 1665, in Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 1842, c. 126).
Alla preminente attività di studio il D. non mancò di affiancare una certa partecipazione alla vita pubblica nei gradi medi della burocrazia granducale: nel 1652 fu nominato soprastante alle Stinche, nel 1654 tra i Dodici buonuomini e nel luglio dello stesso anno membro del Consiglio dei duecento. Eletto due volte fra i Capitani di parte (nel 1662 e nel 1680), fu ufficiale dell'Onestà nel 1665, ancora soprastante alle Stinche nel 1668, membro dei Dodici buonuomini nel 1670, dei procuratori di Palazzo nel 1676 e dei Nove conservatori del dominio nel 1677.
Nel 1683 fu eletto console dell'Accademia Fiorentina e nel 1687, con il nome di Sincero da Lamole, pubblicò la Cognazione del duca e marchese di Toscana Ugo il Salico e della consorte Giuditta nel Giorn. dei letterati di Parma, l'organo della nuova antiquaria fondato da Benedetto Bacchini con l'intento di introdurre e diffondere in Italia i metodi critici di Mabillon e Papenbroek. Tre anni più tardi, nel 1690, vide la luce il frutto delle sue ormai decennali ricerche: la prima parte di Della serie dei più antichi duchi e marchesi della Toscana, in cui si ricostruiva, sulla base di un notevole apparato di spogli documentari, la sequenza cronologica dei primi signori della Toscana dai Goti a Ottone III.
qIn quest'opera, che segue di appena nove anni il De re diplomatica di J. Mabillon, il D. non solo dimostra una sicura padronanza dei risultati acquisiti dall'erudizione bollandista e maurina, ma anche la piena coscienza della necessaria riforma nel metodo storico che ad essi consegue e di cui espone i caratteri essenziali nell'Introduzione: la distinzione fra autorità originali ("le prove d'autentichi documenti" e il "testimonio di scrittori di que' tempi") e autorità derivate (gli "accreditati scrittori", cioè gli storici non contemporanei che non bisogna aver timore di smentire); l'importanza delle fonti extra letterarie (marmi, bronzi ecc.); la continua verifica e rimessa in questione dei risultati alla luce di nuove prove, secondo lo spirito di quel "metodo sperimentale" galileiano di cui viene tessuto un entusiastico elogio (p. 14).
A questo primo volume avrebbe dovuto seguire un secondo (fino all'imperatore Rodolfo I) e un terzo, costituito dall'apparato critico e dalle note. Rimasta invece incompiuta, l'opera venne continuata da Ippolito Camici che la editò in opuscoli (Firenze 1764-1775) poi raccolti, seguendo un più rigoroso ordine cronologico, da Agostino Cesaretti e pubblicati a Firenze nel 1789 in sei tomi. Le numerose edizioni attestano del successo e del credito di cui l'opera continuò a godere per molto tempo. Ad essa attinse anche il Leibniz (che definì il D. "diligens antiquitatuin ruspator") nella sua ricerca sulle origini della casa di Hannover.
Negli ultimi anni della sua vita la salute malferma impedì al D. di portare a compimento gli altri progetti di studio che si era prefisso, fra cui le genealogie degli stessi duchi e marchesi, dei re longobardi, degli imperatori del Sacro Romano Impero, delle più importanti famiglie fiorentine, ecc.
Morì il 9 dic. 1696 e fu sepolto a Firenze, nella chiesa di S. Francesco al Monte.
Nell'Arch. di Stato di Firenze si trovano alcune sue opere manoscritte: Mss. 190, n. 7, cc. 149-58: Discorso sopra la cittadinanza, priorato et altri ufizidi Firenze, s. d.; n. 8, cc. 159-61 v: Governo di Firenze, s. d.; Ibid. 226: Annotazioni al priorista fiorentino di F. Segaloni,1625; Ibid. 418: Notizie delle antiche schiatte della città e del contado o giudicheria di Firenze, s.d.; Ibid. 472: Libro antico d'armi del MCCCII, 1666; Ibid. 476: Armi di famiglie fiorentine; Ibid. 490: Armi e alberi della famiglia Della Rena. Nella Bibl. nazionale di Firenze, II. IV, 389-463: Spoglidell'archivio dei contratti.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Pucci, cari. 9, ins. 26; Mediceo del Principato 1842, c. 126; Strozziane, IIIserie, 158, cc. 138, 143; Firenze, Bibl. nazionale, Magliabechiano,cl. XXV, cod. 795; Ibid., II. V, 33; Ibid., Carteggi vari,59, 151 s.; E. Sarrini, Otia Palladis,Firenze 1651, p. 162; L. Agostini, Gemme antiche figurate,Roma 1657, p. 33; V. Armanni, Lettere,Macerata 1674, 11, p. 141; F. Cionacci, Vita della b. Umiliana de' Cerchi,Firenze 1682, pp. 203, 338, 432 s.; G. Fontanini, De antiquit. Hortae libri duo..., Roma 1708, pp. 128, 137; S. Salvini, Fasti consolari dell'Acc. Fiorentina,Firenze 1717, pp. 624-29;G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini,Ferrara 1722, p. 135; G, B. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante,Venezia 1747, IV, p. 142; G.B. C. de' Nelli, Vita e commercio letter. di GalileoGalilei,Losanna 1793, I, pp. 157 ss.; D. Moreni, Bibliografia storico-ragionata della Toscana, Firenze 1805, II,pp. 243 s.; P.Risi, Dei tentativifattiper spiegare le antiche lingue italiche e specialmentel'etrusca,Milano 1863, p. 51; G. Sforza, Di F. M. Fiorentini e dei suoi contemp. lucchesi, Lucca 1879, pp. 721 s.; L. Davillé, Leibnitz historien,Paris 1909, p. 91; H. Cochrane, Tradition and Enlightenment in Tuscan Academies, 1690-1800, Roma 1961, p.197; S.Bertelli, Storiografi, eruditi, antiquari e politici, in Storia della letteratura italianaGarzanti,a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, V, Milano 1967, pp. 371 ss.; S. Caponetto, Aonio Paleario e la riforma protestante in Toscana,Torino 1979, pp. 164, 198, 206;G. Mazzatinti, Inventariodei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, XI,pp. 47, 126.