CONTI, Cosimo
Nacque a Roma il 4 marzo 1809 dal conte Giuseppe, maggiordomo di Maria Anna di Savoia, duchessa del Chiablese, sulla quale esercitò un forte ascendente finché non fu licenziato per intervento del re di Sardegna Carlo Felice, e da Orsola dei marchesi Bourbon del Monte.
Compiuti gli studi umanistici Presso gli scolopi, il C. nel 1827, a 18 anni, sposò Adelaide Corsini, figlia del principe Tommaso, imparentandosi così con una delle maggiori famiglie romane. Già allora i suoi interessi si erano precisati orientandosi verso il settore della proprietà fondiaria e verso lo studio e la soluzione dei problemi ad essa connessi.
Ancora giovanissimo, il C. aveva ottenuto da Maria Anna di Savoia, grazie all'appoggio paterno, il godimento di una tenuta a Tormarancia ed era proprietario di un fondo a Vermicino (Frascati). Ma la proprietà cui dedicò tutte le sue cure era quella di Trevignano, un vecchio feudo di 727 rubbia (1.300 ettari circa) sulle rive del lago di Bracciano, che sotto Pio VII era stato eretto in marchesato e dato in enfitcusi perpetua al C., subito trascinato in tribunale dal locale Comune, geloso dei suoi secolari diritti di pascolo.
La causa durò sette anni e si concluse nel 1831 con un primo accordo (la transazione definitiva sarebbe stata stipulata solo nel 1838 e confermata nel 1848), che, se faceva in certa misura salvi i diritti del Comune, consentiva al C. di avviare un piano di investimenti che in tre anni, dal 1834 al 1837, rese ben più remunerativa la proprietà mediante una massiccia serie di interventi: molti terreni furono messi a coltura, fu prosciugata una palude e i terreni bonificati furono dati a mezzadria annua (il C. si assumeva le spese, la produzione era divisa tra proprietario e colono), furono aperte alcune strade, nell'allevamento del bestiame fu introdotta la sòccida, regime equivalente alla mezzadria, furono piantati viti e gelsi importati dall'Estremo Oriente, creati prati artificiali, rinnovate le tecniche produttive nel settore oleario.
Connessa a queste attività, e significativa di una sensibilità del C. per quei movimenti filantropici attivi nelle regioni più progredite come la Toscana e la Lombardia, un'altra ne dispiegò il C. mirante a migliorare le condizioni morali della popolazione con l'imposizione contrattuale ai coloni dell'obbligo di istruire i figli "a leggere e a far di conto" (Grifone, p. 52) e con la richiesta al vescovo di Sutri di autorizzare l'apertura dì corsi elementari per studenti di ambo i sessi.
Il bilancio di questa esperienza, che mutò radicalmente il paesaggio del marchesato (che, con breve del 23 genn. 1835 Gregorio XVI, accogliendo una vecchia istanza del C., aveva eretto in principato con diritto di successione), fu esposto dallo stesso C. in un opuscolo di Consideraziont intorno all'agricoltura di Trevignano (s. i. t.), e apparve più che positivo all'abate A. Coppi, nella cui orbita sembra che il C. si fosse formato, e fu proposto dal Nibby come esempio per "tanti altri potenti e ricchi signori del circondario di Roma per ricondurre la felicità e lo splendore antico sopra i loro possedimenti!" (Analisi storico-topografica, III, p. 289).
Merito precipuo era quello di aver individuato nel problema agricolo uno dei nodi, forse il maggiore, dell'economia dello Stato pontificio e di aver capito che una delle cause della sua arretratezza risiedeva proprio nel mancato adeguamento di strutture, rapporti sociali e metodi tipici del mondo agrario. Su questo terreno non era facile trovare a Roma interlocutori preparati, sia per l'annoso disinteresse dello Stato sia per la diffidenza con cui la grande proprietà assenteista accoglieva le proposte innovative; e fu solo nell'ultimo scorcio del pontificato di Gregorio XVI che il C., con alcuni suoi articoli sul Messaggiero di Roma, l'unico periodico che nello Stato della Chiesa si occupasse di agricoltura "con intenti scientifici" (Majolo Molinari, II, p. 598), poté aprire il dibattito e sottolineare la necessità di creare a Roma una società agraria che, abbandonando i tentativi di sperimentazione fondati essenzialmente sulla buona volontà di pochi coltivatori, impostasse su base scientifica la diffusione di una vera cultura agraria e delle relative tecniche.
Era questa per il C. la premessa indispensabile per ogni realizzazione pratica che non sapesse di improvvisazione, nella certezza che la persistenza di certi istituti antiquati quanto dannosi., come i diritti promiscui, dipendesse in gran parte dallo scarso grado di preparazione teorica dei ceti coinvolti nel settore agricolo; "eccettuati pochi uomini di studio - scriveva in proposito il C. ancora sul Messaggiero di Roma - che conoscono a fondo i principi che regolano i rapporti e gi'interessi degli uomini e della produzione, manca nei più, manca a quelli che prendono parte attiva alla produzione, la face rischiaratrice della scienza tanto astratta che applicata" (ripubbl. in Alcune considerazioni economiche appropriabili all'agricoltura romana, Firenze 1856, p. 11).
Nel quadro del risveglio riformista determinato dall'avvento di Pio IX la fondazione del Pontificio Istituto statistico agrario (1847) parve voler realizzare le idee che il C. aveva esposto a più riprese nel 1846 in una serie di opuscoli in cui aveva cercato di dimostrare l'utilità e l'importanza delle macchine (Sulla campagna di Roma, Firenze 1846: otto lettere, una all'ab. Coppi, le altre a O. Gigli), sostenendo, inoltre, il principio che tutte le classi impegnate nell'agricoltura, i proprietari come i coloni, potessero trarre dal loro lavoro un giusto profitto (Miscellanee agrarie ed economiche, Firenze 1846). In ossequio a tale sua preminenza sul terreno teorico il C. fu allora chiamato a far parte del consiglio di presidenza del Pontificio Istituto statistico agrario e quindi della conunissione incaricata di curare la pubblicazione di un organo di stampa: in questa direzione si appuntava infatti un altro dei grandi interessi del C., che era già collaboratore del giornale L'Italico, foglio liberal-moderato apparso a Roma tra il gennaio 1847 e il marzo 1848 per sostenere la "necessità dell'accordo tra principe e popolo" (F. Dalla Peruta, Il giornalismo dal 1847 all'Unità, in La stampa ital. del Risorg., Bari 1979, II, p. 268), prospettiva, questa, che gli pareva, sul piano politico non meno che su quello economico, ricca di potenzialità da non lasciar cadere. Perciò il moto riformatore romano trovò in lui un sostenitore convinto: ne furono una prova la partecipazione alle molte manifestazioni popolari di plauso e insieme di pressione sul papa, l'accettazione dei coniando del battaglione della guardia civica di Albano (dove nel frattempo si era stabilito), la nomina a consigliere comunale di Roma (24 nov. 1847) e, il 17 giugno 1848, la sua presenza nel secondo elenco di membri dell'Alto Consiglio, la Camera vitalizia di nomina papale creata in ottemperanza al dettato costituzionale.
Ma ciò che più di tutto qualifica in senso riformatore l'atteggiamento del C. nel primo triennio del pontificato di Pio IX e ne svela i contorni decisamente illuminati e forse anche utopistici è il ruolo primario da lui ricoperto nella questione delle ferrovie. Con una notificazione del 7 nov. 1846 Pio IX aveva regolato la materia delle concessioni per la costruzione di linee ferroviarie, indicando nelle compagnie rappresentate da sudditi pontifici le favorite nell'assegnazione delle linee. Tra le società che presentarono un progetto che copriva tutta la rete prevista ci fu la "Società principe Conti e Compagni", in cui, attraverso i nomi più illustri della borghesia ed aristocrazia di tendenza liberale, erano rappresentate tutte le province dello Stato. L'idea originaria del C. era quella di creare una struttura pubblica aperta al piccolo azionariato popolare (ad illustrare questo punto aveva pubblicato un opuscolo di Considerazioni sull'associazione, Roma 1846) che, tenendo lontane banche e capitali stranieri, potesse dotare la comunità di un servizio indispensabile e insieme evitasse quei casi di clamorosa speculazione verificatisi soprattutto all'estero.
Ma l'ostilità per il grande capitale privato palesata nel progetto di fondazione apparve preoccupante a più d'uno; e significativa sarebbe risultata nel suo sarcasmo la testimonianza dello storico G. Spada, uomo legato ai Torlonia, che così avrebbe rievocato quel clima: "Non sentivasi... che parlare ed estollere al cielo il gran progetto, e vantarsi molti nei trivi e pei caffè, che si era fatta la grande scoperta, non esservi più bisogno di ricchi e di grandi capitalisti per eseguire le imprese colossali; il popolo, il popolo solo associandosi poteafar'tutto. Si disse, è vero, che il progetto sentiva, anziché no, di socialismo, ma a quei schifiltosi che così parlavano, si facevan le beffe, si dava loro la baia, e in conto di oscurantisti ritenevansi e proverbiavansi" (Spada, I, p. 83).
Gli attacchi non cessarono anche dopo che, con l'emanazione di uno statuto, la Società ebbe assunto il nome di Nazionale e mostrato con l'ernissione di 250.000 azioni da 100 scudi l'una di volersi rivolgere a un pubblico più selezionato; a sostenere la causa dei C. e dei suoi soci dovette levargi allora la voce autorevole di C. I. Petitti (Difesa della Società Nazionale per le strade ferrate pontificie scritta... in risposta ad alcuni articoli contro di essa e altri scritti, Roma 1847), il quale affermò che lo statuto della Società e gli articoli esplicativi pubblicati da G. Recchi, S. Anau, L. Carpi sul periodico romano LaLocomotiva offrivano in fatto di correttezza amministrativa e capacità professionale tutte le garanzie per una attribuzione alla Società delle richieste concessioni. Nei mesi agitati che precedettero la nascita della Repubblica romana, il carattere innovatore in campo economico della Società assunse una valenza diversa che le fece trovare un certo seguito nelle Legazioni e la fece diventare, stando al Minghetti che ne era socio, "piuttosto un centro politico che una vera e propria impresa economica" (Mieiricordi, vol. I, Torino 1888, p. 220).
Dopo la parentesi repubblicana, rispetto alla quale, a quanto se ne sa, si era tenuto in disparte, il C., in società con il principe C. Altieri e con A. Ferlini, tentò di riprendere il progetto delle concessioni ferroviarie: ma gli ostacoli burocratici, gli intralci d'ogni genere, le spese improduttive vanificarono tutti i suoi sforzi; e secondo il Cerroti furono proprio i dispiaceri e le preoccupazioni causatigli da questa vicenda ad affrettare la sua scomparsa avvenuta ad Albano il 2 luglio 1855. Un anno prima, il 27 luglio 1854, le condizioni economiche evidentemente compromesse lo avevano costretto a vendere ai Torlonia quel principato di Trevignano nel quale aveva profuso capitali, energie e speranze.
Fonti e Bibl.: L'istanza del C. per l'erezione in principato del marchesato di Trevignano e la relativa decisione del papa sono in Arch. Segr. Vaticano, Segreteria dei Brevi, 1835, vol. 4888, n. 158. Nello stesso Archivio, nel fondo Segreteria di Stato, si possono consultare documenti sull'attività imprenditonale del C.; in particolare, sulla richiesta delle concessioni ferroviarie si veda la rubrica 58, 1850, Prot. nn. 14.291, 14.382, 14.448, 19.199, e 1851, nn. 22857. Quasi tutte le notizie sulla vita del C. si ricavano dal breve necrologio di Fr. Cerroti, Cenni sulla vita del cav. priore C. C., principe di Trevignano, Firenze 1855. Tra le fonti coeve si v. P. Bondi, Mem. stor. sulla città Sabazia... sotto gli auspici di C. C., Firenze 1836, pp. 34 s.; A. Nibby, Analisi storico-topografico-antiauaria della carta de' dintorni di Roma, 2 ediz., Roma 1849, III, pp. 289 s.; A. Coppi, Annali d'Italia, t. IX (1846-47), Firenze 1859, p. 84; G. Spada, Storia della rivol. di Roma e della restauraz. del gov. pontificio..., Firenze 1868-70, I, pp. 82 s., 112, 207, 280 ss., 355, 418; II, p. 370; G. Moroni, Dizionario d'erudizione storico-eccles., indici, II, ad nomen. Utili anche repertori bibliogr. quali C. De Cupis, Saggio bibliogr. degli scritti e delle leggi sull'Agro romano, Roma 1903, p. 42, e Id., Supplem. al saggio bibliogr...., Caserta 1926, p. 23; e, per il giornalismo, O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, Roma 1963, ad Indicem. Pochi i contributi storiografici: tra quelli più rilevanti si vedano C. Tivaroni, Storia critica del Risorg. ital., II, Torino 1893, pp. 280, 284, 361; P. Negri, Leferrovie dello Stato Pontificio (1844-70), in Arch. econ. dell'unificaz. italiana, Roma 1967, ad Indicem;L. Grifone, Trevignano romano, Roma 1969, pp. 49-55; G. Tomassetti, La campagna romana..., VII, Indici, Firenze 1980, ad nomen;C. M. Travaglini, Il dibattito sull'agricoltura romana nel sec. XIX (1815-70). Le Accademie e le Società agrarie, Roma 1981, ad Indicem;sulpadre del C. si veda O. F. Tencajoli, Principesse sabaude in Roma, Roma 1939, ad Indicem.