COSA (Cosa)
Città dell'Etruria marittima, su un diverticolo dell'Aurelia, nei pressi di Orbetello, su un colle a cono tronco nelle propaggini meridionali del Monte Argentaro. Virgilio (Aen., X, 167) la nomina tra le città etrusche, ma da Plinio (Nat. Hist., III, 8) sappiamo che Cosa apparteneva al territorio di Vulci, nel quale, dopo la conquista romana, fu dedotta una colonia latina (273 a. C.).
Nel 209 a. C. fu tra le colonie latine che diedero contingenti nella guerra punica e nel 199 e 196 vi furono dedotti altri coloni (Liv., XXVII, 10; XXXII, 2; XXXIII, 24). Ebbe la cittadinanza romana e divenne municipio al tempo della guerra sociale. Al tempo delle guerre civili Lucio Domizio Enobarbo, che possedeva su quella costa immensi latifondi, ne mosse ad occupare Marsiglia (Caes., Bell. Civ., I, 34). Al tempo di Rutilio Namaziano (Itin., I, 285-90), Cosa appariva già deserta, essendo stata verisimilmente devastata dai Visigoti di Alarico.
Nelle vicinanze era il Porto Cosano, importante per le comunicazioni con la Corsica e la Sardegna, e lungo la costa, nel luogo detto Bagni o Grotte della Regina, esistono tuttora importanti lavori sulla roccia, che dovevano avere ufficio di vivai di pesce.
Della città avanza, assai ben conservata, la cinta di mura, di opera poligonale, di pianta quadrangolare, di un miglio circa di circuito, con 14 torri e 3 porte; rimonta al secolo V-IV a. C.
Nell'alto Medioevo, forse nel sec. IX, sorse sul luogo un centro abitato che ebbe nome Ansedonia, poi la città ritornò definitivamente deserta.
Bibl.: K. Miller, Itin. Rom., Stoccarda 1916, p. 245; G. Dennis, Cities and cemeteries of Etruria, II, pp. 245-61; G. Micali, Mon. per servire alla storia d'antichi popoli italiani, tav. IV; F. Noack, in Röm. Mitt., 1897, p. 193 segg.; Corpus Inscr. Lat., XI, pp. 2634-43.