COSA SACRA
. È la cosa destinata al culto divino per mezzo della consacrazione o di una benedizione. La nozione di cosa sacra (res sacra) risale al diritto romano. Questo, dividendo le cose dal punto di vista della loro condizione giuridica, pone fra le cose extra patrimonium, non suscettibili di essere oggetto di proprietà privata o di commercio, una categoria di cose che derivano tale carattere da ragioni d'indole religiosa, per i diritti degli dei su di esse.
Tali cose (res nullius divini iuris) si dividono a loro volta in sacrae, religiosae e sanctae. Le res sanctae, che sono solo quodammodo divini iuris (Gaio, 2,8), non avendo, benché poste sotto una speciale tutela degli dei, attinenza col culto, comprendono le mura e le porte della città e i termini dei campi. Le res religiosae sono quelle consacrate agli dei inferi (diis Manibus relictae, Gaio, 2,4), cioè le sepolture. Le res sacrae infine (diis superis consecratae, Gaio, 2,4) sono quelle debitamente consacrate per il servizio divino mediante una speciale cerimonia, e sono immobili (templi, lucus) o mobili, come gli arredi per il culto (cfr. Galante, La condizione giuridica delle cose sacre, I, Torino 1903, p. 3 segg.; Ferrini, Pandette, Milano 1917, p. 255 segg.).
Per il diritto canonico, a differenza del diritto romano, le cose sacre non sono assolutamente incommerciabili. Ordinariamente si considerano bensì fuori commercio, ma nel senso che non possono alienarsi se non in circostanze eccezionali; per quanto dunque possano formare oggetto di diritti privati, debbono rimanere sempre cose sacre, cioè conservare destinazione esclusiva a scopo di culto finché non sia tolto loro il carattere sacro. Possono pertanto venire vendute o permutate, a patto che nella stima del prezzo non si tenga alcun conto della consacrazione o della benedizione da loro ricevuta (Cod. iur. can., c. 1539 § I), ciò che costituirebbe il delitto di simonia. Il diritto canonico distingue le cose sacre, a seconda della diversa solennità degli atti coi quali sono destinate al culto, in cose consacrate e cose benedette. La categoria delle cose consacrate, cioè rese tali mediante la cerimonia solenne della consacrazione fatta dal vescovo, comprende le chiese, ossia gli edifici destinati al culto ordinario e alla custodia dell'Eucaristia, gli altari fissi e portatili, i calici e le patene. Le cose benedette, che acquistano cioè tale carattere mediante una benedizione costitutiva (con la quale una persona o una cosa è costituita permanentemente sacra e sottratta all'uso profano), sono i cimiteri, le campane, i tabernacoli, la suppellettile di culto. Le chiese si dicono esecrate quando perdono la consacrazione o la benedizione; si dicono violate quando in esse si commetta un determinato atto di profanazione. Nella chiesa violata non si possono più celebrare uffici divini, amministrare sacramenti, seppellire morti; essa deve essere al più presto possibile riconciliata (c. 1172 segg.). Anche il cimitero può essere violato per le stesse cause, ma la sua violazione è indipendente da quella della chiesa (c. 1172). Le suppellettili sacre perdono la benedizione o la consacrazione se per lesioni o mutamenti abbiano perduto la forma primitiva o non siano più idonee al loro uso, se adibite a uso indecoroso o esposte a pubblica vendita (c. 1305).
Nel diritto italiano sono sorte varie questioni intorno alla natura giuridica delle cose sacre e specialmente delle chiese. Una prima opinione, sostenuta soprattutto in passato, per cui esse sono res nullius, è ripudiata oggi dal più degli autori, ed è contraria allo stesso diritto canonico che le riconobbe suscettive di proprietà anche privata. Parimenti sono ormai superate le teorie che ne attribuivano l'appartenenza al demanio dello stato o delle provincie o dei comuni. Rimane controverso se le chiese possono essere di proprietà di enti morali o di privati, o costituiscano un demanio ecclesiastico, analogo al demanio statale. Vivo dissenso vi è ancora sull'altra questione della commerciabilità o meno delle chiese; fra le teorie opposte sembra specialmente notevole la dottrina che, mentre ritiene gli edifici di culto in quanto tali non suscettibili di alcuna qualificazione giuridica per tutto ciò che è rapporto di proprietà, crede invece che sopra gli edifici di culto aperti al pubblico gravi una servitù di uso pubblico, la quale verrebbe a produrre quasi tutti gli effetti pratici della extra commerciabilità.
Nel diritto penale la condizione di cosa sacra, pur senza essere presa espressamente in considerazione in base al concetto canonistico, viene tuttavia ad avere una speciale tutela con le disposizioni che reprimono il vilipendio di cose destinate al culto, lo sfregio di cose esistenti nei luoghi destinati al culto o nei cimiteri (art. 142 segg. cod. pen.), ecc., e aggravano le penalità per il furto (art.403, n.3), l'incendio e il danneggiamento (art.300, 424, n. 3).
Il concordato 11 febbraio 1929 lascia in massima impregiudicato quanto concerne la condizione giuridica delle cose sacre; dispone però (art. 9) che di regola gli edifici aperti al culto siano esenti da requisizioni od occupazioni, salvo il caso di gravi necessità pubbliche e prevî accordi con l'ordinario, o almeno con immediato avviso in caso di assoluta urgenza, e che (art. 10) non si potrà per qualsiasi causa procedere alla demolizione di edifici aperti al culto se non previo accordo con la competente autorità ecclesiastica.