cortesia
Parola-chiave della civiltà medievale, aveva però già allora un significato consunto nella trita realtà quotidiana (" gentilezza di modi ", " urbanità ", " benevolenza ", " generosità ", " onesto e virtuoso operare " e affini): logicamente quindi il primo paragrafo dovrebbe figurare per ultimo, proprio a testimoniare la fatale involuzione o l'impoverimento di un termine così pregnante e impegnativo.
1. Al valore più convenzionale si richiamano: Rime LVII 18 merzé di vostra grande cortesia; LX 12; LXX 2 Ditemel, s'a voi piace, in cortesia (sintagma ormai stereotipo, analogo al ‛ per c. ' del comune linguaggio odierno); If XXXIII 150 e cortesia fu lui esser villano, dove la tradizionale opposizione c.-‛ villania ' (quasi per oxymoron) ha consentito due diverse interpretazioni: quella della linea Torraca-Sapegno, ecc. (" fu atto di cortesia essere villano con un tale uomo ", " fu cosa onesta tradire il traditore ") e l'altra di Rossi-Grabher, ecc. (" l'alleviare la pena stabilita per un dannato sarebbe stato atto colpevole verso Dio; quindi fu doveroso non mantenere la promessa "), che prende le mosse dalla chiosa del Buti: " aprir li occhi a colui era... fare contro la giustizia di Dio, la qual cosa sarebbe stato grande villania, e però non farlo fu cortesia ".
Con sfumatura più eletta, dovuta forse al riverbero dell'aura celeste e insieme alla dignità della corte paradisiaca e della sua santa baronia: Pd XII 143 l'infiammata cortesia / di fra Tommaso e 'l discreto latino.
2. Nel valore inscindibile dalla civiltà medievale che l'ha generata, e della quale D. rappresenta l'ultima e più consapevole propaggine, cioè di " magnanimità ", " generosità ", " larghezza ", " liberalità ", " cultura ", " prodezza ", virtù che nel loro complesso si legano a una secolare Weltanschauung europea, c. si trova in primo luogo discussa e definita in una grandiosa formulazione del Convivio (II X 7-8), ove la tensione ideologica ci assicura dell'importanza del passo, sia per la collocazione in un momento di stasi meditativa, sia per il ricorso a ragioni sociologiche oltre che culturali: nulla cosa sta più bene in donna che cortesia. E non siano li miseri volgari anche di questo vocabulo ingannati, che credono che cortesia non sia altro che larghezza; e larghezza è una speziale, e non generale, cortesia! Cortesia e onestade è tutt'uno; e però che ne le corti anticamente le vertudi e li belli costumi s'usavano, si come oggi s'usa lo contrario, si tolse quello vocabulo da le corti, e fu tanto a dire cortesia quanto uso di corte.
Sono qui già attive le componenti essenziali della nozione dantesca di c.: l'analisi della genesi storica del concetto; il rimpianto della rettitudine antica e la connessa polemica contro la decadenza dei costumi curiali. Si aggiunga l'individuazione della c. come synolon non riducibile a una virtù isolata, sia pur essa la ‛ liberalità ', il cui vizio opposto è l' ‛ avarizia ' (si pensi a Folgore), ma semmai alla più vasta orbita semantica di onestade (più o meno coincidente con quella di honestas): con un tentativo di conciliazione fra l'ideale cavalleresco (le vertudi) e quello classico dei modi decorosi ed eleganti del comportamento sociale (li belli costumi), peraltro già implicito nella tradizione francese (si ricordi come in VE I XVIII 4 la curialitas si definisse librata regula eorum quae peragenda sunt, cioè in sostanza " ordine " o " misura ").
Ma già alcuni ingredienti fermentavano nell'operetta giovanile, scevri però ancora delle più alte implicazioni del termine: Vn III 1 per la sua ineffabile cortesia, la quale è oggi meritata nel grande secolo, mi salutoe (importante il nesso fra c. terrena e premio celeste); VIII 10 13 Dal secolo hai partita cortesia (la Morte villana ha rapito una giovane amica di Beatrice); X 1 troppa gente ne ragionava oltre li termini de la cortesia; XII 2 chiamando misericordia a la donna de la cortesia. Anche in Rime LXXXVI 3 l'una ha in sé cortesia e valore [" pregio amoroso "], / prudenza e onestà in compagnia, e XLVII 19: mentre in Rime dubbie XXVI 5 c. appare personificata assieme a beltà (Beltà e Cortesia sua dea la chiama).
In altri passi del trattato - a differenza del primo citato - c. s'allinea con troppi termini, più o meno equipollenti o complementari, per assumere un rilievo ideologico esemplare: IV XXVI 12 (giustificando la necessità della c. per la giovinezza) però che [lievemente merita perdono l'adolescenza, se di cortesia manchi, per minoranza d'etade, e però che,] nel contrario, non la puote avere la senettute, per la gravezza sua e per la severitade che a lei si richiede; e così lo senio maggiormente; XXVI 13 E questa cortesia mostra che avesse Enea questo altissimo poeta; e nella chiusa, ribadendo per accumulazione il concetto: XXVI 15 Per che è manifesto che a questa etade lealtade, cortesia, amore, fortezza e temperanza siano necessarie.
Così anche nella Commedia si registrano episodi concettuali di più lieve orbita, come If XVI 67 cortesia e valor dì se dimora / ne la nostra città sì come suole, / o se del tutto se n'è gita fora, pur significativo per la sutura con ‛ valore ' (potenza di natura, o vero bontade da quella data, secondo la definizione di Cv IV II 11), cioè col termine insieme al quale c. sembrava comprendere tutto l'ambito delle virtù confacenti all'animo nobile e necessarie al conseguimento dell'‛ onore '; e insieme per la franca requisitoria contro orgoglio e dismisura della gente nuova, sorta e alimentata dai sùbiti guadagni. Ma su questo punto illumina esemplarmente lo Huizinga (L'autunno del Medioevo, trad. ital., pp. 32-33): " Nello spreco l'avarizia si sposa all'antico orgoglio: e questo era ancora forte e vivo... l'unione con l'orgoglio primitivo conferisce alla avidità o cupidigia del tardo Medioevo quel tono di immediatezza e di passionalità, di esasperazione che i tempi più recenti sembrano aver perduto completamente. Il Protestantesimo e il Rinascimento hanno dato all'avarizia un contenuto etico, l'hanno legalizzata in quanto utile fattore di prosperità ".
Ancor più limitato il circuito disegnato dall'unico esempio del Paradiso, volto a esaltare uno dei connotati fondamentali della c., la " liberalità " o la " magnificenza " di Bartolomeo della Scala, o meglio dell'intera casata: XVII 71 Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello / sarà la cortesia del gran Lombardo / che 'n su la scala porta il santo uccello.
Tuttavia nel poema il termine c. andrà assumendo un significato più alto, che trascende sia il piano dinamico della liberalità sia il piano formale di un elegante atteggiamento sociale, e in sostanza il loro denominatore comune etico-estetico di ‛ ordine-misura ' (Huizinga, op. cit., trad. cit., p. 88: " In quanto ideale di vita bella, la concezione cavalleresca ha una sua caratteristica singolarità. È un ideale estetico nella sua essenza, composto di variopinta fantasia e di emozione eroica. Però, vuol essere un ideale etico: il pensiero del Medioevo poteva render omaggio a un ideale di vita soltanto se lo poneva in relazione con la pietà e la virtù "). Esso vi acquista invece un vigoroso rilievo morale, recuperando in pieno un'ormai scolorita carica semantica, come " nobiltà d'animo ", " magnanimità ", esprimendo così una nuova etica della nobiltà umana. Si allarga cioè l'ambito semantico di c., e vi penetrano - accanto e sopra alle doti sociali della liberalità e del bel vivere - la nobiltà dell'animo e la tensione eroica del magnanimo operare.
Due nuclei grandiosi innervano la seconda cantica, costituendone il punto focale di riferimento ideologico, o meglio il tentativo di nobilitazione della costante ‛ amicizia ' in quella socialmente più produttiva di c.; pur se il ritrovarla assente sulla scena del mondo (e solo viva nella memoria) indurrà D., dialetticamente, a renderla attuale negl'incontri amicali del Purgatorio, nella religiosa caritas dell'amicizia, insomma nel patetico culto delle radici di ogni affinità elettiva (v. AMISTÀ, ecc.). Si tratta in primo luogo di XIV 110, dove il sentimento nostalgico dell'antica nobiltà d'animo e la vigorosa polemica contro la decadenza moderna dei costumi, non che esaurirsi in un'antitesi sconsolata e inerte, si fondono fulmineamente nella formula poetica dell'ideale cortese, che in appena due versi sa ricomporre emblematicamente gli elementi costitutivi di una civiltà, richiamando nel suo ritmo alterno, per coppie complementari, l'iniziale binomio del ben richesto al vero e al trastullo (v. 93). Ferrea la logica di D., pur nell'assoluto abbandono fantastico e memoriale della deploratio, rompendosi lo schema dell'ubi sunt? in una più maschia formulazione: le donne e ' cavalier, li affanni e li agi / che ne 'nvogliava amore e cortesia / là dove i cuor son fatti si malvagi. Quanto alla persistenza almeno ideale di simile messaggio fino al pieno Rinascimento, sarà un caso istruttivo che la chiosa più centrata su questo memorabile passo ci venga proprio dal Landino: " Significa... che per amore della virtù fussino volonterosi a sopportare fatiche e, per usare liberalità inverso chi si conveniva, seguitavano gli agi "; notevole anche perché mostra di avere colto il segreto rapporto col v. 93. Troppo attenti invece alla connotazione formale della ‛ dignità ' o del ‛ decoro ', i commentatori trecenteschi: il Lana adoperava una formula come " stile e vivere virtudioso e degno di lode ", cioè (per endiadi) " stile di vita "; Benvenuto glossava amore e cortesia con " amor et liberalitas duo sunt quae inducunt homines ad pulcra et delectabilia "; l'Ottimo parlava di " bello vivere " impoverendo la sfera etica della c. a vantaggio di quella mondana o edonistica.
Nel breve ma energico accenno di Marco Lombardo, uno dei pochi uomini in cui rampogna / l'antica età la nova, ritorna quel perentorio binomio di virtù energetica ‛ prodezza ' politica o militare) ed etico-sociale (‛ liberalità '), qualità proprie dei cavalieri o di chi a quella civiltà s'ispira; e ancora una volta l'idoleggiata età antica si contrappone drammaticamente alla squallida situazione presente: In sul paese ch'Adice e Po riga, / solea valore e cortesia trovarsi, / prima che Federigo avesse briga; / or può sicuramente indi passarsi / per qualunque lasciasse, per vergogna, / di ragionar coi buoni o d'appressarsi (XVI 116). La deploratio si estende dalla Romagna alla Lombardia, senza sterili cedimenti alla malinconica tematica dell'ubi sunt? o all'ineluttabile forza del tempo che tutto dissolve, ma con un fiero atto d'accusa contro la cupidigia umana che ha inaridito la fonte del magnanimo operare. I grandi spiriti celebrati da Guido del Duca e da Marco Lombardo non incarnano solo l'ideale formale di una società naufragata con la crisi del comune e il rapido trasformarsi delle strutture economiche italiane fra i secoli XIII e XIV, ma si configurano nell'accesa fantasia dantesca come esemplari di civile nobiltà, alla stessa stregua dei magnanimi del mondo classico ricordati nell'Inferno. Il concetto di c. sfocia quindi in quello di ‛ magnanimità ', la virtù morale moderatrice e acquistatrice di grand'onori e fama (secondo la definizione di Cv IV XVII 5), già acquisito al pensiero medievale che aveva elaborato, sulla base dell'Etica nicomachea, la categoria etica della megalopsychia comprensiva dell'eccellenza umana sul piano tanto teoretico quanto pratico, sorretta dal dominio della ragione e dall'ansia di alte imprese, perché onore e fama li succeda. Onde il recupero dei grandi antichi, pensatori e uomini d'azione, fra gli spiriti magni del Limbo; ma insieme anche del Saladino, tipo ideale di sovrano cavalleresco; e la saldatura del binomio c.- ‛ valore ' con l'altro ‛ magnanimità ' - ‛ onore '. Si rendeva così possibile il recupero almeno implicito del concetto di ‛ virtù eroica ' (già in Aristotele) e la conseguente identificazione fra la virtù classica della fortitudo e il mito romanzo dell'aventure sigillato da hardement e proesce. In virtù dell'equazione c. - ‛ magnanimità ', D. giunge così a concepire un esemplare di umanità che compendia in sé gli attributi dell'idealità romanza e di quella classica, configurando l'ideale cortese-cavalleresco in una nuova dimensione eroica.
3. In un senso moralmente più alto di quello medievale-cavalleresco, in quanto riferito a Dio (che è poi la matrice originaria del termine, revocato alla corte celeste da un'ininterrotta tradizione patristica): Vn XLII 3 colui che è sire de la cortesia; Pd VII 91 Dio solo per sua cortesia, " nella sua infinita bontà e misericordia ".
4. Nel Fiore, ligio al Roman de la Rose, si trova spesso il personaggio di Cortesia: è la madre di Bellaccoglienza (XV 9, XXXI 7), che pianta il Fiore nel giardino di Piacere (I 3 e 12); appartenendo alla Baronia d'Amore (LXXIX 3) viene incaricata di ammansire la Vecchia (LXXXIV 5); è la prima, con Larghezza, a penetrare nel castello di Gelosia dopo l'uccisione di Malabocca (CXXXVI 14, CXXXVII 6), a liberare Bellaccoglienza (CCXXVI 3 e 7), infine a intercedere presso la figlia a favore di Amante (cfr. CCXXVII).
Nella stessa operetta c. figura come nome comune in due sintagmi fondamentali, caratteristici del formulario di quella civiltà anche nella sua rielaborazione borghese e fiorentina: per cortesia (LVIII 4) o per gran cortesia (CXXVII 1); e ‛ far c. ', nel senso di " agire magnanimamente " (XLIII 1 guarda s'tu fai cortesia / di scondir del tu' amor tal damigella), oppure col dativo pronominale, per " favorire " e simili (LXVII 8 molto mi fece Iddio gran cortesia; CXIV 7 gran merced'è a farli cortesia; CLXXII 11 tu sie presta / a fargli tutta quanta cortesia). Si aggiunga infine un modulo peculiare del lessico cavalleresco: LXXI 7 già tanto non avrebbe in sé bellezza, / cortesia né saver né gentilezza, / ched ella gli degnasse pur parlare; ma sono pallidi frammenti di una grande immagine ideale ormai estranea allo spirito caustico di ser Durante.
Bibl. - A. Vallone, La " cortesia " dai provenzali a D., Palermo 1950; ID., Il concetto di nobiltà e cortesia nei secoli XIV - XV, in " Rendic. Accad. Lincei " s. 8, IX (1954) 8-20; R. Boehringer, " Cortesia del cuore " in der D.C., in " Antidoron " (1962) 258-271; R.M. Ruggieri, " Prima che Federico avesse briga ", in Atti del Convegno di Studi su D. e la Magna Curia, Palermo 1967, 306-314; R. Lo Cascio, Le nozioni di cortesia e di nobiltà dai Siciliani a D., ibid. 113-184.