CORSINO (Accursino) d'Accorso
Minore dei quattro figli del celebre giurista Accorso, nacque nel 1254 sicuramente a Bologna. Sua madre fu Aichina, o Aiclina, seconda moglie di Accorso.
L'età avanzata di questo indusse il Kantorowicz a collegare con la nascita una diceria giunta fino ai tempi di Bartolo da Sassoferrato e da lui ripetuta, accolta da Baldo degli Ubaldi nello scritto, perduto, rievocativo di alcuni grandi giuristi, pervenuta a noi tramite il Diplovataccio: l'avversione scientifica e personale di Accorso per il collega Ugolino dei Presbiteri avrebbe avuto origine da una relazione adulterina. Il Kantorowicz, pur costretto a riconoscere che il glossatore Ugolino, morto un ventennio prima, non poté generare C., giudicò comunque sospettabile Aichina e incerta la paternità di Accorso, e non s'avvide neppure che la presunta tresca è riferita dal Diplovataccio in modo così ambiguo da non lasciar comprendere se fosse stato Ugolino ad avere una relazione con la moglie d'Accorso (ma quale moglie?), o non piuttosto Accorso con la donna d'Ugolino.
Ancora in tenera età C. perse i genitori: Accorso era certo già morto nel maggio 1263; nel 1265 anche la madre era morta: lo attesta un documento di quell'anno con cui i fratelli Cervotto e Guglielmo disposero di alcuni beni pervenuti loro dall'eredità materna. Allora C. fu accolto in casa del fratello maggiore Francesco che avrebbe tenuto per lui un maestro: è quanto sostiene il Sarti che segnala un atto, realizzato da Francesco, alla cui conclusione sarebbe intervenuto in qualità di testimone un tal maestro Giacomino definito "repetitor Accursini". Un documento del 24 dic. 1265, riedito ultimamente dal Colliva, registra effettivamente come parte Francesco e come teste un "magister Iacobinus", ma di un suo impegno verso C. non c'è menzione.
Nel 1272 C. entrò in possesso di libri lasciatigli in legato dal padre, libri che, a prescindere dal loro elevato valore venale, avrebbero dovuto, fra l'altro, permettere anche a lui, al pari dei fratelli, secondo quanto Accorso aveva desiderato e preordinato, di seguire gli studi giuridici e di addottorarsi.
Nel 1273 sposò Fraisenda Storlizzi; nel 1274 fu costretto ad abbandonare Bologna: le lotte cittadine fra Lambertazzi e Geremei travolsero anche i discendenti di Accorso notoriamente schierati con i primi. Si attribuisce a questo avvenimento l'interruzione degli studi: C. unico dei figli di Accorso non conseguì mai il dottorato. Lo provano fra l'altro i documenti nei quali gli è riservato soltanto il titolo di dominus e in particolare quelli in cui compaiono anche i fratelli: costoro, e perfino il padre defunto, a differenza di C. sono indicati come dottori.
Rientrò a Bologna almeno nella seconda metà del 1278, dato che il 16 ottobre di quell'anno chiese al Comune la nomina di un curatore, non avendo ancora raggiunta la maggiore età allora fissata, com'è noto, a venticinque anni, per poter vendere alcuni beni dell'eredità paterna.
C. morì nel 1288 lontano da Bologna, di nuovo esule per motivi politici. Lasciò quattro figli: Giovanni (che, secondo una notizia riportata dal Sarti e difficilmente controllabile, C. avrebbe emancipato nel 1280), Cervottino, Castelluccio, Franceschino. Il 30 agosto di quell'anno la moglie Fraisenda chiese al Comune la nomina di un tutore per i figli.
Nel 1299 il Popolo di Bologna deliberò di non considerare più con ostilità i figli di C., ma occorse un provvedimento dell'agosto 1306 perché costoro, nel ricordo del grande avo Accorso, non fossero; più in alcun modo ritenuti di parte Lambertazzi. Si dispose che, equiparati ai Geremei e ai sostenitori della Chiesa, venissero cancellati da ogni lista discriminatoria e sottoposti ai soli tributi e oneri gravanti sui fautori della parte al potere.
Di eventuali uffici ricoperti da C. non si ha notizia. Quando fu bandito da Bologna era appena ventenne e, meno agevolato o meno capace dei fratelli, non aveva molto progredito negli studi giuridici; privo di dottorato, non poté giovarsi come loro del nome paterno per ottenere una cattedra; d'altra parte la condizione d'esule condivisa con tanti concittadini, la cultura modesta, la brevità della vita non favorirono quasi certamente un suo accesso ad una podesteria o ad altro analogo incarico; lignaggio e disponibilità familiari gli risparmiarono più modesto lavoro. Ciò premesso, non si può escludere che un archivio storico di qualche piccola località, ora neppure prevedibile, riserbi una smentita a queste supposizioni.
Fonti e Bibl.: Hyeroninius de Bursellis, Cronica gestorum ac factorum memorabilium civitatisBononte, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIII, 2, a cura di A. Sorbelli, p. 31; P. Colliva, Documenti per la biografia di Accursio, in Atti del Convegno internazionale di studi accursiani (Bologna 21-26 ott. 1963), Milano 1968, II, pp. 390, 394 s., 443 s., 451-4514; C.F. Savigny, Storia del dirittoromano nel Medio Evo, a cura di E. Bollati, Torino 1857, II, pp. 263 s., 405; M. Sarti-M. Fattorini, De claris Archigynmasii Bononiensis professor., Bologna 1888-96, I, pp. 160, 209 s., 210 bis; II, pp. 67 s., 88 s.; V. Vitale, Il dominio dellaparte guelfa in Bologna (1280-1327), Bologna 1901, passim; H. Kantorowicz, Accursio e la sua biblioteca, in Riv. di storia del diritto ital., II (1929), pp. 40, 52 ss., 193 ss.; E. Genzitier, Zur Lebens geschichte des Accursius, in Festschrift für L. Wenger, München 1945, II, pp. 227, 231; Th. Diplovatatius, Liber de claris iuris consultis, a cura di F. Schulz-H. Kantorowicz-G. Rabotti, in Studia Gratiana, X (1968), pp. 79, 93; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1973, VII, pp. 312 s.