Corruzione
Il termine indica un complesso di fenomeni molto diversi fra di loro. Da parte di uno dei pochi studiosi italiani della c. è stato sottolineato che "intorno alla nozione di corruzione gravitano, con traiettorie variabili, categorie che rimandano a moduli di comportamento illecito tra loro assai dissimili, e la cui natura non sempre appare immediatamente riferibile ad una medesima matrice teorica" (Belligni 1987, p. 65): da comportamenti e fenomeni che riguardano la degenerazione dei sistemi sociali o politici (Aron 1965; Friedrich 1963; Fraenkel 1941), a comportamenti privati eticamente "discutibili" (Pizzorno 1993), o ancora a fenomeni afferenti la delinquenza organizzata che usa anche lo strumento della c. (Gambetta 1992; Falcone 1993). Con questo termine vengono cioè intesi fenomeni caratterizzati sì dall'aspetto della segretezza e dell'illegalità formale quali i poteri occulti, le connessioni tra delinquenza e politica, ma anche la compravendita del voto, clientelismo e patronato degli uffici, trasformismo, politicantismo e altri analoghi comportamenti (Territorial politics, 1978; Bobbio 1980).
Per definire il fenomeno conviene procedere per gradi: si può quindi cominciare a delimitarne l'ambito affermando che la c. nei regimi politici, cioè quella che si realizza in sedi pubblico-istituzionali, consiste in un abuso di ruoli e risorse pubbliche con il fine di ottenere vantaggi privati. Abuso in tal senso può essere realizzato da chi detiene posizioni pubbliche o da coloro che cercano di influenzarle. Il problema a questo punto consiste nella individuazione di ciò che costituisce 'abuso'. Questo può consistere nella inosservanza di quelle che sono le regole secondo la pubblica opinione; oppure nel verificarsi di comportamenti contrari all'interesse pubblico, o ancora contrari alle norme, alle leggi formali. La pubblica opinione, l'interesse pubblico, la legge possono cambiare, ma questo ci permette di confrontare i mutamenti nel tempo (Johnston 1986).
Le definizioni basate sul criterio di opinione pubblica a un primo esame sembrano le più semplici: è c. ciò che viene considerato tale dal peso dell'opinione pubblica; un atto è presumibilmente corrotto solo se la società lo condanna come tale, e se chi lo compie sente dei sensi di colpa nel compierlo (Pizzorno 1993).
Una prima critica a questa impostazione deriva dalla vaghezza dello stesso criterio di 'opinione pubblica' (Habermas 1962). È difficile stabilire cosa sia l'opinione pubblica. Se è il risultato dei sondaggi di opinione, dovrebbe vincere la maggioranza dei rispondenti. E in mancanza di risposta dalla maggior parte degli interrogati, potrebbe essere quella ricavata dai giornali o quella del 'pubblico' indifferenziato, o delle élites politiche. Si è cercato di superare questo tipo di critica 'graduando' le forme di c.: J. Heidenheimer (Political corruption, 1970) presenta infatti una c. 'nera', una 'grigia' e una 'bianca'. Nella sua teorizzazione, la c. è determinata dalla relazione tra i giudizi di un particolare atto da parte dell'opinione pubblica e da parte della classe politica o burocratica. Se entrambe giudicano un atto come corrotto ed entrambe vorrebbero che esso venisse represso, allora si è in presenza di una c. 'nera'; al lato opposto abbiamo la c. 'bianca', ovvero quegli atti che pur essendo giudicati da entrambi i soggetti in questione come corrotti, non sono da perseguire nel giudizio di nessuno dei due; tra i due estremi si colloca la c. 'grigia', vale a dire quell'insieme di atti che solo una delle due parti vuole vengano perseguiti e repressi, mentre l'altra li ritiene accettabili. Secondo l'autore quest'ultima è la c. più pericolosa per la stabilità e la durata di un sistema politico, in quanto può portare a conflitti tra quella che ormai viene chiamata 'società civile' e le istituzioni politiche (o una parte di queste).
È certo che questo tipo di definizione incorpora diversi criteri e quindi può risultare euristicamente utile, ma crea anche più problemi di quanti ne risolva; in particolar modo questo tentativo confonde due aspetti del problema c.: realtà e immagine, fatto e rappresentazione: "corruzione e percezione pubblica che un'azione sia corrotta non sono necessariamente la stessa cosa. Possiamo anche considerarne una senza l'altra. Né possiamo basarci solo sulle opinioni o sulle percezioni: le concezioni popolari di 'giusto' e 'sbagliato' sono equivoche. Di conseguenza quelle indagini che chiedono alla gente di giudicare la corruzione scoprono poche divisioni nette tra giusto e sbagliato, piuttosto scoprono uno spettro di giudizi, un alto numero di categorie instabili, basate su sottili e false percezioni" (Johnston 1986, p. 460).
Il secondo criterio si basa sull'interesse pubblico e allarga notevolmente il concetto di corruzione. Rispetto a questo criterio, gli studiosi cui si fa riferimento sono A.A. Rogow e H.D. Lasswell.
"Un atto positivamente responsabile - sostengono - serve un sistema di ordine pubblico o civico nel contesto di una comunità. Le deviazioni dalle norme di ordine pubblico e civico sono atti negativamente responsabili quando sono eseguite da persone capaci di intendere ed esposte all'opportunità di apprendere le norme rilevanti. Diciamo che il cittadino di uno stato democratico agisce in modo positivamente responsabile quando si sforza di proteggere le istituzioni fondamentali e lo schema basilare di distribuzione di valori all'interno della comunità. In un mondo in cui i sistemi di ordine pubblico sono in conflitto, gli atti responsabili sono spesso in conflitto tra loro. Quindi quelli che si identificano con l'ordine pubblico che chiamiamo A considerano le loro spie all'estero persone impegnate in atti di alta responsabilità. Dal punto di vista dell'ordine pubblico che chiamiamo B, naturalmente, gli stessi attori e le stesse attività sono distruttivi. Definiamo atto sovversivo una violazione di responsabilità rispetto a un sistema di ordine pubblico e civile per conto di un altro sistema con cui l'attore viene di fatto, se non formalmente, identificato. Un atto corrotto viola la responsabilità verso almeno uno dei vari sistemi di ordine pubblico e civile, ed è infatti incompatibile, cioè distruttivo, con tale sistema. Un sistema di ordine pubblico e civile esalta l'interesse comune ponendolo al di sopra di interessi particolari; trasgredire l'interesse comune per interessi particolari è corruzione" (Rogow, Lasswell 1963, p. 132).
Questa definizione è stata da più parti aspramente criticata in quanto concentra "la nostra attenzione su qualunque atto o insieme di atti che minacciano la distruzione di un sistema politico, e lascia al ricercatore tutta la responsabilità di determinare ciò che è pubblico o comune interesse prima di asserire che un determinato atto è corrotto [...]. Questa definizione, di fatto, consente a un politico di giustificare quasi ogni atto affermando che esso è nell'interesse pubblico" (Peters, Welch 1978, p. 975).
Infine, se ci si basa sul criterio legalistico, un comportamento è corrotto quando viola uno standard formale o una regola di comportamento predisposta da un sistema politico per i pubblici funzionari. La definizione più articolata è fornita in questo ambito da J.S. Nye, per il quale 'corruzione' è "un comportamento che devia dai doveri formali di un ruolo pubblico (una carica elettiva o dovuta a nomina) per ottenere vantaggi legati a questioni private (personali, di famiglia, di clan privato) relative al denaro o allo status; oppure che viola delle regole stabilite per impedire indebite forme di influenza privata" (Nye 1967, p. 416). Sulla stessa onda si muovono altri autori, sostenendo che "la corruzione è un'istituzione extralegale usata da individui o gruppi per influenzare le azioni della burocrazia" (Leff 1965; Abueva 1966; Benson, Maaranen, Heslop 1978).
Questo tipo di definizione appare ai suoi critici al tempo stesso troppo stretta e troppo larga, in quanto non tutti gli atti illegali sono necessariamente riconducibili alla c., e non tutti gli atti di c., si sostiene, sono illegali. Inoltre, se questo criterio può aiutare il ricercatore che si trova di fronte a norme certe e statutariamente specificate, per colui che invece si trova a operare su un campo in cui doveri formali di ufficio e regole non sono nettamente determinati, il compito appare del tutto irrealizzabile.
Tutte le definizioni che sono state sin qui prese in considerazione mostrano quindi limiti e rischi; tanto vale allora attenersi a quella che, da un lato, tiene più presente la distinzione tra realtà e immagine (o costruzione sociale) della realtà, e, dall'altro, può risultare la più utilizzabile in una ricerca. In altre parole, riteniamo che l'approccio meno ambiguo risulti quello fondato sulla definizione 'legalistica' della c., considerando gli aspetti 'opinione pubblica' come political responses (o non responses) a essa. Come è stato in proposito ben sottolineato "questa prospettiva di analisi focalizza la nostra attenzione sui contrasti tra le norme ufficiali e della società, come problema politico importante di per sé. Risposte o non risposte alla corruzione, siano esse dalla parte del regime, o delle opposizioni politiche, o dei cittadini comuni, sono in certi casi di gran lunga più importanti dal punto di vista 'politico' delle stesse azioni corrotte" (Johnston 1986, p. 461). Si tratta di una definizione che chiama in causa quasi direttamente la percezione da parte dei cittadini di ciò che viene considerato legale o a-legale/lecito e ciò che invece viene visto e considerato come illegale/illecito (Cazzola 1994).
La definizione di c. più semplice per avere almeno un unico comune denominatore nella descrizione e nella comprensione dei fenomeni può essere quindi la seguente. Perché si abbia c., è necessario che lo scambio di favori, sotto forma di baratto o di scambio sociale, presenti le seguenti caratteristiche: a) violazione di norme e di regole sancite normativamente; b) natura clandestina dello scambio tra arene politiche e mercato economico; c) finalità di appropriazione, da parte di individui o gruppi che operano nelle arene politiche o nel mercato economico, di risorse d'uso o di scambio (denaro, prestazioni, influenza ecc.) di provenienza pubblica per una loro utilizzazione non prevista normativamente; d) conseguenza (voluta o accettata), a livello politico, di modificare di fatto i rapporti di potere nei processi decisionali, nonché di divaricare sempre di più la forbice tra potere e responsabilità (aumenta il primo per gruppi e individui, senza che si renda visibile, per questi stessi, la seconda); mentre a livello sociale ed economico si verifica l'impossibilità 'legale' di far rispettare i diversi contratti di scambio, con la conseguenza di introdurre come elemento sanzionatorio la violenza (Padioleau 1975; Belligni 1998).
Cause ed effetti
La c. è sempre stata presente in ogni tempo e in ogni luogo (MacMullen 1988), ha giocato un suo ruolo in ogni sistema sociale e politico; si sa che ciò che spinge a corrompere e a farsi corrompere è un insieme di passioni e interessi individuali o di gruppo, quali la ricerca del guadagno, il desiderio del potere, la ricerca di uno status superiore nelle diverse gerarchie; e che tutto questo è in gran parte insito nella natura umana. Le domande da porsi sono, in primo luogo, a che cosa serva in termini sistemici la c. e quali effetti possa produrre in una società; quindi, per quale motivo nasca e si sviluppi; infine, come sia possibile spiegarne il variare dell'intensità, della profondità, dell'estrinsecarsi, dell'emergere o meno nelle diverse età e nei diversi luoghi.
In termini più che generali, è opportuno ricordare che diversi studiosi o commentatori sostengono che la c. può crescere in conseguenza di diverse cause immediate: per il divaricarsi dei rapporti tra società civile (definita onesta, buona in sé) e istituzioni politiche (corrotte in quanto il potere corrompe); oppure in quanto le strutture di controllo (magistratura, organi di informazione) abdicano di fatto alla loro funzione primaria di 'guardiani' della legalità; oppure per un appannarsi del confine tra lecito e illecito; oppure per mancanza di alternanza tra élites al potere; o per la crescita incontrollata dei centri pubblici di spesa e/o di erogazione di servizi; o per l'avvento di nuove forme di professionismo politico e di new comers in politica di bassa estrazione sociale; oppure ancora per l'aumento dei costi della politica, della democrazia politica (Mastropaolo 1993).
Guardiamo però a quelle che Max Weber (1922) ha definito cause 'adeguate', cioè di maggior respiro e spessore (Alatas 1990). Secondo alcuni la c. è originata da malesseri e da disfunzionalità sociali o politiche, e crea ulteriori malesseri e disfunzionalità (Myrdal 1968; Benson, Maaranen, Heslop 1978). Secondo altri studiosi la c. dipende da variabili di tipo economico, sociale o politico e può avere, e in genere ha, effetti positivi sul funzionamento di un dato sistema sociale e/o politico (Huntington 1968). Approfondiamo maggiormente l'illustrazione delle diverse interpretazioni. Per G. Myrdal (studioso di sistemi orientali) origine della c. non è solo la natura umana, ma essa viene facilitata da tutta una serie di 'azioni' o decisioni, o elementi strutturali di ogni singola società o di ogni singolo sistema politico: in primo luogo dal tipo di 'cultura politica'; dall'attaccamento popolare (o dalla mancanza di questo) al regime; dalle tradizioni culturali (come, per es., la 'parentela') che impongono norme e obblighi contrari alle regole ufficiali; dalle caratteristiche del processo politico, inclusa la sua celerità, i suoi ritardi, i modelli di accesso o di esclusione; dalle leggi contro la c. e dal loro effettivo applicarsi; dai caratteri del sistema economico, quali fra gli altri il livello e il grado di ampiezza del settore pubblico; dalla 'sofficità' dei sistemi politici ecc. In ogni modo gli effetti che ne conseguono non sono altro che caos politico e stagnazione economica (nel complesso del sistema).
Secondo Myrdal "dove la corruzione è diffusa, l'inerzia e l'inefficienza, così come l'irrazionalità, impediscono il processo di decisioni politiche e di pianificazione". E ancora: "quando il popolo si è convinto, a torto o a ragione, che la corruzione è ovunque, l'incorruttibilità di un funzionario sarà indebolita" (Myrdal 1968; trad. it. 1973, pp. 293-94). Sarebbe questa la condizione in cui si sono venuti a trovare paesi latinoamericani, dell'Estremo oriente, ma anche l'URSS e soprattutto la Russia.
Di tutt'altro segno è l'impostazione degli 'integrazionisti', studiosi prevalentemente delle società americane con un approccio derivante dallo struttural-funzionalismo sociologico e antropologico (Leff 1965; Abueva 1966; Merton 1972), i quali hanno teorizzato che la c. collegata con le 'macchine politiche' abbia soddisfatto nelle città americane importanti funzioni trascurate di fatto dalle strutture ufficiali (Plunkitt di Tammany Hall, 1991), e che quindi, qualora la c. fosse stata repressa, ne sarebbero seguite conseguenze disastrose per la stabilità del sistema. Si è nella sostanza sostenuto da parte di questi teorici che, essendo la società contemporanea estremamente impersonale e spersonalizzante, la c. permetteva di umanizzare gli interventi dello Stato, suppliva cioè alle carenze funzionali ('umanizzazione') delle strutture ufficiali. Ne deriva che la c. favorisce l'integrazione in un dato sistema sociale e politico di gruppi che, se esclusi, avrebbero comportamenti dirompenti per il mantenimento del sistema stesso. La c. appare quindi come una conseguenza dell'esistenza di tensioni sociali (di carattere etnico, religioso o economico) e un fattore di stabilizzazione di un dato assetto di potere.
Sulla scia dell'impostazione mertoniana è il cosiddetto approccio economico (Nye 1967; Pinto-Duchinsky 1977; Rose Ackerman 1978; Andvig 1986): il ricorso a pratiche corrotte costituisce una risposta razionale alle domande di efficienza nella distribuzione dei beni e delle risorse pubbliche non altrimenti soddisfacibili a causa delle pastoie, delle lentezze dell'apparato burocratico (con riferimento esplicito ai sistemi socialisti, ma anche più in generale ai sistemi dell'Europa continentale caratterizzati da burocrazie permeanti le diverse attività della società civile). Secondo alcuni appartenenti a questa scuola, la c. avrebbe persino la funzione di favorire l'investimento e contrarre il consumo, in quanto l'imprenditore troverebbe in queste pratiche illegali e occulte il modo migliore per intraprendere e sviluppare il suo ruolo. In mancanza di questi canali le risorse monetarie di quel tale imprenditore verrebbero buttate tutte sul mercato del consumo con effetti inflazionistici e di stagnazione. Nella stessa scia si pongono coloro che vedono la c. "come un mercato allocativo di risorse in periodo di scarsità. Secondo questa scuola, le funzioni positive della c. sono in relazione al loro contributo al mantenimento dell'equilibrio tra risorse scarse e una domanda di beni e servizi in eccesso. Questo potrebbe persino incoraggiare una sana competizione tra imprenditori" (Ben Dor 1974, p. 66).
In breve, secondo questo filone di analisi, che tenta di dar vita a una spiegazione unica per le varie forme di c. conosciute dalle diverse società nei diversi momenti della loro vita, nella casella delle cause della c. dobbiamo indicare la scarsità (l'insufficienza) dei servizi posti a disposizione dal settore pubblico (per inefficienza o per mancanza tout-court) e, nella casella degli effetti, sana competizione, sviluppo economico, stabilità economico-finanziaria.
L'impostazione, infine, degli 'istituzionalisti' è strettamente legata agli studiosi dello sviluppo politico o della modernizzazione istituzionale (Huntington 1968; Political corruption, 1970; Scott 1972) quale risultato delle analisi svolte negli anni Sessanta e Settanta sui paesi emergenti (i nuovi stati indipendenti dell'Asia e dell'Africa).
La causa della c. viene individuata in questi casi nell'enorme espansione della partecipazione di massa non accompagnata da un corrispondente impegno delle istituzioni politiche. La discrasia fra domanda e offerta avrebbe comportato disordine politico e 'militarismo'. In questo quadro l'incapacità delle istituzioni nell'elaborare le risposte a domande sempre crescenti dei nuovi partecipanti al sistema politico conduce a due modi alternativi di 'presentazione' delle stesse domande: mediante la violenza o mediante la corruzione. Il massimo teorico di questa scuola, S. Huntington, valuta più pericolosa la prima della seconda, sia perché nel processo di c. tra corrotto e corruttore si viene a instaurare un rapporto 'identificante' che manca del tutto nel rapporto violento tra distruttore e distrutto, sia perché la c. scioglie in modo 'indolore' (sempre secondo l'autore) nodi che la violenza semplicisticamente taglierebbe, sia infine perché la c. costituisce una modalità di costruzione dei partiti politici, di rafforzamento di questi, in presenza di debolezza istituzionale (Huntington 1968; trad. it. 1975, pp. 70-82). Riepilogando le diverse impostazioni si ha lo schema seguente:
Approcci Cause Effetti
Moralisti Multiple Delegittimanti; squilibri
Integrazionisti Inefficienza Sviluppo sociale
Economicisti Scarsità Sviluppo economico
Istituzionalisti Inefficienza Ordine; sviluppo politico.
Quantità e qualità
A prescindere dalle cause e dagli effetti della c., un ulteriore aspetto da prendere in considerazione è costituito dalla quantità di c. caratterizzante un certo paese in un certo periodo. Sempre più frequentemente si elaborano statistiche e classifiche relative a chi risulta più o meno corrotto (si veda, da ultimo, anche l'elaborato del Consiglio d'Europa per una comune politica europea di contrasto e di prevenzione). In realtà, è necessario distinguere tra c. visibile e c. invisibile, tra percezione e non percezione della corruzione. Poiché si tratta di comportamenti contra legem è ovvio che essi tendano a essere 'nascosti', segreti, costituiscano "transazioni che hanno luogo in un mercato politico occulto" (Belligni 1987); il fatto 'corruzione' deve allora trovare qualcosa o qualcuno che lo disveli, lo porti alla luce del sole. Ogni cittadino può svolgere questa funzione di far nascere pubblicamente ciò che è già nato segretamente, ma perché ne rimanga traccia è necessario che qualcun altro registri, memorizzi ciò che ha rivelato il cittadino.
Il fiume della c. continua a dividersi, quindi, in una parte che scorre in superficie e in un'altra parte che penetra sottoterra; la parte visibile progressivamente, quindi, si restringe. Se il pubblico funzionario X si comporta in modo illegale per favorire il signor Y in cambio di denaro o altri beni desiderabili, questo atto può essere scoperto o no (prima divaricazione fra realtà ed emersione del fenomeno reale); il fatto, se non viene scoperto, per una serie di soggetti (in primis per la stessa società civile) non esiste; se viene scoperto 'può' esistere a condizione che ne esista una 'registrazione' da parte, per es., delle istituzioni preposte al controllo del rispetto della legalità, e che questa registrazione possa essere conosciuta; se non lo è per una qualunque ragione (perché è un segreto di Stato in quanto la sua conoscenza potrebbe costituire danno al regime politico in vigore; perché la registrazione è a sua volta nascosta sotto enormi mucchi di carta; perché per trovarla dovrebbero lavorare in 8000 luoghi diversi migliaia di persone per un numero X di anni ecc.), il fatto di nuovo è come se non esistesse; se è possibile invece rendere di dominio pubblico la registrazione, la c. esiste. Esiste in quanto comporta effetti sui diversi soggetti in gioco: la funzione pubblica, le forze dell'ordine, i cittadini (corruttori e non), i luoghi in cui vengono elaborate le regole che distinguono tra ciò che è legale e ciò che non lo è.
Il fiume a questo punto si può essere ridotto di non poco; sono infatti almeno quattro i momenti soglia-selezione: il reato è commesso e viene o non viene scoperto; viene o non viene denunciato alle forze preposte al mantenimento dell'ordine pubblico, alla magistratura; dà vita o non dà vita a un procedimento giudiziario; viene ripreso o non viene ripreso dalla stampa.
La scoperta di un reato è strettamente collegata al grado di 'controllo sociale' o di 'controllo istituzionale' esistente in un dato sistema politico in un dato momento. Se le istituzioni di controllo non funzionano (rendimento scarso in termini di efficacia), se ogni cittadino si preoccupa solo di se stesso (cultura civica di tipo privatistico-individualistico), il primo livello di selezione (la prima soglia) costituirà già da solo un potentissimo canale di sommersione della corruzione. È un quantum assolutamente non calcolabile. La denuncia agli organi competenti di un reato dipende da due set di variabili: dal grado di volontà del cittadino di esporsi a un rapporto con le istituzioni di controllo e di repressione (quindi dal modo in cui il cittadino 'vede' il suo rapporto con lo Stato), ma anche dal modo in cui il cittadino realmente giudica il fatto che ha scoperto: che sia reato oppure no. Atto illegale e illegittimo o atto sì illegale ma legittimo, secondo la communis opinio.
La decisione di dar vita a un procedimento giudiziario soggiace anch'essa a una serie di valutazioni da parte del soggetto decisorio: a prescindere da quella puramente tecnica che si sia trattato veramente di un reato, vi sono quelle 'valoriali', ideologiche: pur ammettendo che si tratti di un reato, va deciso se sia bene o male procedere contro certi attori/rei. È possibile imputare reati 'politici' ai politici? Il reato è un male, ma la delegittimazione del politico, la sua 'umanizzazione', non può essere un male peggiore?
La selezione quindi dipende non solo da fattori tecnici, ma anche dal grado di omogeneità tra classe politica e magistratura. Si è di fronte a un'ulteriore biforcazione soggettiva (in senso lato) con impossibilità materiale di individuare quanto si sommerge e quanto rimane in superficie. Anche qui è possibile solo avanzare ipotesi a seconda del tipo di rapporti che intercorrono tra i diversi attori chiamati in causa, e quindi delle diverse logiche che regolano il loro comportamento. Se tra magistratura e classe politica abbiamo un rapporto di subordinazione della prima alla seconda, i 'politici' possono incorrere in tutti i reati che vogliono senza alcun reale rischio di essere incriminati. Se la magistratura è psicologicamente o strutturalmente timorosa o succuba della politica, non interverrà mai o quasi mai. Oppure, se è strumento di una parte della classe politica, interverrà solo quando il reo appartiene alla parte avversa. È però anche ipotizzabile un caso completamente opposto, cioè una magistratura non solo autonoma dalla classe politica, ma che si sente anche investita di ruoli di supplenza: poiché il 'politico' non funziona, la magistratura ne prende il posto, occupa lo spazio lasciato vuoto dai governanti politici, per dare un indirizzo 'giusto' alla società. Nel primo caso possiamo parlare di politicizzazione partigiana della magistratura, nel secondo di 'via giudiziaria alla politica'.
L'ultimo sbarramento è ancora più soggettivo: il dare o non dare la notizia di un fatto non presenta aspetti tecnico-legali (come è invece per il magistrato) ma esclusivamente di tipo etico-professionale oppure di opportunità e di schieramento politico. A partire dalla valutazione se sia notizia il politico, il funzionario, il magistrato, il giornalista corrotto; oppure se si considera opportuno per la strategia 'politica' del giornale informare sull'arresto di un'autorità pubblica di questo o di quel partito; o, ancora, se convenga sottolineare la correità di un esponente del mondo economico.
Appare quindi evidente che la c. muta al mutare delle forme e delle strutture statuali, in conseguenza delle grandi sfide alla politica (estensione della cittadinanza, costituzione dello Stato, consolidamento di questo ecc.; Binder 1971); muta soprattutto il suo emergere nelle varie sedi cui si è già fatto cenno (nella concezione dei cittadini, nell'operato della magistratura, nell'informazione); così come varia la qualità della c. a seconda degli attori e dei luoghi in cui si realizza (ruolo nelle varie sedi amministrative, politiche, appartenenza partitica), dei beni scambiati (moneta, voti, sostegno, favori, simboli di status ecc.), delle sue dimensioni sociali ed economiche (quanto denaro o simili, quante persone, quante strutture risultano coinvolte). È da queste variabili che dipendono in gran parte gli effetti della c. emersa sotto vari aspetti, quali forme della professionalità politica, esito delle coalizioni coinvolte, mutamenti nelle forme del sostegno, regole generali della politica. Lo dimostrano, per limitarsi ai grandi processi nazionali e trascurando i fenomeni relativi a specifiche realtà locali, i casi della Francia negli anni della iii e iv Repubblica (Mény 1992), della Spagna nel passaggio dalla maggioranza socialista a quella di destra (Alonzo Zaldívar, Castells 1992), del Giappone (Bouissou 1997), le grandi trasformazioni degli Stati Uniti all'inizio del 20° secolo (Benson, Maaranen, Heslop 1978), e da ultimo le trasformazioni subite dal sistema politico italiano nei primi anni Novanta del Novecento (Sapelli 1994).
Il grado quantitativo e qualitativo della c. si differenzia dunque in base a una serie di variabili che si riferiscono al luogo in cui si realizza il processo di c. (nelle strutture di aggregazione e articolazione delle domande politiche, di elaborazione legislativa delle norme, di attuazione amministrativa o governativa di queste, nei luoghi di controllo della loro attuazione e della loro osservanza, o di comunicazione; al centro del sistema politico o in periferia), nonché al contenuto del processo di c.: quale 'merce' viene scambiata (denaro o altro, versus fare o non fare), quanta, con quanti 'complici' (persone singole, alcuni, una molteplicità), che mettono in gioco un singolo 'settore'/ufficio pubblico o una pluralità (e quindi rapporti diadici o multipli).
In breve si possono distinguere i vari tipi di c. in base ai seguenti elementi (qui presentati in forma semplificata):
1) dimensioni dello scambio: piccolo, medio, grande; 2) quantità dei soggetti coinvolti: due (rapporti diadici), alcuni (rapporti triadici), molti (rapporti multipli); 3) contenuto dell'atto illegale: un fare ciò che non è dovuto, un non fare ciò che è dovuto.
In astratto, questi vari tipi di c. possono realizzarsi nei cinque luoghi diversi del processo politico sopra elencati, sia al centro sia in periferia. Teoricamente quindi ci troviamo di fronte a 180 forme di c. nel sistema politico, che dipendono direttamente dallo strutturarsi del sistema politico. Un sistema politico che non contempla 'periferie' o decentramento politico e/o istituzionale non può ovviamente conoscere forme di c. periferica; così come non può conoscerne altre quel sistema che non preveda un libero sottosistema di articolazione o aggregazione delle domande politiche. Ed è a questo punto che entrano in gioco le diverse fasi di costruzione (i momenti di sfida o di crisi) dei sistemi politici. Senza ritenere di elaborare alcunché di definitivo o di paradigmatico, si possono avanzare alcune primissime ipotesi relative alle possibilità di presenza di forme di c. nelle varie fasi dello sviluppo politico.
Riprendendo le variabili prima considerate - entità dello scambio, complessità del processo, fare/non fare, centro/periferia, luoghi del processo politico - vanno brevemente ricordate le sfide fondamentali o crisi sistemiche che diversi autori hanno individuato come caratterizzanti le varie fasi storiche dei sistemi politici: crisi di consolidamento, di integrazione, di identità, di legittimità, di partecipazione, di distribuzione. Le prime due sono caratterizzate dall'espansione e moltiplicazione delle strutture statali (dal centro verso le periferie); nella terza e nella quarta prevalgono gli aspetti culturali, simbolici, di comunicazione, nonché, per taluni aspetti, la politica come insieme di procedure; nella quinta vengono sfidati i confini del sistema politico, emergono le nuove domande di cittadinanza, di diritti: nuovi bisogni, nuovi interessi che cercano di entrare in rapporto con la sfera politico-istituzionale; l'ultima crisi, infine, riguarda modalità e ampiezza dei trasferimenti di ricchezze (beni, servizi ecc.) dai cittadini al potere legittimo, da questo ai cittadini.
Si può allora ipotizzare che: a) nella crisi sistemica di tipo distributivo si abbia la massima espansione delle diverse forme di c. (il che non vuol dire che si debbano concretizzare, significa semplicemente che ci sono alcune precondizioni che in mancanza di altri elementi favoriscono l'espandersi della c.); b) nelle sfide di identità e di legittimazione possano apparire forme di c. prevalentemente in alcuni luoghi del processo politico, con entità e rapporti di non grande complessità; c) nella crisi di partecipazione le forme possano presentarsi in quasi tutti i luoghi del processo politico al fine di 'fare' (riconoscere cittadinanza, diritti, interessi ecc.) o di 'non fare' (disconoscimento di diritti, interessi ecc.). In merito infine alle prime due fasi (prime non necessariamente in senso cronologico), i processi di c. possono estendersi man mano che si 'costruisce' lo Stato dal centro alla periferia (appena costituita istituzionalmente) essenzialmente per 'non fare', cioè per non 'pagare' la costruzione stessa dello Stato.
Si tratta di semplici ipotesi che possono tuttavia trovare numerosi riscontri nella storia dei vari sistemi politici e sociali. Basterà ricordare alcuni casi e le relative risposte 'istituzionali' o culturali, quali il continuo adeguamento della legislazione statunitense in tema di lobbysmo e la progressiva elaborazione di codici deontologici tendenti a 'rispondere' all'emergere delle diverse forme di c., il ruolo in Gran Bretagna dei Comitati per il controllo dei comportamenti del ceto burocratico e di quello politico (con incluse sanzioni realmente attuate nei confronti degli attori del processo di c.; Cassese 1983), o ancora, di recente, le riforme del sistema giudiziario francese in conseguenza dell'emergere di numerosi casi di c. centrale e periferica riguardanti esponenti politici di governo. E ancora, nuovamente negli Stati Uniti, lo snellimento delle procedure e delle strutture pubbliche all'insegna dell'efficienza ma anche della trasparenza e quindi della legalità (Brancoli 1993); la riduzione delle sedi di erogazione di servizi o beni realizzata in Germania dopo i grandi scandali degli anni Ottanta; i tentativi di varare riforme a largo spettro da parte dell'Unione Europea (in tema di appalti, di trasparenza bancaria ecc.; Groupe Multidisciplinaire sur la Corruption 1997); i progetti e i lenti processi di risposta ai grandi scandali degli anni Novanta del sistema italiano, in particolare sul versante scolastico (educazione alla legalità) o delle procedure amministrative (L'economia della corruzione, 1994). Appare del tutto evidente, in ogni caso, che l'efficacia delle risposte istituzionali alla sfida della c. (là dove esistono) si incontra o si scontra con la cultura civica di un popolo: là dove genericamente impera la cultura del principio 'le regole valgono per gli altri' è forse possibile ridurre la grande c., è invece assolutamente impossibile credere che si possa limitare la c. nei piccoli fatti quotidiani, il cosiddetto pizzo. Fisiologia o patologia della c. dipendono quindi in parte dalle capacità delle varie istituzioni, ma soprattutto dal modo in cui ogni cittadino si rapporta con gli altri e in primo luogo con le regole della convivenza civile (Calvino 1980).
Dagli studi empirici più recenti possiamo agevolmente ricavare una casistica completa della 'nuova corruzione', grande e piccola, che vede coinvolti i diversi attori della vita associata, le diverse sedi decisionali o di attuazione delle decisioni, in campo internazionale o nazionale o locale. Qualche esempio concernente alcune nazioni, tra le grandi, può risultare illuminante.
Francia. - Come ha ricordato Y. Mény (Corruzione e democrazia, 1995, pp. 9-27), le cronache giudiziarie francesi riguardano non solo piccoli casi di c. della pubblica amministrazione minore, ma anche la grande c. di partiti, esponenti di governo, fino a sfiorare o coinvolgere la stessa presidenza della Repubblica: "Sono guardie carcerarie che percepiscono mazzette per agevolare i contatti dei detenuti con il mondo esterno, agenti amministrativi della prefettura di polizia o della città di Parigi accusati di traffico illegale di carte d'identità o di permessi di soggiorno, commissari di polizia condannati per aver 'protetto' esercizi di ristoro dietro compenso finanziario o per aver estorto denaro a un tassista che temeva il ritiro della patente di guida, ispettori fiscali arrestati per aver negoziato la riduzione di una rettifica fiscale o l'importo della mora sul versamento dell'Iva" (p. 14). Inezie, piccola c. ma diffusa, quotidiana, da paesi del cosiddetto Terzo Mondo. Ma le cronache parlano anche di ben altro tipo di c.: quella che vede coinvolti partiti di governo, istituzioni centrali e periferiche dello Stato, imprese. È la c. fondata sulle fatture false emesse da uffici tecnici falsi, vicini ai partiti, al fine di ottenere finanziamenti per campagne elettorali o per la vita quotidiana delle organizzazioni politiche, assicurando in cambio appalti, contratti, finanziamenti per lavori da svolgere in Francia o in un paese straniero in nome della 'cooperazione internazionale allo sviluppo' (p. 19).
Spagna. - Un attento analista della storia del paese iberico, P. Heywood (Corruzione e democrazia, 1995, pp. 87-106), ha sottolineato come questo paese abbia conosciuto un cambiamento nel tipo di c., presente in modo non episodico: se il clientelismo e le attività illecite dei burocrati statali e locali sono presenti nella lunga storia di questo paese, di recente è emersa la c. di esponenti del governo nazionale basata sul finanziamento parallelo (per es. in termini di utilizzo privato-partitico di personale della pubblica amministrazione) e sull'insider trading (il passaggio di informazioni riservate dal settore pubblico a singoli operatori economici privati o a interi gruppi in cambio di finanziamenti 'in nero'), favorita e facilitata dalla mancanza di controlli reali sul governo, di norme trasparenti e cogenti di contabilità pubblica, di controlli sui bilanci delle imprese private.
Germania. - Il problema non viene, in questo caso, individuato nella piccola corruzione, quanto piuttosto nella top level corruption (Seibel, Corruzione e democrazia, 1995, pp. 107-33). La burocrazia tedesca, al di là dei miti, appare ancora un corpo sufficientemente intriso dal senso dello Stato, anche se non completamente immune dalla confusione tra ciò che è patrimonio pubblico e ciò che costituisce profitto per il singolo. È soprattutto a partire dagli anni Ottanta che emergono casi di fondi neri (finanziamenti occulti delle grandi imprese private al sistema dei partiti per assicurarsi esenzioni da imposte, contratti di forniture ecc.). Emblematico in questo senso è il caso dei rapporti intercorrenti tra i ministri liberali dell'economia, il partito cristiano democratico del futuro cancelliere H. Kohl e la dirigenza del gruppo industriale Flick; caso che si chiuse con l'imputazione del reato di frode fiscale per il gruppo Flick e per un ministro liberale: "in Germania la corruzione di deputati non è di per sé condannabile" (p. 114).
Gran Bretagna. - Di particolare significato appare l'emergere di una nuova c. in questo paese, soprattutto in rapporto con la tendenza divenuta dominante in quasi tutti gli Stati occidentali a 'reinventare il governo'. Si tratta, cioè, di quella tendenza a sviluppare agenzie o autorità indipendenti, con carattere operativo e/o di controllo-garanzia in sostituzione dei tradizionali apparati della pubblica amministrazione e, al contempo, all'estendersi dell'attribuzione al settore privato di funzioni pubbliche. Sono fenomeni che, con ogni probabilità, emergono innanzitutto in Gran Bretagna grazie anche all'esistenza di numerosi strumenti efficaci (cioè portatori di sanzioni reali e pesanti) di controllo sul funzionamento di tutto l'apparato di governo che nell'isola britannica ha una lunga tradizione. Prevalenza di piccola c., c. di basso livello, ma non meno significativa: si va, infatti, dalle assunzioni (numerosissime, secondo il monitoraggio operato da una Commissione di controllo contabile centrale) di parenti stretti da parte dei responsabili dei vari istituti scolastici (dotati di notevole autonomia) con stipendi 'fuori mercato', alla diffusione della pratica di 'buonuscite' di favore per funzionari scarsamente competenti, al proliferare di contratti (appalti ecc.) concessi dalle varie agenzie indipendenti a cerchie ristrette di operatori economici.
Giappone. - Non risultano segni di discontinuità nella storia della c. giapponese. Tra il 1955 e il 1993 nove dei quindici primi ministri sono stati implicati in uno scandalo, nel corso di cinque anni sono stati processati otto parlamentari, e a ogni tornata elettorale vengono arrestati per c. (in Italia si direbbe 'per voto di scambio') migliaia e migliaia di attivisti dei maggiori partiti di governo. La casistica è piuttosto ricca: si va infatti dallo scambio tra denaro e voto, a quello più alto e complesso del finanziamento della carriera del primo ministro in cambio di appalti per la fornitura di aerei per la compagnia di bandiera giapponese, ai contributi a singoli parlamentari perché in commissione parlamentare intervengano a sostegno di una procedura accelerata per la sovvenzione alle imprese della seta (Bouissou, Corruzione e democrazia, 1995, pp. 157-81). Non sono mancati i tentativi di porre un freno al dilagare della c.: sono stati per lo più talmente irrealistici, con vincoli assolutamente astratti e rigidi da risultare inapplicabili, tanto da far ritenere che ci si trovi di fronte a regole 'volutamente' tendenti a rendere la c. inevitabile.
Russia. - Al di là delle cronache quotidiane relative a casi di c. minore (come si sa ben sviluppati anche all'epoca dell'URSS), ciò che appare più significativo nel caso russo è lo svilupparsi della c. in una policy che sta diventando sempre più importante in tanti paesi occidentali caratterizzati nel passato da una forte presenza pubblica nell'economia. Si tratta della c. nei processi di privatizzazione di beni, proprietà, imprese: si passa dalla sottostima del bene da privatizzare, all'acquisto 'guidato', cioè garantito, a questo o a quel soggetto privato, a seconda del contributo che questo è disposto a versare al burocrate, al responsabile politico o militare dell'intero processo di privatizzazione. Per ciò che concerne la c. minore (diffusa) un cambiamento si è verificato: si è passati dalla c. discreta (cioè non vantata, non pubblicizzata: si fa ma non si deve sapere) alla corruzione ostentata; dalla crisi di autorità (Mendras, Corruzione e democrazia, 1995, pp. 183-200) alle amministrazioni senza fede né legge.
Italia. - Anche per l'Italia la casistica è piuttosto ricca: diffusa la piccola c. nella burocrazia (perché questa faccia ciò che deve fare, perché lo faccia più celermente, perché non operi, perché operi nei confronti di altri, per la licenza commerciale, per la patente, per non dover pagare la multa, per avere un lavoro, per vincere un concorso), in espansione, si sostiene, con gli anni Ottanta la top level corruption.
Si possono ricondurre, semplicisticamente, a tre i circoli viziosi della c. italiana (Della Porta, Corruzione e democrazia, 1995, pp. 49-66). Secondo gli schemi tracciati da Della Porta (pp. 55, 58 e 62), il primo circolo vizioso è costituito dall'intreccio tra clientelismo e c., tale da rendere a spirale il processo: l'uno sviluppa l'altro e così via nel tempo. Questo circolo può essere così raffigurato: clientelismo → diffusione di voto di scambio → bisogno di denaro da parte di amministratori → offerta di corruzione → corruzione → disponibilità di denaro per comprare voti → propensione ad acquistare voti → clientelismo. Il secondo vede al posto del clientelismo la cattiva amministrazione come punto iniziale del processo: cattiva amministrazione → sfiducia nel godimento dei diritti → ricerca di canali privilegiati → propensione a pagare tangenti → domanda di corruzione → inclusione selettiva → cattiva amministrazione. Nell'ultimo circolo vizioso, infine, entra in gioco un terzo elemento (presente d'altra parte anche in altri paesi quali, per es., la Russia e il Giappone), vale a dire la criminalità organizzata: protezione politica della criminalità organizzata → pacchetti di voti e protezione ai politici corrotti → maggiore potere dei politici corrotti → appalti e impunità alla criminalità organizzata → rafforzato controllo territoriale da parte della criminalità organizzata → accresciuta possibilità di proteggere i politici corrotti.
È chiaro come tali circoli vedano interessati in varia misura più o tutti gli anelli di un processo decisionale o attuativo, le sedi istituzionali più diverse e le policies più svariate o più ricche di momento in momento. All'analisi empirica scientifica e all'individuazione delle possibili terapie di regolazione e contrasto, non risulta sia ancora seguita in Italia neppure la sperimentazione di una o più delle terapie individuate.
Da questa breve esemplificazione empirica per alcuni paesi, sono stati volutamente esclusi dei casi nazionali: non per scarsità di analisi ma piuttosto per mancanza di particolari novità rispetto ai decenni passati. Gli Stati Uniti sono notoriamente uno dei paesi a più alta c. diffusa (basti pensare alle cronache riguardanti la polizia, o a quelle relative a esponenti politici di rilievo locale, statale o federale). Così, ancor di più, si può dire dei paesi dell'America Latina o dell'Africa: si tratta di casi in cui la tradizione fa aggio sulla modernizzazione, almeno delle forme della c. visibile.
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