CORRENTI STELLARI
STELLARI Sebbene sopravviva la consuetudine di chiamare fisse le stelle, nessuno ignora che esse mutano di poco, ma non insensibilmente, la loro posizione reciproca; questi spostamenti, quali appaiono proiettati sulla sfera, sono chiamati dagli astronomi moti proprî e si considerano, in mancanza di nozione più precisa, come segmenti di circolo massimo o rettilinei. La scoperta della mobilità delle stelle spetta ad E. Halley e a W. Herschel, il quale indagando per primo l'insieme dei pochi moti proprî conosciuti ai suoi tempi, pensò che questi fossero la risultante di due componenti, l'una dipendente dal moto reale delle stelle, l'altra dal moto dell'osservatore, ossia del Sole, il quale, come stella fissa, era probabile che fosse dotato anch'esso di moto. Di queste due componenti la prima si chiama moto peculiare, la seconda moto parallattico. Nell'intento di ricavare dai moti proprî delle stelle il moto del sistema solare, il Herschel ammise (per semplificare il problema o fors'anche perché ne era convinto) che i moti peculiari fossero distribuiti a caso, ossia che la somma geometrica d'un numero abbastanza grande di moti peculiari s'annullasse. Fondandosi su quest'ipotesi, egli riuscì già nel 1783, col soccorso di poco più che una dozzina di stelle, di cui allora erano conosciuti con sufficiente approssimazione i moti proprî, a collocare l'apice del movimento solare nel punto della sfera occupato dalla stella λ Herculis, e nel 1805, avendo approfondito l'indagine, concluse che il detto apice giacesse nel punto di coordinate: α = 241°53′, δ = + 49°38′. I numerosi imitatori del Herschel nel sec. XIX ripeterono l'investigazione sulle sue tracce, ma fondandola su osservazioni sempre più copiose e più precise, le quali condussero tuttavia a risultati non tanto diversi dal primitivo; e la posizione (certo non definitiva) dell'apice si ritiene anche oggi poco lontana dal punto di coordinate: α = 271°, δ = + 29°.
Ma l'ipotesi herscheliana d'una distribuzione senza legge dei moti peculiari, dopo essersi imposta per più d'un secolo, perdette il suo credito, quando H. Kobold, studiando nel 1897 i moti peculiari delle stelle zodiacali, notò per primo che, purgati i moti proprî dalla componente parallattica, i moti peculiari risultavano per una minore, ma non trascurabile parte di queste stelle, diretti nel senso stesso del moto del Sole, e per la maggior parte nel senso esattamente opposto. Da ciò si convinse dell'esistenza di due direzioni preferite dei moti peculiari, l'una contraria all'altra, e si confermò nella sua veduta nel 1900, considerando i moti peculiari di stelle dotate dei moti proprî più forti (0″. 5 all'anno). E anche altre stelle mostravano, secondo il Kobold, di tendere a una loro meta comune e tra queste un gruppo, procedente in senso normale al piano della Via Lattea.
Quasi contemporaneamente che al Kobold l'insostenibilità della pura e semplice ipotesi herscheliana s'era rivelata anche a J. C. Kapteyn, ma per altra via: dopo aver consacrato un venticinquennio all'astronomia stellare, s'affaticava negli ultimi anni del secolo scorso intorno alla determinazione della funzione D (r, M), che rappresenta il numero di stelle di ogni grandezza assoluta M, comprese nell'unità di volume, alla distanza r dal Sole; il problema non era però solubile, se era ignota la distribuzione dei moti peculiari, e il Kapteyn ammise da principio, come già aveva fatto il Herschel, che nessuna legge li regolasse; ma poiché i risultati del calcolo, fondato su quest'ipotesi, non reggevano al confronto con le osservazioni, il Kapteyn finì nel 1902 col persuadersi non solo dell'esistenza di due direzioni preferite, come il Kobold, ma anzi di due correnti stellari parallele e contrarie tra loro, e parallele al piano della Via Lattea; e lo dimostrò coordinando i 2500 moti proprî del catalogo di J. Bradley, che, per essere dedotti da osservazioni eseguite nel corso di un secolo e mezzo, davano affidamento di essere attendibilissimi. Egli non abolì però interamente l'ipotesi di Herschel, cioè immaginò che, dentro le due correnti che le rapiscono, le stelle siano dotate ancora di moto qualsivoglia, come passeggeri d'un convoglio, moventisi comunque dentro il convoglio stesso, mentre questo corre verso la sua meta. Il Kapteyn non fece noto il risultato della sua ricerca se non nel 1904; chiamò vertici veri i punti diametralmente opposti della sfera, cui tendono le due correnti, e assegnò loro la longitudine galattica 164° e 344°, ossia al vertice della 1ª corrente le coordinate equatoriali: α = 91°, δ = + 13°; al vertice della 2ª: α = 271°, δ = − 13°. A questi vertici veri tendono le correnti per un osservatore immobile nello spazio, ma, visti dalla mobile sede del sistema solare, i punti della sfera verso cui sembrano muoversi, detti vertici apparenti, non sono diametralmente opposti, bensì hanno le coordinate equatoriali: α1 = 85°, δ1 = − 11° per la prima, e α2 = 260°, δ2 = − 48° per la seconda corrente, cosicché formano tra loro un angolo di circa 140 gradi.
L'idea delle due correnti fu fecondissima e spinse numerosi astronomi a ripetere la ricerca fondandola su altri cataloghi stellari; sebbene il risultato, cui giunsero i seguaci e in qualche punto i contraddittori del Kapteyn, sia oscillato sempre intorno al primitivo valore dei vertici, giova tuttavia conoscere i loro sforzi, che qualche lume hanno pure gettato sull'intricatissimo problema.
Primo fra tutti A. S. Eddington, che si sottopose tre volte alla fatica di determinare le costanti delle correnti, fondando il suo calcolo su tre fonti diverse: 1. il catalogo delle circumpolari di Groombridge; 2. il catalogo zodiacale delle Astronomical Papers; 3. il catalogo preliminare di Boss; egli diede espressione matematica al concetto generico della "distribuzione a caso" delle velocità peculiari dentro i due convogli stellari, ammettendo che esse obbedissero alla legge di C. Maxwell sulla distribuzione delle velocità molecolari nei gas; formò su questa base due correnti ideali, che rappresentassero nel miglior modo possibile i moti proprî osservati, e determinò i vertici delle due correnti, confermando i valori già trovati dal Kapteyn, e dimostrando nello stesso tempo che il risultato del calcolo non mutava sensibilmente, sia che le stelle considerate fossero raggruppate in particolari regioni del cielo, come le circumpolari di Groombridge (α1 = 90°, δ1 = − 18°; α2 = 292°, δ2 = − 58°), oppure le stelle zodiacali delle Astronomical Papers (α1 = 103°, δ1 = − 11°; α2 = 330°, δ2 = − 64°) sia quando la distribuzione si estendeva con uniformità in tutto il cielo, come nel catalogo di Boss (α1 = 91°, δ1 = − 15°; α2 = 288°, δ2 = − 64).
Mentre il Kapteyn, e prima di lui anche il Kobold, avevano rilevato che verso il primo vertice s'avviava minor copia di stelle che verso il secondo, l'Eddington ricavò dalla sua prima ricerca (Groombridge) che nell'una e nell'altra corrente il numero delle stelle si equivaleva, qualunque fosse l'area celeste considerata. (Si vedrà più innanzi che questa circostanza, non confermata da lui nelle indagini posteriori, diede luogo a un'obiezione da parte di K. Schwarzschild, e forse origine alla teoria cosiddetta unitaria, da questo escogitata). Nei lavori successivi trovò invece che, considerando le sole stelle zodiacali, la prima corrente risulta più povera dell'altra (il 45% di stelle in confronto del 55%), non però dovunque nelle stesse proporzioni; trovò ancora che rispetto a un punto fisso, la prima corrente era più rapida della seconda, nel rapporto 1,52 : 0,86. Per calcolare in chilometri la velocità relativa delle due correnti occorre conoscere la velocità del Sole nello spazio: ammesso che ammonti a 19 km./sec., la velocità dell'una corrente rispetto all'altra risulta di km. 40 al secondo. L'Eddington attinse infine dalle sue ricerche la convinzione che le stelle delle due correnti fossero a uguali distanze dal sistema solare, e che si trattasse dunque di due sistemi sovrapposti. Ricordiamo anche il lavoro di F. Dyson, che condusse la sua ricerca su stelle di moto proprio fortissimo (da 20″ a 80″ per secolo), ottenendo press'a poco il risultato già noto (α1 = 94°, δ1 = − 7°; α2 = 240°, δ2 = 74°).
Qualche anno dopo parve a J. Halm che la prima corrente fosse separabile in due affluenti distinti, il primo dei quali corresse ancora nel letto assegnatogli dal Kapteyn (verso il vertice α1, = 90°, δ1 = 0), mentre l'altro, che il Halm chiamò la corrente O, tendesse al vertice α11 = 90°, δ11 = − 36°, poco distante dal vertice della prima corrente, ma non confondibile con esso.
Il notevole della nuova corrente consisteva nel fatto che essa è costituita esclusivamente, si può dire, di stelle della classe spettrale B, detta anche di Orione, le quali si chiamano anche stelle elio, perché in esse è caratteristica la presenza dell'elio non ionizzato. Bisogna dire che prima del Halm la singolarità del moto di queste stelle era stata rilevata da Kapteyn e E.B. Frost, e dall'Eddington; anzi quest'ultimo ritenne che l'insieme delle stelle del tipo d'Orione formassero un gruppo mobile come quello del Toro (v. sotto).
Il Halm spiegò il moto lento delle stelle di questa corrente O, ammettendo che esse fossero generate dalla collisione di stelle della prima e della seconda corrente, in seguito alla quale fosse diventato nullo o quasi nullo il loro moto. Questa spiegazione, che risale a un'epoca (1911) in cui non era ancora sviluppata la teoria dell'evoluzione stellare, non è più necessaria, e la ragione della mediocre velocità va cercata nell'enorme massa delle stelle della classe spettrale B; d'altro canto si sa dalle recenti determinazioni delle velocità radiali che queste stelle presentano, lungo la visuale, la stessa lentezza, che il Halm aveva rilevato nella componente trasversale.
Non tutti però ammisero l'esistenza delle tre correnti; anzi allo Schwarzschild, subito dopo la pubblicazione dei lavori del Kapteyn e dell'Eddington (1907), non garbò neanche l'ipotesi delle due correnti che secondo lui avrebbero turbato l'unicità del sistema stellare costituito dalla Via Lattea. L'obiezione principale che egli faceva alle due correnti consisteva nel fatto che in ciascuna delle sei aree celesti considerate dall'Eddington nel suo primo studio, s'incontrano altrettante stelle dell'una e dell'altra corrente, tanto se l'area si mostra complessivamente abbondante di stelle quanto se ne è povera, cosa che lo Schwarzschild giudicava inesplicabile in correnti sovrapposte. Ora si sa che l'obiezione non è più valida, perché dall'ultimo e più ampio studio dell'Eddington sulle stelle del catalogo di Boss, risulta che quasi dovunque la seconda corrente è più povera della prima nella proporzione di 2:3.
Merita tuttavia d'esser conosciuta l'ipotesi dello Schwarzschild, detta unitaria o ellissoidale; egli immaginò che esistesse una certa direzione dello spazio, lungo la quale, nell'uno e nell'altro senso, la frequenza dei moti peculiari fosse massima; e mentre l'Eddington aveva trattato le velocità peculiari come se dentro ciascuna delle due correnti vigesse la legge di distribuzione sferica di Maxwell, lo Schwarzschild non accettò il concetto delle correnti e sostituì alla distribuzione sferica di Maxwell la distribuzione ellissoidale: per esprimerci matematicamente, dette u, v, w le componenti della velocità d'una stella rispetto a un sistema fisso di coordinate ortogonali, il numero delle stelle comprese tra le velocità u, v, w e u + du, v + dv, w + dw sarebbe, secondo la legge di Maxwell, espresso da e-A(u2+v2+w2)du dv dw, essendo A una costante, mentre secondo la legge ellissoidale di Schwarzschild è dato da e-(Au2+Bv2+Cw2 du dv dw, essendo A, B, C costanti; la superficie 1 = Au2 + Bv2 + Cw2 è l'ellissoide delle velocità. Nella sua trattazione lo Schwarzschild considera però un'ellissoide di rotazione con B = C.
Elaborato con quest'ipotesi lo stesso materiale d'osservazione usato dall'Eddington (catalogo di Groombridge), era prevedibile che il vettore di massima frequenza dei moti peculiari, rappresentato dall'asse maggiore dell'ellissoide delle velocità, risultasse orientato in modo da intersecare la sfera nei noti vertici veri delle correnti kapteyniane; e di fatti dal calcolo dello Schwarzschild risultarono per il punto d'intersezione le coordinate: α = 273°; δ = − 6°, in buon accordo coi valori ottenuti da quelli che avevano affrontato lo stesso problema, partendo dall'ipotesi della duplice corrente.
Non bisogna però credere che le correnti circondanti da ogni parte il Sole, di cui finora abbiamo parlato, comprendano tutto l'universo stellare: esistono anche altri sistemi o gruppi di stelle, i quali hanno moto peculiare identico, e per direzione e per quantità, contrassegnati coi nomi delle costellazioni, nelle quali li vediamo proiettati (Orsa Maggiore, Iadi, Scorpione-Centauro, Pleiadi, Chioma di Berenice, Cancro, Cigno) e per qualcuno di essi s'è potuto determinare il vertice vero del moto e della velocità.
(La nozione del vertice vero serve, com'è noto, a determinare la distanza del gruppo, quando sia nota la velocità radiale delle stelle che lo compongono; v. parallasse).
E a questi gruppi se ne devono aggiungere degli altri che alterano la simmetria del primitivo sistema kapteyniano e che furono messi in evidenza da G. Stromberg; egli concentrò dapprima la sua attenzione su oggetti celesti (stelle variabili a lungo periodo, nebulose, ammassi stellari) dotati di moto proprio superiore ai 100 km. sec., e trovò che questi formano dei gruppi animati da velocità diverse, ma tendenti tutti verso un vertice comune (α = 310°, δ = + 57°). Nell'interno di ciascun gruppo vige indisturbata la legge ellissoidale delle velocità, ma con dispersioni diverse nei diversi gruppi; ora la ricerca dello Strömberg conduce al notevolissimo risultato che le velocità dei gruppi e le corrispondenti dispersioni (lungo la direzione del vertice) non sono indipendenti tra loro, ma quelle crescono col quadrato di queste. Sembra inoltre che anche gl'insiemi stellari dotati di minore velocità obbediscano alla stessa legge, la quale assumerebbe così una validità universale.
Bisogna però tener ben presente la differenza tra i gruppi del Cigno, del Toro, ecc., e questi, trattati dallo Strömberg: le stelle dei primi sono animate dal solo moto comune a tutto il gruppo; le stelle dei secondi, oltre a seguire il moto del proprio gruppo, si muovono ancora rispetto al centro di esso, secondo la legge ellissoidale delle velocità.
Infine ricordiamo l'opinione espressa dal nostro Schiaparelli, in uno dei suoi ultimi lavori (1908) sulla probabile esistenza d'una corrente di cui fa parte il Sole, accompagnato dallo sciame delle innumerevoli comete e dei meteoriti; egli additò anche cinque stelle (γ Cassiopeiae, β Persei, δ Orionis, α Pegasi, γ Cygni) che per il loro moto quasi nullo rispetto al Sole, sia radiale, sia laterale, sembrano percorrere lo spazio di conserva con lui. E s'augurava che s'intensificassero le osservazioni delle velocità radiali, che combinate con quelle laterali, ci aiuteranno a ottenere la vera interpretazione dei moti stellari. Fortunatamente lo studio delle velocità radiali va sempre più diffondendosi e da poco è uscito il catalogo di velocità radiali di 2100 stelle lucide (fino alla grandezza 5,5), osservate parte nell'emisfero boreale (Monte Hamilton) e parte nell'australe (Santiago del Chile) da W.W. Campbell e dai suoi collaboratori dell'osservatorio di Lick, col soccorso delle quali si spera di approfondire la conoscenza delle cosiddette correnti stellari.
Bibl.: W. Herschel, Collected scientific papers, a cura della Royal Astronomical Society, Londra 1912, I, p. 108; II, p. 317; v. anche: Phil. Trans., 1783, p. 247 e 1805, p. 233; G.B. Airy, On the movement of the solar System in space, in Mem. R. A. S., XXVIII, p. 143; H. Kobold, Über die Verteilung der motus peculiares der Sterne, in Astronomische Nachrichten, CXXXXIV, p. 289; id., Éber die Darstellung der Richtungen der Eigenbewegungen der Fixterne, ibid., CLIII, p. 273; id., Der Bau des Fixsternsystems, Brunswick 1906; J.C. Kapteyn, Statistical methods in stellar astronomy, Saint Louis 1904, IV, p. 396, Boston e New York 1905; id., Star streaming, in Report of the British Association for the Advancement of Science, 1905, p. 257; id., Courants dans le système stellaire, in Arch. néerl. des sc. exact. et nat., s. 12ª, XI, L'Aia 1906, p. xxxii; id., On the structure of the universe, in Scientia, XIV, Bologna 1913, p. 345; id. e E.B. Frost, On the velocity of the sun's motion through space as derived from the radial velocity of Orion stars, in Astroph. J., XXXII (1910), p. 83; A.S. Eddington, The systematic motions of the stars, in Monthly Notices, LXVII, p. 34; id., On the mathematical theory of two stardrifts, and on the systematic motions of zodiacal stars, ibid., LXVIII, p. 588; id., The systematic motions of the Stars of Pr. Boss's, in Preliminary Catalogue, ibid., LXXI, p. 4; K. Schwarzschild, Über die Eigenbewegungen der Fixsterne, in Nachr. von der kgl. Ges. d. Wiss. zu Göttingen, math-phys. Kl., 1907, p. 614; F. Dyson, The systematic motions of the stars, in proc. R. Soc. of Edinburgh, XXVIII (1908), p. 231; G.V. Schiaparelli, Orbite cometarie, correnti cosmiche, meteoriti, in Riv. fis. mat. e sc. nat., IX, Pavia 1908; S.S Hough e J. Halm, A spectroscopic determination of the systematic motions of stars, in Monthly Notices, LXX, p. 85; J. Halm, Further considerations relating to the systematic motions of the stars, ibid., LXXI, p. 610; G. Strömberg, The distribution of the velocities of stars of spectral types F to M, in Astroph. J., LVI, 1922, p. 265; id., The Asymmetry in stellar motions and the existence of a velocity-restriction in space, ibid., LIX (1924), p. 228; V. Nechvile, Recherches sur les mouvements propres de 3802 étoiles, Parigi 1927, p. 223; Radial velocities of stars, ecc., in Publications of the Lick Observatory, XVI (1928); G. Horn-D'Arturo, L'ammasso delle stelle dotate di velocità spaziali minime, in Pubblic. Oss. Astr. di Bologna, II, 4 (1929); id., L'ammasso delle stelle concomitanti il Sole, ibid., II, 5 (1930).