MALASPINA, Corrado (Corrado il Giovane)
Figlio naturale di Federico del ramo dello Spino Secco, sottoramo di Villafranca, non è nota la sua data di nascita, collocabile nei primi due decenni del XIII secolo.
La sua ascendenza è stata a lungo oggetto di discussione tra gli studiosi fino al chiarimento operato di recente da Soddu, tramite la lettura attenta di un documento del 1234, edito da Ferretto. Si tratta di una lettera che l'imperatore Federico II di Svevia scrisse a tre cittadini genovesi affinché dirimessero la questione riguardante proprio il riconoscimento parentale del Malaspina. Nel documento questi è detto figlio naturale di Federico Malaspina, affidato alle cure del nonno paterno Corrado, detto l'Antico. Proprio tale affidamento aveva diffuso l'opinione comune che il M. fosse figlio dell'omonimo nonno: per chiarire la questione e per stabilire con esattezza la linea ereditaria interveniva quindi l'imperatore, dietro richiesta diretta del padre Federico.
Questa, del 1234, è la prima menzione riguardante il M.; probabilmente già nel 1232 egli si era unito in matrimonio con Urica, figlia naturale del giudice di Torres Mariano (II). Altri documenti più tardi riportano però, come moglie del M., Orietta, di casato ignoto, forse imparentata con le famiglie genovesi degli Zanche o degli Spinola. Non è stato possibile stabilire se si tratti di due donne differenti oppure - spiegando "Orietta" come adattamento del sardo "Urica" - della medesima. Il M. non ebbe figli maschi legittimi, ma una figlia, Spina, nata probabilmente intorno al 1264, e un figlio naturale, ricordato con il solo appellativo di Bastardo.
Al M. si devono il forte consolidamento e l'ampliamento degli interessi dei Malaspina in Sardegna in virtù del matrimonio che contrasse con Urica. Nel 1266 la mancanza di eredi maschi legittimi lo indusse a dividere il proprio patrimonio sardo in tre parti e a cederne due agli zii paterni Manfredi e Moroello. Costoro si recarono successivamente da Clemente IV per chiedere l'assegnazione della vicaria pontificia in Sardegna, che però non venne loro concessa (1268). La gestione attenta del patrimonio isolano, operata dal M. e dagli zii (un altro zio Alberto nel 1281 vendette la sua quota a nipoti e fratelli), avvicinò gran parte della famiglia a Genova: lo testimoniano non solo i matrimoni con famiglie genovesi contratti da diversi membri del gruppo - compreso lo stesso M. -, ma anche le operazioni politiche e finanziarie intraprese.
I beni di ambito lunigianese e appenninico, provenienti dall'eredità di Corrado l'Antico, nel 1266 furono divisi tra i suoi eredi, ossia i tre fratelli Manfredi, Alberto e Moroello e i figli di Federico, premorto al padre: Tommaso, Opizzino e il Malaspina. Al M. e ai fratelli furono assegnati diversi insediamenti lunigianesi aventi per capoluogo Villafranca e vari beni in val di Trebbia e val Staffora, oltre ovviamente al già discusso patrimonio sardo. Nel 1277 Tommaso Malaspina vendette al Comune di Genova, anche a nome del M. e di Opizzino, numerosi possedimenti in val d'Orba e valle Stura, al prezzo di 10.000 lire. Nel 1278 i Malaspina dello Spino Secco, guidati dallo zio del M., Moroello, a sua volta alleato con Alberto Fieschi, occuparono militarmente Chiavari, scatenando così una guerra con il Comune di Genova, conclusasi con la stipula della concordia nel giugno di quell'anno.
Dalle cronache genovesi non si capisce con esattezza quanto il M. fosse coinvolto nell'operazione: in ogni caso fu attore insieme con i fratelli, al pari di zii e cugini, delle trattative di pace successive, che implicarono la cessione a Genova, per la somma di 7000 lire, del castello di Arcola. È lecito tuttavia supporre una relativa marginalità del M. a tutta questa vicenda. Lo suggerirebbe il fatto che alla ratifica della pace egli non fu in grado di giurare personalmente i patti, trovandosi in Sardegna e intendendo restarvi almeno fino al dicembre di quell'anno. Giurò infatti solo nel maggio 1279.
Nel 1281 si procedette a un'ulteriore divisione e determinazione dei beni dello Spino Secco tra i diversi sottorami, forse causata dall'ennesimo scontro che sorse in quell'anno tra i Malaspina e il vescovo di Luni. Anche in questo caso, pur non potendo addurre prove documentarie certe, è lecito supporre una posizione abbastanza defilata del M. rispetto al più battagliero e coinvolto zio Moroello.
Nel 1282 il M. acquistò da Brancaleone Doria le località di Castelgenovese, Casteldoria e la curatoria di Anglona; nello stesso anno retrocesse sempre al Doria i medesimi castelli per 9300 lire. Non sappiamo quali intenti vi fossero dietro l'operazione, probabilmente legata alla strategia genovese di finanziamento della guerra contro Pisa; a questa guerra i Malaspina parteciparono d'altronde in prima linea con la spedizione militare nell'isola, attuata da Moroello nel 1284. La sconfitta pisana della Meloria avvenuta in quello stesso anno e il successivo trattato di pace tra Pisa e Genova (1288) consolidarono quindi ulteriormente la posizione isolana della famiglia.
Il M. ereditò, probabilmente per l'educazione ricevuta nella casa del nonno paterno, una profonda consapevolezza della tradizione e della storia della famiglia, tanto da distinguersi per questo tra i Malaspina dello Spino Secco. La sua figura ispirò infatti sia Dante Alighieri sia Giovanni Boccaccio.
Nel canto VIII del Purgatorio Dante incontra il M., posto dal poeta nella valletta dei principi (vv. 109-139), in maniera tale da spiccare per importanza tra i suoi compagni di pena. Presentandosi il M. dice di se stesso: "Fui chiamato Currado Malaspina / non son l'Antico, ma di lui discesi; / a' miei portai l'amor che qui raffina" (vv. 119 s.).
I primi due versi non creano problemi di interpretazione, in quanto il M. distingue innanzi tutto se stesso dal celebre avo ma, contemporaneamente, ne rivendica con orgoglio la discendenza, che noi tuttavia sappiamo legalizzata dopo la nascita. La chiusura della terzina ha dato invece adito a interpretazioni diverse, più o meno articolate, che vedono nell'amore verso la famiglia il cuore del discorso, a cui è forse possibile legare il grande lascito che il M. fece agli zii dei beni sardi nel 1266.
L'onore e l'amore familiare, ma anche le strategie matrimoniali, sono d'altronde sottesi a tutto il canto, dato che insieme con il M. Dante incontra anche Nino Visconti. L'abbinamento dei due personaggi è probabilmente da mettere in relazione alla strategia matrimoniale che i Malaspina tentarono nel primo decennio del Trecento, al fine di consolidare e accrescere il proprio patrimonio sardo. Dopo che alla morte di Nino Visconti (1298), la figlia Giovanna ebbe ereditato il giudicato di Gallura, Opizzino, fratello del M., cercò ripetutamente di combinare il matrimonio tra suo figlio Corradino e Giovanna.
Altra motivazione forte del canto, a quanto sostiene la critica letteraria, è la celebrazione del mondo cavalleresco, dei suoi ideali e valori, a cui Dante guarda con rimpianto e di cui vede nel M. uno degli ultimi rappresentanti.
Nella sesta novella della seconda giornata del Decameron compaiono accanto al M. anche la moglie, della quale non è ricordato il nome, e la figlia Spina. Il M. è detto "gentile uomo" e "ghibellino", molto attento ai valori della famiglia e liberale, sua moglie "valorosa e santa".
Secondo la novella, Spina, già vedova di Niccolò Grignano, sposò in seconde nozze Giusfredi Capece, figlio di Arrighetto, viceré di Manfredi in Sicilia. I riferimenti storici presenti nel racconto (il Vespro siciliano) consentono di porre la nascita di Spina nel 1264 circa.
Nel settembre 1294, a Mulazzo, il M. fece redigere il suo testamento, in cui istituiva eredi universali i suoi fratelli Tommaso e Opizzino. Probabilmente morì in quell'anno, dato che nella documentazione successiva non se ne trova più traccia.
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