GIANFIGLIAZZI, Corrado
Figlio di Giovanni (Vanni) di Cafaggio, nacque nell'ultimo quarto del secolo XIII a Firenze o forse ad Avignone, dove il padre aveva impiantato una florida azienda bancaria in società con il fratello Castello (Tello). Non si conosce il nome della madre. Era l'ultimo di quattro fratelli: Lapo, Rossellino e Borgognone.
Il padre era stato, negli oltre vent'anni passati in Provenza (la sua attività vi è documentata dal 1294 al 1314), il più rappresentativo di tutti i mercanti italiani in terra oltremontana, tanto che quando nel 1294 Carlo II d'Angiò, re di Napoli e signore di Provenza, aveva costretto tutti i mercanti residenti nei suoi territori a pagare un contributo finanziario per non incorrere nel decreto di espulsione da lui stesso emanato poco prima, era stato proprio Giovanni Gianfigliazzi a raccogliere la somma stabilita e a consegnarla al sovrano. Per Carlo II d'Angiò egli aveva anche fatto da intermediario per una fornitura di armi. Il fatto che l'azienda del padre del G. fosse la maggiore tra le case bancarie italiane operanti nel Sud della Francia si può anche dedurre dal fatto che aveva tra i suoi clienti, oltre allo stesso Carlo d'Angiò, anche la famiglia La Tour du Pin, signora del Delfinato, e Giacomo II d'Aragona.
Si ignora quale sia stata la formazione del G.: gli unici fatti certi riguardano il conseguimento della dignità cavalleresca - tradizionale per i membri della sua famiglia (cosa che aveva determinato come conseguenza l'esclusione dei Gianfigliazzi dalle massime cariche del Comune, in seguito alla promulgazione nel 1293 degli ordinamenti di giustizia) - e il fatto che, alla morte del padre, egli non ne abbia continuato l'attività commerciale e bancaria. Nei Libri di commercio della compagnia dei Peruzzi, infatti, è rimasto il ricordo della divisione dei suoi interessi da quelli dei tre fratelli; in atto notarile stipulato ad Avignone l'8 giugno 1314, in cui egli compare in quanto erede del padre defunto, mentre dei fratelli e cugini si dice "Habitatores familiarii Avignonis", per lui è omessa tale dicitura (Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico, Cerchi Canigiani, alla data). Attorno al 1310 si sposò con Lagia di Accerito di messer Ranieri Buondelmonti, da cui ebbe almeno una figlia, Maria, detta Corradina; ebbe probabilmente anche tre figli maschi: Roberto, Vanni e Corso, ma, dato l'alto grado di omonimia tra i vari componenti della famiglia, questi potrebbero anche essere figli di un altro Corrado.
Il G., tenendo fede al titolo conferitogli di nobilis miles, che per molti membri del suo ceto era un fatto puramente onorifico, si distinse soprattutto in alcune imprese militaresche. La prima di esse si verificò in seguito alla discesa in Italia di Enrico VII: tra i principali obiettivi di questa impresa c'era quello di dare una dura lezione alla guelfa Firenze, sulle cui ricchezze si favoleggiava e tra le cui famiglie più facoltose si annoveravano i Gianfigliazzi. I loro possedimenti nella Francia meridionale erano stati infatti stimati dal legato imperiale, Niccolò vescovo di Butrinto, in 100.000 fiorini d'oro. Non fu probabilmente un caso perciò se le truppe imperiali, una volta giunte nei dintorni di Firenze, assaltarono in forze il castello di Santa Maria Novella, presso San Casciano Val di Pesa, di proprietà dei Gianfigliazzi, che lo avevano acquistato pochi anni prima dai nobili di Lucardo.
Il castello era presidiato soltanto da 120 armati, tra cui due esponenti della famiglia dei proprietari, uno dei quali era proprio il Gianfigliazzi. Benché le truppe imperiali fossero preponderanti di numero, gli assediati opposero strenua resistenza per una settimana, ma il 23 nov. 1312 dovettero arrendersi a discrezione e i componenti del presidio furono condotti davanti all'imperatore. Molti, tra cui i fuorusciti ghibellini di Firenze, furono coloro che chiesero a Enrico VII di condannare a morte il G., cosa che avrebbe avuto un effetto intimidatorio su tutti i guelfi fiorentini. Inaspettatamente però Enrico lo risparmiò, anche perché era rimasto favorevolmente colpito dal suo valore e dal suo coraggio; gli restituì inoltre la libertà, a patto che lasciasse in ostaggio i figlioletti e si recasse a Firenze a cercare di intavolare trattative di sottomissione.
Il G. non poté esaudire le aspettative dell'imperatore e al suo ritorno presso la corte imperiale si limitò a riferire sull'intransigenza dei Fiorentini, alla cui caparbietà contribuiva in misura notevole il contegno del vescovo Antonio degli Orsi, fedele sostenitore del guelfismo fiorentino. Enrico VII citò allora a comparire davanti al tribunale imperiale il Comune di Firenze e un gran numero di cittadini, insieme col vescovo degli Orsi, ma nessuno si presentò; di lì a poco le avverse condizioni climatiche e igieniche costrinsero l'imperatore a trasferire i suoi alloggiamenti a Poggibonsi, per cui la pressione su Firenze, nonché sui possessi e sulla stessa persona del G., si allentò. La morte dell'imperatore, avvenuta a Buonconvento il 24 ag. 1313, fugò quindi l'eventualità di una restaurazione imperiale in Italia.
Nel febbraio 1314 si profilò però per Firenze una nuova minaccia, rappresentata da Uguccione Della Faggiuola che, dopo essersi insignorito di Lucca, minacciava il contado fiorentino. Il Comune di Firenze deliberò allora di inviare un contingente di 2000 soldati, tra fanti e cavalieri, a presidiare il castello di Montecatini, situato in Valdinievole, in quella zona cioè che rappresenta la cerniera tra i contadi fiorentino, pistoiese e lucchese. Tra di loro, in qualità di feditore militava anche il Gianfigliazzi. Poco dopo gli giunse notizia della morte del padre, avvenuta ad Avignone nei primi mesi del 1314, e si dispose a partire per quella città per sistemarne gli affari rimasti in sospeso e raccoglierne l'eredità.
Non è noto quando il viaggio sia iniziato né per quanto tempo si sia protratta la permanenza del G. in Provenza: l'unico fatto certo è che vi si trovava l'8 giugno 1314, essendo intervenuto al già ricordato rogito notarile.
Nel gennaio 1317 fu eletto per sei mesi membro di uno dei due Consigli della Parte guelfa, quello formato di 100 membri; questi nell'ambito della Parte guelfa erano tra i pochissimi incarichi pubblici all'interno del Comune non interdetti ai membri delle famiglie magnatizie. Nello stesso anno fu firmato un trattato tra guelfi e ghibellini che assicurò a Firenze un periodo di relativa tranquillità.
La situazione tornò incerta nel maggio 1325 quando Castruccio Castracani degli Antelminelli, dopo essersi insignorito di Lucca e munito anche del vicariato imperiale, si impadronì di Pistoia, su cui il regime guelfo di Firenze vantava una sorta di protettorato. Subito a Firenze si cercò di mettere insieme un esercito composto tanto di fanti e cavalieri cittadini quanto di milizie mercenarie. Tra i cavalieri cittadini, che assommavano a circa 400, vi era il Gianfigliazzi. L'esercito fiorentino raggiunse la Valdinievole, occupando alcuni castelli; il 3 ag. 1325 si accampò presso le mura di Altopascio, in territorio lucchese, stringendola d'assedio. Dopo venticinque giorni il castello si arrese, ma poco dopo, il 23 settembre, le sorti si rovesciarono e i Fiorentini furono pesantemente sconfitti proprio davanti ad Altopascio: molti furono i morti, ma molti caddero vivi nelle mani di Castruccio, soprattutto tra gli appartenenti alle grandi casate che, in qualità di feditori, stavano in seconda linea. Tra questi, che poi furono riscattati dalle famiglie a prezzo di ingenti esborsi di denaro o mediante scambio con altri ostaggi, si trovava anche il Gianfigliazzi. Questi, insieme con Guido Frescobaldi, poté ben presto recuperare la libertà, ma fu loro proibito di tornare a Firenze perché si temeva che facessero propaganda in favore di un trattato di pace. Il prezzo da loro pagato per rientrare in libertà fu davvero esoso: ebbero i beni distrutti, i familiari incarcerati e inoltre dovettero presenziare al trionfo del vincitore Castruccio.
Fu questo l'ultimo episodio bellico cui il G. prese parte e non solo per motivi di età: la cavalleria cittadina era entrata in una crisi irreversibile e da allora in poi il ricorso alle milizie mercenarie da parte del Comune di Firenze divenne costante e sistematico. Il G. si ritirò a vita privata, dedicandosi, secondo la testimonianza del Boccaccio, che ne fece il protagonista della quarta novella della sesta giornata del suo Decameron, alla cura dei suoi possessi rurali e trovando svago nella caccia. Scrive infatti il Boccaccio, che conobbe il G. di persona e che lo dà per vivente negli anni 1349-53 in cui andava scrivendo le sue novelle: "sempre della nostra città è stato nobile cittadino, liberale e magnifico e vita cavalleresca tenendo, continuamente in cani et in uccelli s'è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare". In effetti l'alto tenore di vita tenuto dal G. e i suoi possessi rurali sono anche documentati dai Libri di commercio della compagnia dei Peruzzi; con questa potentissima consorteria il G. era anche imparentato, per il matrimonio del fratello Spinello con una figlia di Giotto Peruzzi.
Non è accettabile, sulla scorta delle fonti analizzate dal Sapori, l'ipotesi del Manni che identifica il Corrado Gianfigliazzi ricordato dal Boccaccio, con un Corrado di Vanni di Rosso, famigliare di Gualtieri di Brienne. A parere di Branca (p. 143) non è inoltre ravvisabile nel G. il "Corrado Gianfigliazzi" ricordato da Franco Sacchetti nella novella n. 210 del suo Trecentonovelle, nel quale deve essere identificato un Corradino Gianfigliazzi, vissuto successivamente, avaro e di animo poco liberale.
Il G. morì a Firenze poco dopo il 1353.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. nazionale, Poligrafo Gargani, 949-950; Arch. di Stato di Firenze, Balie, 1, c. 37; I Libri di commercio dei Peruzzi, a cura di A. Sapori, Milano 1935, pp. 347, 429 s., 445, 448, 507 s.; G. Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, II, Firenze 1952, pp. 142-147; D.M. Manni, Illustrazione al Boccaccio, Firenze 1742, pp. 408-411; Delizie degli eruditi toscani, XI (1778), p. 203; XII (1779), pp. 264 s.; A. Sapori, Le compagnie bancarie dei Gianfigliazzi, in Id., Studi di storia economica, II, Firenze 1955, pp. 930 s., 948, 951 s., 968, 972.