DORIA, Corrado
Nacque, in data sconosciuta - circa la metà del sec. XIII - da Oberto, uno dei due capitani della Repubblica di Genova (l'altro era Oberto Spinola) nominati subito dopo l'istituzione della magistratura nel 1270. Il D. ottenne il comando di una flotta durante la guerra tra Genova e Pisa, iniziata nel 1283 con il conflitto per la Corsica e la Sardegna e culminata l'anno seguente con la schiacciante vittoria navale genovese presso la Meloria.
Per affrontare Pisa, Genova armò due flotte: una venne affidata a Tommaso Spinola; l'altra fu allestita nel timore di una superiorità delle forze pisane, per poter eventualmente soccorrere la flotta dello Spinola, e sottoposta al comando del Doria. Le circa cinquantaquattro galere comandate dal D. salparono, probabilmente il 27 giugno 1283, alla volta di Porto Pisano, dove giunsero il 28 giugno, grazie al vento favorevole, senza però trovarvi la flotta nemica. Il D. rinunciò ad attaccare il porto, ben munito, e proseguì lungo la costa, in direzione sud. Il giorno seguente s'imbatté nelle navi pisane, che riuscirono a riparare presso Piombino, nel "portus Farexie", chiudendone l'angusta apertura. Attaccare il porto non era impresa facile e i Genovesi, pur avendo fatto preparativi in tal senso, si limitarono a tenervi bloccate le navi pisane.
Per interrompere le comunicazioni con Pisa, il D. fece incrociare tra l'Elba e Piombino quattro galere, che il 4 luglio gli segnalarono l'avvicinarsi di forze navali più consistenti. Era una parte della flotta pisana, di ritorno da Cagliari. Il D. lasciò ventidue galere a sorvegliare l'uscita del "portus Farexie" e con le altre navi puntò verso i Pisani in arrivo, con l'intenzione di sbarrar loro la via verso Piombino. Ma i Pisani, sospinti da vento favorevole, anziché virare, tentarono inopinatamente di passare in mezzo allo schieramento genovese. Questa manovra azzardata costò loro quattro o cinque delle navi maggiori, con un migliaio di uomini a bordo. Sull'onda di questo successo, il 5 luglio il D. decise di togliere l'assedio del "portus Farexie"; probabilmente questa decisione fu raggiunta anche per la necessità di rifornimenti, soprattutto di acqua fresca. Ma il proposito d'invertire la rotta, dopo il rifornimento d'acqua nell'Arno, per stanare i Pisani dal loro porto e provocarli a battaglia fu frustrato dal vento di scirocco che impedì ai Genovesi di virare, mentre consentì ai Pisani di riparare indenni a Porto Pisano. Il D. si trattenne ancora per qualche giorno in acque pisane, ma quando fu chiaro che i suoi avversari non avevano intenzione di accettare battaglia fece ritorno a Genova, dove consegnò al Comune 584 prigionieri. Lo Spinola e il D. avevevano dimostrato alla Repubblica rivale che Genova aveva la supremazia sul mare e poteva disturbare sensibilmente i commerci pisani; ma il confronto decisivo era stato rinviato.
La battaglia navale del 6 ag. 1284 alla Meloria, in cui Oberto, padre del D., guidò vittoriosamente le forze di Genova, costituì la svolta nei rapporti tra le due Repubbliche marinare. Dopo questa vittoria Genova cercò di ottenere la completa sottomissione di Pisa, progettando un attacco in alleanza con Firenze e Lucca. Quest'impresa, avviata a metà del 1285 sotto la responsabilità militare di Oberto Spinola, si concluse senza successo. Su questo e sulla questione se proseguire o meno la collaborazione con Firenze e Lucca si manifestarono probabilmente divergenze tra i due capitani Oberto Spinola e Oberto Doria. Quest'ultimo a settembre comunicò le sue dimissioni da Rapallo, dove si trovava con i figlì. Questo ritiro anticipato, deciso senza un accordo con il Comune, apri una crisi costituzionale. Le due famiglie tuttavia compresero che un conflitto all'interno del Comune avrebbe favorito gli avversari guelfi e decisero, alla fine del 1285, di riappacìficarsi.
Il D. rientrò a Genova e subentrò a suo padre come capitano, per i tre anni che mancavano alla scadenza del mandato. Subito dopo ripresero le trattative con i guelfi toscani per un'azione contro Pisa. Durante il triennio non si ebbero grosse azioni militari, ma l'isolamento politico ed economico pisano crebbe. Alla fine del 1287 inìziarono i sondaggi che condussero, nell'aprile del 1288, ad un trattato di pace che escludeva quasi del tutto i Pisani dalla Sardegna. L'atto reca chiara la firma dei Doria, che ottenevano una posizione chiave nell'isola.
Il 28 ott. 1288 decadde il mandato del D. e dello Spinola, che furono rieletti per altri cinque anni. Questa decisione si spiega forse con la disponibilità ad affidare la conduzione degli affari cittadini alle due famiglie più potenti, ma va vista certo anche come reazione contro i tentativi dei guelfi genovesi di ottenere una maggiore partecipazione al governo municipale. La scelta della continuità mirava a sventare questi progetti. Ma i guelfi non si diedero per vinti e ordirono una congiura, capeggiata dai Grimaldi, dai Fieschi e dai Mallocelli. Il 1º genn. 1289 i rivoltosi uscirono allo scoperto col tentativo di catturare i due capitani, che furono avvisatì della minaccia solo poche ore prima. Il fallimento della sedizione fu dovuto al popolo, che prese a sua volta le armi in difesa del governo cittadino. I ribelli si rifugiarono nella chiesa di S. Lorenzo e sfuggirono alla morte solo grazie all'intervento del D. e del suo collega, che consentirono loro di tornare alle loro case, dopo aver giurato di non ripetere il tentativo.
Nel 1289 il conflitto con Pisa si riaccese. I Pisani rifiutavano di abbandonare Cagliari, come prescriveva loro il trattato di pace. Nel marzo di quell'anno Pisa conferì il governo della città a Guido di Montefeltro, in previsione dello scontro con i guelfi toscani e con Genova.
La guerra riprese a luglio. Le prime azioni militari furono rivolte soprattutto contro Sinucello Della Rocca "Giudice di Cinarca" ed ebbero esiti alterni. La sconfitta di Sinucello fu presto neutralizzata da una rivolta dei Corsi, che condusse alla convocazione del Consiglio di guerra genovese, la credentia. Questa assunse il coordinamento delle azioni contro Pisa e la Corsica, rinnovò l'alleanza con Lucca e armò una flotta incaricata di saccheggiare l'Elba per poi dirigersi verso la Corsica, al comando di uno dei due capitani. Una seconda flotta fu inviata il 12 luglio verso l'Elba per impedire un ritorno in forze dei Pisani, che effettivamente avevano intenzione di recuperare l'isola, ma furono costretti a rinunciarvi dopo che il D. ebbe rafforzato la presenza genovese a Portovenere.
Contemporaneamente Lucca propose a Genova un attacco congiunto a Porto Pisano. L'invito fu accettato e il D., rientrato a Genova il 23 agosto, ricevette quasi subito il comando di una flotta di venti galere. Mentre Lucca, sostenuta dagli alleati guelfi, attaccava via terra, il D. agì dal mare, sconfiggendo il piccolo presidio rimasto nel porto (gli edifici erano invece già stati fatti bruciare da Guido da Montefeltro). Dopo alcuni saccheggi lungo la costa, la flotta genovese dovette fare ritorno. Un attacco alla città di Pisa si era rivelato impossibile, anche in alleanza con Lucca.
Tuttavia la distruzione del porto di Pisa non accrebbe il prestigio del D. a Genova, dove da tempo si levavano voci sempre più decise contro un ulteriore rinnovo del mandato ai capitani oltre la scadenza del 28 ott. 1291. I ghibellini fecero propria questa richiesta, temendo di perdere l'appoggio del popolo contro un'eventuale nuova congiura dei guelfi e convinsero i due capitani a non opporsi a questa volontà, per il bene comune. Lo Spinola e il D. accettarono e incaricarono quattro uomini autorevoli (tra cui Oberto Doria e Guido Spinola) di elaborare degli statuti intesi ad assicurare il predominio dei ghibellini e del popolo. A capo del Comune sarebbe stato eletto un solo capitano, forestiero. Alla scadenza del mandato i due capitani passarono puntualmente le consegne al loro successore, ricevendo un onorario di 3.000 lire. Il D. tornò allo status privato, pur continunando a partecipare alle vicende politiche cittadine, come indica chiaramente il fatto che nell'aprile del 1292 Giacomo d'Aragona lo incluse tra i genovesi influenti cui si rivolse personalmente per chiedere appoggi nella guerra contro gli Angioini nell'Italia meridionale.
Nel 1295 guelfi e ghibellini genovesi stipularono una pace che avrebbe dovuto seppellire le antiche rivalità, ma già a dicembre tornarono a combattersi apertamente; il conflitto si concluse quaranta giorni dopo con una nuova sconfitta dei guelfi, capeggiati dai Grimaldi. Come diretta conseguenza, all'inizio del 1296 la diarchia fu ristabilita e affidata al D. e a Corrado Spinola, figlio dello scomparso Oberto.
Il D. mantenne la carica solo per un breve periodo, durante il quale scoppiò il conflitto con Venezia. Verso la fine del 1297 diede le dimissioni e si recò in Sicilia, dove il re Federico III lo nominò grande ammiraglio, al posto di Ruggiero di Lauria. Mentre suo padre era riuscito a tenere Genova e se stesso fuori della guerra dei Vespri, il D. prese posizione. Si trattava di una scelta rischiosa per la città, che veniva a trovarsi in grave urto con Carlo II d'Angiò che dominava l'Italia meridionale, dove Genova aveva notevoli interessi commerciali, e la Provenza, dove i fuorusciti guelfi genovesi trovavano appoggio e asilo per le loro azioni di saccheggio. Ma il pericolo maggiore veniva da Bonifacio VIII, che aveva caldeggiato un'alleanza tra Giacomo Il d'Aragona e Carlo II per sottrarre la Sicilia a Federico d'Aragona.
Solo dopo aver concluso la pace con, Venezia, il 25 maggio 1299, Genova poté impegnarsi dalla parte di Federico, attirandosi la decisa avversione del papa e di Carlo II. Bonifacio VIII reagì per primo, cercando in vari modi di dividere le due principali famiglie cittadine. Poiché queste manovre non ebbero subito effetto, il giovedì santo del 1300 egli pronunciò la scomunica contro i suoi nemici genovesi ed espressamente anche contro il Doria. Poco dopo, tre membri della famiglia Spinola si recarono alla Curia pontificia per avviare una riconciliazione, dopo aver preso contatto anche con Carlo II. In presenza di emissari angioini, essi predisposero un'ipotesi di accordo che prevedeva tra l'altro un'azione genovese per convincere il D. a rinunciare alla carica di ammiraglio; in caso di rifiutol la Repubblica lo avrebbe dovuto dichiarare ribelle. Una delegazione genovese composta di esponenti dei Doria si recò poi a Roma e chiese la modifica di alcune condizioni, tra cui quelle più gravose per il D., ma prospettò anch'essa un distacco da Federico d'Aragona. Bonifacio VIII inviò allora a Genova come nunzio il francescano Porcheto Spinola, affinché proseguisse le trattative.
La pace tra Genova e Carlo II era ancora in discussione quando, il 14 giugno, presso l'isola di Ponza, si verificò un fatto ricco di conseguenze. La flotta siciliana, cui si erano unite cinque galere genovesi di parte ghibellina, cercò di costringere allo scontro Ruggiero di Lauria, passato al servizio di Carlo II. Egli accettò la sfida solo dopo aver ricevuto rinforzi, tra cui alcune navi inviate dai guelfi genovesi. Quando il D. diede ordine alle sue navi d'incrociare presso la costa nordoccidentale, Ruggiero gli sbarrò la ritirata. Dopo accaniti combattimenti, il grosso delle flotte aragonesi e genovesi fu affondato. Pare che il D. si sia rifiutato fino alla fine di capitolare, ma non riuscì ad evitare la cattura. Prima ancora di consegnarlo al re, Ruggiero avrebbe costretto con la tortura il D. a cedergli Francavilla. Tra i numerosi prigionieri si trovavano anche il fratello del D. Simone, suo nipote Oberto e Antonio Doria. Ormai anche i ghibellini genovesi compresero che la libertà degli ostaggi poteva essere ottenuta solo concludendo la pace con Carlo II. Federico fece alcuni tentativi per trattenere dalla sua parte i Genovesi, offrendo fra l'altro a Carlo II il rilascio del figlio, Carlo di Taranto, in cambio di quello del Doria. Ma la situazione politica obbligava Genova alla pace. Il trattato del 2 maggio 1301 impegnava la Repubblica ad una stretta neutralità nella guerra di Sicilia, consentiva il rimpatrio dei guelfi e garantiva la liberazione del Deria. La pace di Caltabellotta del 1302 modificò la situazione politica nell'Italia meridionale. Il D. poté tornare in Sicilia senza esporre Genova alle ritorsioni di Bonifacio VIII, al cui cospetto egli nello stesso anno fece atto di vassallaggio a Federico d'Aragona.
Dal 1297, con la fine del secondo capitanato del D., la città venne retta per qualche tempo da un podestà. Nel gennaio del 1306, quando i rapporti tra i Doria e gli Spinola si erano ormai guastati, la diarchia fu reintrodotta nuovamente e affidata a uno Spinola e a un Doria. Questa farma di governo durò solo fino all'agosto dell'anno successivo, quando Opicino Spinola spodestò il suo collega e assunse tutto il potere. Resistenza fu opposta soprattutto dai Doria e dai nobiles guelfi, che dal 1309 ricorsero anche alle armi. Anche il D. intervenne nella lotta, che si concluse in giugno con la caduta dello Spinola. Nel 1311, quando Enrico VII scese in Italia, il Comune di Genova ritenne che consegnargli la signoria fosse l'unica via d'uscita dai conflitti interni.
Alla cerimonia fu presente il D., che sostenne decisamente il tentativo di Enrico di rafforzare la propria posizione in Italia, soprattutto nella veste di intermediario con la Sicilia. Anche Federico concesse un possente aiuto - trenta galere e 600 cavalli - all'alleanza antiangioina, le cui forze giunsero a Porto Pisano il 13 ag. 1313. Lo stesso giorno, a Buonconvento, moriva l'imperatore. La lotta tra guelfi e ghibellini si riaccese violenta a Genova. I guelfi, sostenuti da Roberto d'Angiò, riuscirono a conquistare il potere nel 1317. Stavolta toccò ai ghibellini lasciare la città, in primo luogo ai Doria, agli Spinola e ai Pallavicini. Gli esiliati si appoggiarono a Federico d'Aragona e a Castruccio Castracani. Nel 1320 il D. assediò Genova con ventotto galere, armate a Lerici e Savona.
Nello stesso anno il conflitto assunse una nuova dimensione. I ghibellini genovesi unirono le loro forze e allestirono una flotta di ventidue galere che, comandate dal D., insieme con quarantadue navi siciliane e con il sostegno dell'imperatore bizantino Andronico II, attaccarono alcune colonie genovesi nell'Europa sudorientale, arrecando gravi danni ai traffici di Genova con l'Oriente.
Non si conosce la data di morte del Doria, da collocarsi tra il 1321 e il 1323. Nel 1321 egli si trovava ancora in Sicilia presso la corte di Federico III, onorato ed investito dal re di numerosi feudi. A significativo che nel 1320 re Federico abbia giustificato nei confronti del fratello Giacomo la sua mancata partecipazione alla campagna aragonese per la conquista della Sardegna con il dovere d'intervenire a Genova nell'interesse.del Doria.
Un figlio del D., Raffaele, successe al padre nella carica di ammiraglio di Sicilia nel 1323. L'ammiragliato rimase per alcune generazioni nelle mani di questo ramo dei Doria. I loro feudi si trovavano in Val di Mazara (Castronovo e Regalmingili) e in Val Demone (Calatabiano e Regalbuto).
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