CORRADO di Marlenheim
Non sono noti né l'anno di nascita né l'anno di morte di C.; mancano anche notizie sui suoi genitori e la sua famiglia.
Nel 1189 è ricordato un Helferich di Marlenheim, ma non è possibile stabilirne il rapporto di parentela con Corrado. Si può comunque ritenere che la famiglia di C. apparteneva alla nobiltà ministeriale dell'Impero e che proveniva da Marlenheim in Alsazia. Ai tempi dei Carolingi Marlenheim era stato un importante castello regio. La questione se i "liberi del re", che spesso troviamo insediati su terre imperiali, si siano fusi più tardi con la nobiltà ministeriale, è stata discussa ripetutamente dalla storiografia sia tedesca sia italiana. Il castello di Marlenheim può offrire un valido esempio del diretto legame di una Comunità con la monarchia, legame che si conservò immutato per un periodo molto lungo, cioè dai tempi carolingi fino all'età sveva. Il caso di C. getta così luce anche sul problema circa il ceto dal quale Enrico VI reclutava i suoi funzionari minori (castellani e capitani). Si deve, comunque, rilevare che i signori di Marlenheim non erano certamente una famiglia importante.
Anche sulla stessa carriera di C. non si hanno molte notizie. Sembra che egli venisse per la prima volta in Italia nel 1191, al seguito di Enrico VI, per assistere all'incoronazione imperiale e per partecipare alla conquista del Regno di Sicilia. Dopo la grave sconfitta subita nell'estate del 1191 dall'esercito imperiale durante l'assedio di Napoli, l'imperatore concesse alcuni grandi castelli a nobili tedeschi: Capua a Corrado di Lützelhardt, Rocca di Arce a Dipoldo di Schweinspoint (non di Vohburg), e a C. la rocca di Sora, Sorella. Si trattava di piazzeforti ubicate nelle regioni site al confine del Regno con le terre della Chiesa, soprattutto in Campania e nel Molise, cioè in quelle regioni che la spedizione imperiale, fermatasi a Napoli, era riuscita a sottomettere. Dopo la ritirata dell'imperatore in quelle zone si combatteva una guerriglia continua, con alterna fortuna per le parti avverse. Non è del tutto chiaro se le trattative riprese varie volte tra Enrico VI e il papa Celestino III abbiano avuto qualche effetto sulle singole imprese. Mentre Corrado di Lützelhardt si vide ben presto costretto ad abbandonare Capua, C. non solo poté resistere a Sorella, che era solidamente fortificata, ma poté anche conservare il dominio su Sora.
In tutti questi conflitti il monastero di Montecassino svolse un ruolo importante. La fedeltà all'Impero dimostrata dall'abate Roffredo in quegli anni preparò certamente la strada, per più versi, alla campagna del 1194. Dopo la sconfitta del 1191 Roffredo aveva accompagnato - forse non del tutto volontariamente - l'imperatore in Germania, da dove era ritornato nel 1192 per iniziare la guerra per il recupero delle terre del monastero. Nel frattempo Bertoldo di Hochkönigsburg, per incarico dell'imperatore, aveva raccolto truppe in Toscana e di lì avanzò verso il Regno. Soprattutto la contea di Molise ebbe a patire le terribili devastazioni operate dalle soldatesche di Bertoldo. Il 12 nov. 1192 fu conquistata Venafro e ben presto il Molise e la Terra di Lavoro furono per la maggior parte in mano tedesca. Ma che il dominio imperiale non avesse basi solide si dimostrò quando nell'estate del 1193 Tancredi sbarcò nell'Italia meridionale e riuscì in breve tempo a riconquistare quasi tutte le zone occupate. La sua morte prematura nel gennaio del 1194 provocò tuttavia una nuova svolta. Alla fine di agosto di quello stesso anno Enrico VI varcò i confini della Campania, nell'ottobre sbarcò in Sicilia e il giorno di Natale fu incoronato redi Sicilia a Palermo. Nella primavera del 1195 il nuovo sovrano tenne "curia" a Bari, nel corso della quale furono stabiliti cambiamenti importanti. Molti dei feudi e degli alti uffici del Regno furono concessi ai sostenitori della dinastia sveva, sia tedeschi sia normanni.
C. conservò Sorella e la signoria di Sora; forse gli furono assegnati già allora alcuni altri castelli che più tardi risultano in suo possesso, come Pescosolido e Brocco (presso Frosinone), mentre pare sia successo a Dipoldo di Acerra nel possesso di Rocca d'Arce soltanto dopo la morte di Marquardo di Annweiler.
I diplomi di Enrico VI non ricordano mai direttamente il nome di C., né è attestata la sua presenza alla corte imperiale. Tutto questo lascia quindi pensare che egli non abbia più svolto un ruolo importante negli ultimi anni del regno di Enrico VI. Ma la situazione cambiò drasticamente con la morte prematura dell'imperatore Enrico VI nel 1197 e quella della moglie Costanza nel 1198. La reggenza fu assunta dal papa Innocenzo III, tutore del giovane Federico II, e, come era da aspettarsi, ben presto scoppiarono violente lotte. C. passò subito dalla parte di Marquardo di Annweiler, il quale, richiamandosi al testamento del defunto imperatore, mirava ad impadronirsi del governo del Regno, non importa in virtù di quale titolo. Anche Dipoldo di Acerra passò nel campo di Marquardo, il quale in tal modo poté contare su due potenti alleati in Campania, dove anch'egli deteneva un grande feudo. L'abate Roffredo di Montecassino invece si era già schierato dalla parte del papa e Marquardo si vide perciò costretto a porre l'assedio al monastero, la "porta d'ingresso" al Regno. Il suo esercito tuttavia si dovette accontentare della conquista di San Germano, che fu spietatamente saccheggiato. Non si sa se C. abbia partecipato alle lotte successive contro i vari rappresentanti degli interessi pontifici; ma quasi sicuramente non svolse alcun ruolo nelle trattative diplomatiche. Si può invece presumere che egli, dopo la morte di Marquardo di Annweiler, insieme con Dipoldo di Acerra, abbia combattuto contro Gualtieri di Brienne che alla fine riuscì a confinare i Tedeschi quasi totalmente nei loro castelli.
La cattura di Gualtieri ad opera di Dipoldo e la morte del conte avvenuta il 14 giugno 1205, migliorarono la situazione dei capitani tedeschi. Ma un'ulteriore resistenza dovette ormai sembrare del tutto insensata, dopoché Lupoldo di Worms, inviato da Filippo di Svevia nel Regno per rivendicare i diritti imperiali, era improvvisamente tornato in Germania, ed erano state avviate trattative tra Filippo e la Curia. Dipoldo di Acerra riuscì a concludere un accordo con la Curia (che probabilmente non prevedeva la sua sottomissione totale, come invece afferma il biografo di Innocenzo III) e in cambio di precise assicurazioni fu assolto dalla scomunica. Infine anche C., Marquardo di Lariano ed altri cessarono le ostilità e si riappacificarono con la Chiesa. Un accordo generale si prospettò, quando il conte di Acerra si presentò a Roma per trattare personalmente con il papa.
Per incarico del papa Dipoldo si reco in seguito a Palermo, dove Capparone gli consegnò effettivamente, senza opporre troppa resistenza, il giovane re Federico II. Ma il cancelliere del Regno, Gualtieri vescovo di Troia, imprigionò Dipoldo e suo figlio, temendo probabilmente di perdere la sua grande influenza a corte. La parte tedesca si sentì, e non del tutto a torto, tradita, tanto più che Innocenzo III non fece niente per liberare il suo ambasciatore. Alla notizia il fratello di Dipoldo ed altri tedeschi, tra cui C., ripresero la lotta, nonostante i giuramenti prestati prima dell'assoluzione dalla scomunica ai rappresentanti del Papa. La guerra divampò più violenta quando Dipoldo riuscì a scappare dalla prigionia. Di nuovo furono devastate le province di confine del Regno - Molise e Campania -, ma anche le regioni meridionali dello Stato della Chiesa. Solo alla fine della reggenza di Innocenzo III la Curia ottenne una vittoria inaspettata sui castellani tedeschi. I cittadini di Sora il 5 genn. 1208 consegnarono volontariamente la loro città alle truppe dell'abate Roffredo di Montecassino. Solo la rocca di Sora, Sorella, era ancora nelle mani di Corrado. Il castello era considerato imprendibile, ma C. aveva validi motivi di diffidare del presidio. Perciò decise di consegnare se stesso e il castello a Riccardo Conti, fratello del papa. Anche un cugino di C., Ugo di Marlenheim, che teneva Rocca d'Arce, la consegnò ottenendo in cambio la liberazione dei prigionieri (non si sa se tra essi ci fosse anche C.), venti cavalli e il pagamento di venti once d'oro. Dopo questi episodi anche gli altri presidi dovettero cedere. Un obiettivo politico perseguito già da Costanza fu così realizzato finalmente al termine della reggenza di Innocenzo III.
Nulla si sa della situazione personale di Corrado. Oltre a lui troviamo al servizio di Enrico VI nel Regno anche un altro esponente della sua famiglia, il già citato cugino Ugo. È possibile che al pari di molti altri tedeschi anche C. avesse stretto rapporti di parentela con nobili famiglie siciliane. Non si sono conservate testimonianze dirette su di lui, come diplomi, iscrizioni, monumenti, rappresentazioni iconografiche. Tutte le fonti concordano però sulla brutalità e l'arbitrarietà del suo governo: in questo senso sono anche le testimonianze di quei cronisti che non avevano a priori un atteggiamento ostile al dominio svevo. A corte pare che si sapesse della pessima fama di Corrado. In un privilegio a favore del monastero di Casamari, rilasciato il 30 sett. 1194, immediatamente dopo il suo ingresso in Campania, l'imperatore intimò a varie persone, tra cui è ricordato espressamente il castellano di Sorella e di Rocca d'Arce, di non molestare il monastero.
Dopo la consegna di Sorella al pontefice, C. scompare dalla scena storica. Non si conoscono le sue ulteriori vicende.
Fonti e Bibl.: Ryccardi de, Sancto Germano Chronica, in Rer. Ital. Script., 2 ed., VII, 2, a cura di C. A. Garufi, p. 26; Petri Ansolini de Ebulo De rebus Siculis carmen, ibid., XXX, 1, a cura di E. Rota, p. 56; J. D. Schoepflin, Alsatia aevi Merovingici Carolingici Saxonici, Salici diplomatica, I, Mannheirn 1772, p. 291; Annales Ceccanenses, in Mon. Germ. Hist. Scriptores, XIX, a cura di G. H. Pertz, Hannoverae 1866, pp. 289, 291 s., 296 ss.; Annales Casinenses, ibid., pp. 315, 319; Gesta Innocentii Papae tertii, in P. Migne, Patr. lat., CCXIV, coll. LXVI-LXXIII; J. F. Böhmer, Regesta Imperii, IV, 3, Köln-Wien 1972, n. 377; Th. Tocche, Kaiser Heinrich VI., Leipzig 1867, pp. 310, 320; E. Winkelmann, Philipp von Schwaben und Otto IV. von Braunschweig, I, Leipzig 1873, p. 38; II, ibid. 1878, pp. 6, 55, 61, 71 ss.; Id., Über die Herkunft Dipolds des Grafen von Acerra und Herzogs von Spoleto, in Forschungen zur deutschen Geschichte, XVI (1876), pp. 159-163; F. Baethgen, Die Regentschaft Papst Innocenz III. im Königreich Sizilien, Heidelberg 1914, pp. 97 ss.; H. W. Klewitz, Gesch. der ministerialität im Elsass bis zum Ende des Interregnums, Frankfurt 1929, p. 97; Th. C. van Cleve, Markward of Anweiler and the Sicilian Regency. A study of Hohenstaufen Policy in Sicily during the Minority of Frederick II, Princeton-Oxford 1937, p. 98; K.Bosi, Die Reichsministerialität der Salier und Staufer. Ein Beitrag zur Geschichte des hochmittelalterlichen Volkes, Staates und Reiches I, Stuttgart 1950, pp. 205 ss.