CORRADO di Lützelhardt
Non si conoscono né il luogo né la data di nascita di C. che è ricordato per la prima volta nel 1172 nell'entourage dell'arcivescovo Cristiano di Magonza. Sconosciuti sono rimasti anche i suoi genitori e non si sono ancora dissolti del tutto i dubbi sulle sue origini.
È stata proposta la sua discendenza da una famiglia che traeva il proprio nome dal castello di Lützelhardt in Alsazia e che con tutta probabilità era una famiglia di ministeriali imperiali. Ma oggi si è piuttosto propensi a pensare che C. derivasse il nome da un altro castello di nome Lützelhardt, sito nella Germania meridionale (comune di Scelbach nell'odierno Baden-Württemberg). Le opinioni, tuttavia, diventano di nuovo contrastanti, quando si tratta di stabilire la sua condizione sociale. Ci si è chiesti se i suoi antenati fossero ministeriali dei duchi di Zähringen o se invece sia esistito un qualche legame genealogico tra la famiglia di C. e quella, famosa, dei conti di Calw: in quest'ultimo caso la famiglia dei Lützelhardt apparterrebbe senz'altro alla vecchia nobiltà. Ma neanche un esame delle liste dei testimoni può dissipare ogni dubbio. Tutto sommato sembra però più probabile che C. fosse un nobile e non un ministeriale. La questione non è del tutto indifferente, soprattutto per quel che riguarda la storia istituzionale tedesca, perché ci può aiutare a chiarire il problema se persone di condizione non libera potessero assumere alte cariche nell'amministrazione dello Stato medievale, se esistesse cioè una mobilità sociale all'interno del sistema feudale.
C., inoltre, è spesso stato confuso con il duca di Spoleto Corrado di Urslingen. Ma si tratta senza alcun dubbio di persone diverse, visto che varie volte figurano una accanto all'altra tra i testimoni di un documento. La confusione tra i due personaggi è stata facilitata non soltantodall'omonimia, ma anche da varie analogie delle loro rispettive biografie.
Nulla sappiamo della giovinezza e dell'educazione ricevuta da Corrado. Ma dalle scarse testimonianze di contemporanei che sono in nostro possesso possiamo desumere che non furono né la sua istruzione né altre doti intellettuali ad aprirgli le porte della corte e a metterlo in contatto con l'arcivescovo di Magonza. Le prime notizie su di lui risalgono, come nel caso di Corrado di Urslingen, al periodo in cui si,era già trasferito in Italia. Dopo la sconfitta subita dall'esercito imperiale che assediava Roma (1167), l'imperatore Federico I si era ritirato in Germania da dove intavolò trattative con il pontefice Alessandro III, fallite le quali decise di scendere di nuovo in Italia. Per preparare l'impresa sul piano diplomatico fu mandato in Italia l'arcicancelliere dell'Impero, l'arcivescovo Cristiano di Magonza. Nei diplomi rilasciati allora da Cristiano di Magonza in Toscana figura per la prima volta anche il nome di C., accanto a quello di Corrado di Urslingen. Ma mentre quest'ultimo è qualificato come "Suevus", il nome di C. appare con il distintivo di "Latinerius" o "Latinarius", un epiteto che scompare nel periodo successivo. E che questo Corrado "Latinerius" sia effettivamente da identificare con il futuro marchese di Ancona risulta da un elenco compilato in occasione della pace di Venezia del 1177, dove Corrado "Latinerius" è qualificato anche come "princeps imperatoris et marchio".
Non si è riusciti finora ad interpretare in modo convincente l'epiteto di "Latinerius". È poco probabile che volesse indicare che C. parlava il volgare o il latino e quindi fungeva da interprete. Un altro soprannome attribuitogli dimostra tutt'al contrario che i contemporanei non avevano una grande opinione delle sue capacità intellettuali. Burcardo, preposto del monastero di Ursberg nella diocesi di Augusta, che aveva soggiornato a lungo in Italia ed era di origine alemanna come lo stesso C., scrive nella sua cronaca che C. era chiamato dagli Italiani "musca in cerebro", perché spesso dava l'impressione di essere "quasi demens". Con lo stesso attributo è ricordato anche in un diploma di Enrico VI. Il fatto che più tardi anche Innocenzo III gli darà questo soprannome dimostra che era proprio di uso corrente.
Nei primi anni del suo soggiorno in Italia C. viene qualificato nei documenti come legato e nunzio dell'imperatore Federico I Barbarossa, ma non si riesce a stabilire a quali regioni precisamente si riferissero i suoi poteri. È molto probabile comunque che ne facessero parte quelle zone dove in seguito egli operò come "marchio" e "dux", cioè la marca d'Ancona, la Romagna e il ducato di Ravenna.
Esattamente come Corrado di Urslingen, che prima di venire investito del ducato di Spoleto vi esercitò l'ufficio di legato, anche C. fu legato nella marca d'Ancona prima di diventarne marchese. Ma mentre il ducato di Spoleto già in precedenza era stato governato da un duca di origine tedesca, Guelfo IV che nel 1173 0 nel 1174 aveva lasciato il suo ufficio, nella marca d'Ancona la situazione era del tutto diversa. Ivi una vecchia famiglia locale, che durante lo scisma si era schierata dalla parte dell'imperatore e lo sostenne nelle guerre conto la lega lombarda, condivideva il potere con il legato. Questo spiega anche perché il vescovo Geraldo di Cahors in una lettera scritta verso il 1170 poteva comunicare all'imperatore di essere stato catturato durante il ritorno dalla Curia sia dal marchese di Ancona sia da Corrado. Ma anche come legato C. sembra aver agito esclusivamente su direttiva dell'arcivescovo di Magonza. Non sappiamo se abbia partecipato all'infruttuoso assedio di Ancona nella guerra contro l'imperatore Manuele o alle guerre in Romagna. Durante questi conflitti è ricordato una sola volta alla corte imperiale, e precisamenteil 24 luglio 1175 a Bologna.
Nell'estate del 1177, dopo lunghe e tenaci trattative, fu conclusa finalmente a Venezia la pace tra l'imperatore e il papa. Nei numerosi diplomi emanati allora dall'imperatore in quella città C. è ricordato per la prima volta con il titolo di marchese di Ancona. Il fatto che non ci siano testimonianze anteriori in proposito lascia pensare che proprio allora egli sia stato investito di quest'ufficio. Il titolo di C. non circoscrive esattamente l'ambito geografico dei suoi poteri. Da alcuni documenti risulta che C. esercitò la sua carica anche in Romagna e nel ducato di Ravenna.
Possiamo solo avanzare supposizioni perché l'imperatore avesse scelto proprio Corrado. La marca d'Ancona era certamente considerata una provincia molto importante, come dimostra già il fatto che Federico stesso vi soggiornò per un periodo inusitatamente lungo nella primavera del 1177 e che Cristiano di Magonza scortò personalmente a Venezia i cardinali che, per recarsi nella città lagunare, dovevano attraversare quella regione. La scelta di C., comunque, non era priva di conseguenze sul piano politico e non corrispondeva affatto alle aspettative di papa Alessandro III. Subito dopo la nomina di C. il papa si lamentò con l'imperatore per la scelta, fatta in base ai propri interessi e non in base ai meriti del prescelto. È interessante constatare che proprio in questa lettera il pontefice ribadiva ancora una volta le rivendicazioni territoriali avanzate dal Papato già in precedenza". La marca d'Ancona era infatti della massima importanza per i papi, come anello di congiunzione tra la Romagna e il Patrimonio. Dalla stessa lettera risulta anche che C. era incorso nella scomunica, perché si era appropriato di beni ecclesiastici e perché aveva commesso violenze nei confronti del clero. Anche da altre fonti sappiamo che C. si rese spesso colpevole di atti di violenza. Firenze e Piacenza conclusero un accordo al fine di tutelare i loro mercanti dai saccheggi di Corrado. Forse furono queste sue qualità militari, o piuttosto predatorie, a convincere lo imperatore ad affidargli il governo della marca. D'altronde era certamente più facile far valere i diritti imperiali in quella provincia che in Lombardia o in Toscana, perché, ad eccezione di Ancona, il movimento comunale vi era ancora poco progredito.
Le testimonianze sull'attività svolta da C. nella marca d'Ancona sono estremamente scarse. Non si sono conservati documenti da lui emanati e il suo nome appare soltanto qualche volta nella datazione. È anche vero che Federico tendeva a restringere i poteri marchionali e prendeva misure concrete in questa direzione. Pare che neanche a corte C. abbia avuto una posizione influente. Viene ricordato come "princeps imperatoris" soltanto nel 1177, in occasione della conclusione della pace di Venezia. Soltanto quando ebbe inizio l'ultimo grande conflitto di Federico I con il Papato, C. svolse di nuovo un ruolo di un certo rilievo sulla scena della politica imperiale.
Il fidanzamento del figlio dell'imperatore, Enrico, con l'erede del Regno di Sicilia, e l'accordo sulla successione della coppia nel caso che Guglielmo II fosse morto senza discendenti diretti, giurato da ambedue le parti, fu motivo di ulteriore tensione tra Impero e Papato. C. probabilmente fece parte dell'ambasceria che ebbe l'onore di accogliere nell'agosto del 1185 la promessa sposa a Rieti. È questo l'ultimo anno in cui il nome di C. compare nei diplomi del Barbarossa. Dopo le nozze di Enrico con Costanza e la sua elevazione a re dei Romani C. deve essere passato al servizio del giovane sovrano. Non ne abbiamo testimonianze dirette, come nel caso di Corrado di Spoleto, ma d'ora in poi risulta documentata la sua presenza alla corte di Enrico VI, con una documentazione particolarmente folta per l'anno 1186, quando il re soggiornò prima nelle Marche e poi a Spoleto. Quando Enrico VI nell'inverno del 1187-88 tornò in Germania, C. rimase in Italia. Il re confidava, pare, soprattutto nelle sue qualità militari. Come condottiero, infatti, C. si distinse Il 18 nov. 1189 era verificato il caso per cui, secondo gli accordi, la successione sarebbe toccata alla coppia reale. Ma nel gennaio del 1190 fu incoronato re di Sicilia il conte Tancredi di Lecce e subito scoppiarono aspri conflitti tra la fazione sveva nel Regno e i partigiani di Tancredi, mentre Enrico era ancora in Germania, dove si preparava all'incoronazione imperiale e all'occupazione militare del Regno di Sicilia. Insieme con il conte Pietro di Celano, partigiano di Enrico VI, C. cercò di consolidare il dominio imperiale nelle province settentrionali del Regno. Ma presso Sora gli mosse contro l'esercito di Tancredi, costringendolo alla fuga. Non è sicuro se C. fosse presente all'incoronazione imperiale di Enrico VI, celebrata il 15 apr. 1191 a Roma. Ma fu sicuramente nell'esercito imperiale che mosse alla conquista del Regno di Sicilia. L'impresa finì con una catastrofe davanti alle mura di Napoli, dove l'esercito fu annientato e la stessa imperatrice Costanza fu fatta prigioniera. Al momento di ritirarsi l'imperatore consegnò a C. la città e il castello di Capua. Ma appena Enrico VI ebbe lasciato la Campagna con quel che era rimasto del suo esercito, C. fu attaccato dal cognato di Tancredi, il conte Riccardo di Acerra. Alla fine la fame costrinse il marchese a consegnare il castello dopo che la città si era già arresa: C., comunque, ottenne di potersi allontanare.
Ne 1192 fu in Germania: figura, infatti, come testimone in un diploma di Enrico VI, emanato il 13 maggio a Francoforte. In quel periodo, sicuramente nell'estate del 1192, C. fu investito del marchesato di Toscana. Il diploma di investitura non si è conservato, ma sappiamo che era munito - fatto abbastanza raro - di una bolla d'oro. La nomina di C. in quel preciso momento non era certamente un caso e va vista in connessione con l'inasprimento del conflitto per la successione in Sicilia. Nell'esatte del 1192, è vero, Tancredi aveva concesso la libertà all'imperatrice Costanza, ma la sua investitura del Regno di Sicilia da parte del pontefice in base al concordato di Gravina aveva reso ormai inevitabile la guerra. Dopo l'esperienza catastrofica del 1191 l'imperatore questa volta preparò accuratamente la campagna siciliana ed in questi preparativi si inserisce anche la nomina di C. a marchese di Toscana. A C. toccava il compito di assicurare all'imperatore la Toscana che doveva servire come punto di partenza per la discesa in Sicilia. Ed effettivamente nel 1192 Enrico VI e Bertoldo di Hochkönigsburg iniziarono da lì la campagna.
Se il compito affidato a C. era soprattutto militare, si capisce anche perché del suo breve governo in Toscana si sia conservato un solo documento. Si tratta di un privilegio a favore del monastero vallombrosano di Passignano nella Val di Pesa, che allora atraversava una serie di violenti conflitti interni ed esterni. Ma C. si conquistò fama tra i contemporanei soprattutto con un atto spettacolare. Verso la fine del 1192 egli fece assalire, presso Semifonte (località abbandonata presso Barberino Val d'Elsa), il cardinale vescovo di Ostia e Velletri Ottaviano, che stava ritornando a Roma dalla Francia lungo la via Francigena, e lo fece imprigionare nel castello di Monte Santa Maria, presso Perugia. La prigionia del cardinale non durò a lungo perché già all'inizio del gennaio 1193 era a Roma Ma l'episodio della sua cattura fu considerato dalla Chiesa come un gravissimo affronto alla propria autorità: qualche anno più tardi Innocenzo III lo considerava ancora talmente mostruoso da elencarlo tra i motivi per respingere l'elezione di Filippo di Svevia. Si diceva che C. avesse agito in base ad un editto imperiale, che prescriveva di arrestare chiunque si recasse a Roma o di costringerlo a tornare indietro.
Nel 1193 C. e Bertoldo di Hochkönigsburg, iniziarono la guerra contro il Regno di Sicilia. Inizialmente il conflitto volse a favore della fazione sveva, ma la situazione cambiò quando nell'estate Tancredi sbarcò di nuovo in terraferma. La lotta era incentrata soprattutto in Campania e nel Molise. Dopo la morte di Bertoldo, avvenuta durante l'assedio di Monteroduni nella contea di Molise, C. fu eletto suo successore come capo dell'esercito, anche se una parte dei soldati si era apparentemente opposto alla elezione. Senza successi di rilievo, ma anche senza sconfitte importanti, C. si trattenne per un certo tempo nella Val Forcone, più tardi passò in Puglia e si ricongiunse, infine, con l'esercito imperiale comandato da Enrico VI, assumendo il comando del contingente svevo. Poco dopo la sua incoronazione a re di Sicilia (25 dic. 1194) Enrico VI convocò una curia a Bari per riorganizzare l'amministrazione dei regni d'Italia e di Sicilia. Non sappiamo precisamente perché C. allora fosse stato privato dei feudi nel Regno d'Italia, cioè della marca d'Ancona e del marchesato di Toscana, per essere invece investito della contea del Molise nel Regno di Sicilia. Possiamo supporre che l'imperatore non volesse lasciare queste due province ulteriormente in mano ad un uomo esperto soprattutto, e quasi esclusivamente, di cose della guerra. Il Molise invece doveva ancora essere riconquistato. Vi resisteva tuttora il conte Ruggero, che C. infine costrinse ad abbandonare la contea. Ma egli stesso dovette morire poco tempo dopo. Infatti già nel 1197 troviamo il marchese Marquardo di Annweiler citato come suo successore nella contea.
Quasi nulla sappiamo dei legami familiari di Corrado. La moglie forse apparteneva alla famiglia dei conti di Sangro e molti indizi lasciano pensare che il Corrado di Lützelhardt, ricordato più tardi varie volte nell'entourage di Federico II, fosse suo figlio. L'imperatore si servì delle sue qualità militari, ma non pare che C. abbia fatto parte della cerchia più stretta dei consiglieri di Enrico VI. La sua cattiva fama - oltre a "musca in cerebro" era chiamato anche "bellicosus" - e il fatto che fosse affidata a lui in un primo momento la custodia della vedova di Tancredi e di Guglielmo III non hanno certamente giovato, per quanto è possibile giudicarlo dopo secoli, al prestigio della dinastia sveva.
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