DEL CARRETTO, Corrado
Nacque nella seconda metà del sec. XIV da Giorgio, secondo la testimonianza dello Stella e del Filelfo.
I documenti genovesi ricordano anche un altro Corrado Del Carretto, figlio di Manuele, che si sarebbe schierato con altri membri della famiglia a fianco di Amedeo VIII di Savoia e avrebbe lottato contro il doge di Genova Antoniotto Adorno. Il padre del D. apparteneva con ogni probabilità non al ramo principale della famiglia, quello dei marchesi del Finale, ma ad un altro collaterale, quello dei marchesi di Millesimo; un Giorgio Del Carretto è ricordato, infatti, come governatore visconteo di Siena nel 1403. Le fonti ricordano anche un Corrado Del Carretto (da identificare, forse, col D.), che, passato al servizio di Gian Galeazzo Visconti, sebbene fosse legato da rapporti feudali a Teodoro II, marchese di Monferrato, divenne nel 1401 podestà di Vicenza. Nello stesso anno egli sarebbe stato nominato anche podestà di Perugia per il duca di Milano, ma non accettò la carica; tuttavia, in lui dovrebbe essere identificato il Riccardo Del Carretto che ricorre in documenti coevi. Infatti, occorre far notare che parecchi membri della famiglia carrettesca, appartenenti a rami collaterali della stirpe, e perciò non sempre identificabili nei loro rapporti col ramo principale dei marchesi del Finale e quindi di non facile collocazione nell'albero genealogico, rivestirono importanti cariche alla corte viscontea e poi in quella sforzesca, nella cui orbita la famiglia gravitava. Basti ricordare Franchino, oratore ducale nel 1425; Ottone, oratore sforzesco presso il papa nel 1458; lo stesso Giorgio, padre del D., e Galeotto.
Nel 1404 il D. divenne podestà di Verona per incarico del Visconti; arresasi la città alle truppe di Francesco Novello da Carrara, che vi entrò il 10 apr. 1404 (la cittadella si arrese il 27 successivo), il D. si diede in ostaggio al da Carrara come garante della resa della città. Cinque anni dopo, insorta Genova contro il dominio di Jean Le Meingre, detto il Boucicault, e datasi a Teodoro II Paleologo, marchese del Monferrato, l'11 sett. 1409 il D., postosi al servizio del marchese, venne eletto podestà di Genova. Iniziò un periodo intenso per lui che, come luogotenente del Paleologo, dovette intervenire più volte per sventare o reprimere i tentativi compiuti dai fuorusciti genovesi, in particolare dai Fregoso, per riprendere il controllo della città. Così l'anno seguente, il 14 novembre, assalì e mise in fuga Luca Fieschi, che, alla testa di 60 cavalieri, si era spinto fino alla periferia di Genova: nello scontro morirono sei seguaci del Fieschi e ne fu catturato uno, poi impiccato sul greto del Bisagno. Tre giorni dopo, il D. fu costretto nuovamente a far pattugliare la città, per evitare manifestazioni o adunate sediziose di seguaci del Fieschi. Nel 1411, durante l'assenza del marchese del Monferrato, che si era recato a presenziare alle nozze del figlio, rimanendo lontano dalla città dal giugno fino al dicembre dello stesso anno, toccò al D. dirigere il governo e far fronte a gravi pericoli, come il tentativo insurrezionale promosso, con l'appoggio della Repubblica di Firenze, da Rollando e da Tommaso Fregoso. Sempre in questo periodo, il D. fu costretto anche ad occuparsi del mantenimento dell'ordine pubblico nella città e nel distretto di Ventimiglia, dove molti cittadini, che non avevano accettato la signoria del Paleologo, si erano dati alla macchia e con l'appoggio del conte di Savoia compivano pericolose scorrerie contro gli abitati della Riviera di Ponente. Contribuì inoltre a permettere l'acquisto di alcuni castelli nell'Oltregiogo (Pareto, Ovada, Capriata); riuscì abilmente a convincere Bianchino di Romagno, castellano di Sarzana, ad abbandonare le file fiorentine per passare a quelle di Genova e del marchese del Monferrato. Ritornato in città Teodoro II, nel 1412 il D. fu tra i primi a prestare omaggio a Beatrice di Tenda che, vedova di Facino Cane, aveva sposato Filippo Maria Visconti.
Da un atto del 1401 risulta che il D. era cognato di Pietro Balbo, da taluni identificato col padre di Beatrice; tuttavia, allo stato attuale delle nostre conoscenze, non è possibile per noi stabilire se il D. avesse sposato una sorella del Balbo o fosse fratello della moglie del conte.
Il 20 sett. 1412 il D. venne sostituito nelle funzioni di podestà di Genova dall'esule fiorentino Andrino degli Ubertini; tuttavia, egli rimase al fianco del marchese del Monferrato come suo luogotenente fino al gennaio 1413, quando gli subentrò in questo ufficio Giovanni Aliprandi.
Il motivo della sostituzione deve probabilmente ricercarsi nel fatto che il D. aveva ricevuto dal Paleologo un nuovo incarico: quello di guidare un'ambasceria presso Sigismondo del Lussemburgo. La decisione di sostituire il D. nelle funzioni di podestà di Genova fu un grave errore, perché il nuovo luogotenente si rivelò incapace di affrontare e reprimere un ennesimo tentativo contro la signoria del Paleologo, compiuto, approfittando di disordini scoppiati a Savona e dell'assenza del marchese, da Tommaso Fregoso. Questi, rientrato in Genova, riuscì, infatti, nella notte tra il 20 e il 21 marzo, a far insorgere la città, provocando la caduta del regime di Teodoro II. L'ambasceria a Sigismondo partì qualche tempo dopo, ma senza il D., che rimase però al servizio del marchese del Monferrato.
In quello stesso 1413, come procuratore di Teodoro, egli si trovava a Pavia, dove si accordò con Filippo Maria Visconti per la scelta dei quattro arbitri che avrebbero dovuto dirimere le vertenze circa la restituzione di Vercelli e delle altre terre occupate dal marchese (1° giugno). Nel dicembre era a Lodi presso Sigismondo: come procuratore dei figli del defunto Lazzarino (II) Del Carretto ottenne dal re dei Romani la loro investitura a marchesi del Finale. Il 12 genn. 1416, come procuratore di Teodoro II partecipò all'incontro in cui vennero nominati dalle due parti nuovi arbitri per arrivare ad un compromesso sulla questione di Vercelli, che si trascinava ancora irrisolta. Si giunse così ad un accordo, sulla base del quale Teodoro venne lasciato al governo della città per altri otto anni; già l'anno seguente, tuttavia, il D., a nome del marchese, si impegnò a restituire Vercelli al Visconti, dietro il pagamento di 12.000 fiorini d'oro (21 marzo 1417). Il 21 maggio, secondo quanto promesso, il D. e Bernardino de' Granolis, procuratori del marchese, rimettevano la città nelle mani dei rappresentanti del duca di Milano.
Morto Teodoro II (1418), il D. passò al servizio di Filippo Maria Visconti, col quale aveva mantenuto cordiali rapporti anche nel periodo in cui era rimasto al fianco del Paleologo. Nel 1424, con Novello Caimmi, fu inviato presso il re dei Romani e di Boemia, Sigismondo del Lussemburgo, per attestargli i sentimenti di devozione e di fedeltà del Visconti; vi tornò nuovamente nel 1425, sempre per incarico del duca di Milano. La formazione di una lega antimilanese comprendente anche Firenze e Venezia, fino ad allora in buoni rapporti col duca, rese più urgente la necessità di un intervento di Sigismondo a favore del Visconti. Nel gennaio 1426 il D. fu nominato plenipotenziario del duca di Milano presso il re di Boemia e ricevette le debite istruzioni: doveva indurre il sovrano a compiere passi presso la Repubblica di Venezia per spingerla ad accordarsi col Visconti. Tuttavia, il D. non partì subito per tale missione perché nel febbraio gli fu affidato un diverso e più urgente incarico: quello di recarsi a Ferrara insieme con Franchino Castiglioni per intavolare trattative di pace con Venezia, mediatore il marchese Niccolò III d'Este. I colloqui, iniziatisi nella capitale estense alla fine del mese, terminarono con un nulla di fatto.
Di fronte alle pesanti richieste avanzate dai delegati veneziani (sgombero di Genova, di Imola e di Forlì; osservanza del trattato stipulato nel 1420 con Firenze; esonero dei Malatesta da qualsiasi impegno; consegna dei familiari del conte di Carmagnola), il D. e il Castiglioni obiettarono di non aver poteri sufficienti per trattare su tali basi; la richiesta di avere il permesso di chiedere istruzioni a Milano fu respinta dai Veneziani, convinti che si trattasse di un espediente per guadagnar tempo, per cui i lavori della conferenza furono troncati.
Solo nel marzo inoltrato il D. poté amministrare l'ambasceria presso il re di Boemia. Aveva ricevuto istruzioni precise. Come programma massimo, doveva adoperarsi perché il re Sigismondo riconoscesse anche a Filippo Maria i titoli e i privilegi che i Visconti avevano per il passato ricevuto dall'Impero; come programma minimo, doveva ottenere che il sovrano riconoscesse al duca il possesso delle città e delle terre da lui conquistate, e gli promettesse, anche a nome dei grandi dell'Impero, l'intangibilità della sua persona e la sicurezza del suo Stato. Sigismondo non accettò di trattare su queste basi. Pretese, invece, che Filippo Maria riconoscesse la sovranità imperiale, accettasse una subordinazione completa alla sua politica e fornisse un appoggio incondizionato alla sua progettata discesa in Italia. Nel maggio il D. fu nuovamente inviato, insieme con Guarniero Castiglioni e con Federico Pezzi, a trattare, in vista di un accordo col re dei Romani e di una tregua con Venezia e Firenze; nel giugno si trovava ancora in Ungheria presso la corte del sovrano lussemburghese, allora a Wisselgrad. Il D. si dichiarò, a nome del duca di Milano, disposto a trattare le condizioni proposte da Sigismondo, compresa la cessione di Genova, destinata a diventare porto imperiale nel Mediterraneo. In cambio, chiese a Sigismondo di intervenire per ottenere da Firenze la sospensione delle ostilità. Il 1° luglio 1426 venne raggiunto un accordo, in base al quale Sigismondo ordinò che venisse posto il blocco commerciale a Venezia. Nell'agosto il D. fu richiamato in patria e sostituito con Ludovico de' Sabinis. Nei suoi frequenti contatti con la corte di Sigismondo, egli dovette guadagnarsi la stima del sovrano; infatti, a lui ricorse il Visconti per ottenere che Sigismondo scendesse in Italia. Nel 1428 fu inviato ancora una volta dal Visconti presso il re dei Romani, per esporre i motivi che avevano consigliato il duca a firmare la pace con Venezia e Firenze. Venne incaricato quindi di avviare trattative col marchese del Monferrato, in modo da arrivare a un accordo anche con lui. Nel 1432, diventato governatore visconteo di Parma, ebbe l'incarico di recarsi presso l'esercito di Sigismondo, sceso in Italia, per farsi portavoce delle necessità del Visconti. Tra l'altro, doveva spiegare al sovrano le ragioni che avevano costretto il duca a non inviare Francesco Sforza in rinforzo all'esercito di Sigismondo. Sollecitò inoltre l'imperatore a intervenire presso il duca di Savoia per indurlo a scendere in campo. Invitò, infine, Sigismondo ad affrettare il suo intervento al concilio. Nel 1439 ricevette da Filippo Maria un'ampia procura per trattare un accordo col nuovo re dei Romani Alberto II. Sempre nello stesso anno, insieme con Urbano di Sant'Arosio e Giovanni Balbo, fu inviato dal duca ad Asti, per riprendere il possesso dello Stato, tolto a Francesco Sforza. Nel 1440 ottenne dal marchese del Monferrato l'investitura del luogo di Casaleggio. Secondo il Filelfo (che ebbe tali informazioni da Giovanni Del Carretto, marchese del Finale, e da Spinetta Del Carretto), sarebbe stato inviato come ambasciatore anche al re di Francia e al re d'Inghilterra.
Partito, ormai vecchio, per un pellegrinaggio in Terrasanta il D., giunto in Tracia, si sarebbe ammalato gravemente; trasportato a Gerusalemme, vi sarebbe morto, non sappiamo esattamente in quale anno.
Aveva avuto due figli, Giorgio, studente in legge a Pavia nel 1426, e Teodoro.
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