FOGLIANO (Fogliani, Sforza Fogliani), Corrado da
Figlio di Marco di Neri e di Lucia da Torsciano. gia concubina di Muzio Attendolo, era fratello di Rinaldo e di Bona Caterina e fratello ex matre di Francesco Sforza. Nacque presumibilmente nel secondo decennio del XV secolo nei domini estensi e, come il padre, abbracciò la carriera militare. Legato a Francesco Sforza, per tutta la vita fu suo fedele collaboratore, principalmente in veste di capitano di milizie, ma anche per altri incarichi di natura politica e diplomatica.
Nel quarto decennio del Quattrocento il F. collaborò con il fratello e con tutti i membri di casa Sforza al governo civile e militare della Marca: sono rimaste alcune sue missive da Montottone, dove aveva assegnate le stanze. Nel 1447, come rappresentante dello Sforza, incontrò a Ferrara gli inviati del duca di Milano, e scortò in Lombardia i figli di Francesco, Galeazzo e Ippolita, nella speranza che il duca Filippo Maria Visconti, prossimo alla morte senza eredi, volesse conoscere i nipoti e chiamarli a corte. Alla morte del duca, avvenuta in agosto, i Milanesi avevano proclamato la Repubblica Ambrosiana. Il campo d'azione del F., insieme con tutto l'entourage sforzesco, si spostò in Lombardia. Il F. ebbe un ruolo di primo piano nella decisiva battaglia di Caravaggio (15 sett. 1448) in cui Francesco Sforza, al servizio della Repubblica milanese sconfisse le schiere di Micheletto Attendolo e salvò Milano dall'occupazione veneziana. Con il trattato di Rivoltella (ottobre 1448) lo Sforza abbandonò la Repubblica Ambrosiana e si accordò con Venezia. Fra ottobre e novembre molte terre prossime a Milano si resero al condottiero: il F., posto a capo di un presidio alla guardia di Binasco, si distinse in un fatto d'arme contro Giacomo Piccinino.
Nella primavera del 1449, insieme con Bartolomeo Colleoni, il F. fu distaccato al presidio del confine con il Piemonte. Il 20 aprile fu protagonista, con il Colleoni e con Giacomazzo da Salerno. d'una vittoriosa battaglia avvenuta presso Borgomanero contro le forze di Ludovico di Savoia: il successo riportato ebbe conseguenze importanti nell'andamento della guerra, perché scoraggiò il duca di Savoia dal tentare altre incursioni e alleggerì l'impegno militare dello Sforza che si avviò a conquistare Milano. In quell'anno il F. si recò a Ferrara, in rappresentanza ufficiale del fratello, per assistere all'incoronazione di Borso d'Este, poi raggiunse Roma per il giubileo. Nel 1451 ottenne dal re dei Romani un ampio privilegio di immunità e la dignità di "familiare dell'aula imperiale".
Dalla fine del 1451, mentre si approssimava una ripresa della guerra contro Venezia, il F. fu inviato da Francesco Sforza, duca di Milano dal 1450, ad Alessandria come commissario e luogotenente ducale. Era un incarico di particolare delicatezza, perché in città i fautori dello Sforza erano scarsi e isolati; nel maggio del 1452 fu scoperta una congiura contro il duca, nella quale erano coinvolte numerose personalità cittadine: il F. ricevette un rinforzo di 3.000 cavalli e 1.500 fanti che occuparono militarmente la città.
In tali circostanze già critiche iniziò la guerra sul fronte veneto; e contemporaneamente Guglielmo Paleologo di Monferrato, fratello del marchese, penetrò nel territorio ducale presso Alessandria. Il F. preferì ritirarsi dalle postazioni del contado e fortificarsi nelle rocche ben munite della città, chiedendo urgentemente soccorsi. Tuttavia, quando arrivò dal fronte veneto un contingente capeggiato da Giovanni Della Noce, il F., nonostante le vive sollecitazioni di Francesco Sforza, restò trincerato nelle rocche cittadine rimandando ogni decisione. Solo in luglio si risolse a organizzare una spedizione per fermare Guglielmo di Monferrato, che nel frattempo aveva conquistato molti castelli del contado di Alessandria e si era spinto fin nel territorio pavese. Il Paleologo fu vittoriosamente attaccato mentre dava l'assedio al castello di Cassine: a questa azione però il F. non partecipò, a causa di una malattia. Sul fronte orientale, le vicende della guerra non erano però propizie ai Milanesi; l'esercito sforzesco subì un grave rovescio militare, e ciò incoraggiò il marchese di Monferrato a rifiutare la pace. Intanto ad Alessandria si scoprì che il condottiero Giovanni Della Noce trattava con il nemico: il F. riuscì a sventare la manovra e arrestò il traditore.
Le difficoltà militari si riflettevano anche sul governo civile dello Stato: alcune città del dominio, fra cui Lodi, minacciavano la ribellione. Nel maggio del 1453 il F. ricevette l'ordine di lasciare Alessandria e di prendere le stanze a Melzo per sorvegliare il territorio lodigiano. In agosto i Veneziani attaccarono di sorpresa la terra fortificata di Castelleone e il F., a capo di una parte dell'esercito ducale insieme con Sagramoro Visconti, fu avvertito che la guarnigione e gli abitanti stavano per arrendersi. Con una rapida marcia il F. condusse l'esercito nei pressi del campo nemico e colse i Veneziani di sorpresa giungendo prima dell'alba. Si scatenò una mischia nella quale gli Sforzeschi riuscirono a mettere in fuga i nemici e a saccheggiare il loro campo. In questo fatto d'arme il F., che combatteva a capo scoperto, fu gravemente ferito da uno spiedo e fu creduto prossimo alla morte; in quella circostanza Francesco Sforza mostrò grande sollecitudine verso il fratello, e gli assegnò un appannaggio per curarsi.
Nel 1455, dopo la pace di Lodi, il F., a capo con Roberto Sanseverino di un contingente armato, venne inviato nell'Italia centrale per contrastare Giacomo Piccinino che, istigato da Alfonso d'Aragona, era entrato nel territorio senese. Ci fu una battaglia campale che vide la vittoria dei Milanesi e dei loro alleati. Dopo questi scontri, il Piccinino ripiegò verso la costa maremmana e si fortificò a Castiglione della Pescaia, possedimento di Alfonso d'Aragona. Il castello fu stretto da un assedio che si protrasse per diversi mesi, poiché le azioni di forza erano paralizzate da una trattativa diplomatica. Per i capitani sforzeschi, che rimasero a lungo inattivi, fu una logorante guerra di nervi. Solo nel giugno del 1456 si giunse a un accordo tra le potenze, e le genti d'arme del duca rientrarono in Lombardia.
Dopo questa campagna il F. sposò Gabriella Gonzaga, figlia naturale del marchese di Mantova e vedova di Giberto da Correggio. Da essa ebbe Lodovico, nato nel 1460, e Costanza, nata nel 1461. Nel 1458 il F. ottenne la cittadinanza di Milano e nel 1461 fu nominato luogotenente ducale a Lodi. La sua attività militare e politica fu ricompensata da Francesco Sforza con la concessione di beni e feudi: nel 1453 ricevette il feudo e le entrate di Viguzzolo, presso Tortona, con le prerogative del mero e misto imperio e della piena giurisdizione. Per i beni che possedeva in territorio piacentino ottenne nel 1460 l'immunità fiscale. In quell'anno morì Lucia da Torsciano: i fratellastri Francesco e Alessandro Sforza rinunciarono a favore del F. e di Bona Caterina a ogni diritto sui beni dotali della madre.
All'inizio del 1462 il F. era a Roma insieme con l'oratore ducale Otto del Carretto. In quei mesi il duca di Milano stava compiendo ogni sforzo per distogliere Pio II dalla guerra contro Sigismondo Pandolfo Malatesta, e per sollecitare invece un'azione più decisa del papa in favore di Ferdinando d'Aragona che nel Regno combatteva con grande difficoltà i baroni ribelli. In una missiva dei primi giorni di gennaio il F. dava conto al fratello delle difficoltà di condurre l'ostinata volontà del papa a propositi più ragionevoli, riguardo sia al Malatesta, sia alla famosa questione della crociata, che era il progetto più caro al Piccolomini.
Pochi giorni dopo fu richiamato in Lombardia da eventi imprevisti. Durante una grave malattia del duca era circolata la voce della sua morte, e in molte città erano nati moti e ribellioni. Il 27 gennaio i contadini del Piacentino si radunarono numerosi protestando contro le tasse. Il F. si trovava a Piacenza e, disponendo di poche genti d'arme, decise di far chiudere le porte e distribuì i pochi armati nei punti più importanti della città murata. Il moto contro il fisco ducale dilagò anche in città. Le circostanze erano difficili, ma il F. seppe fronteggiare con accortezza gli eventi: insieme con i principali cittadini patteggiò con una piccola delegazione degli insorti e promise la riduzione delle imposte e la remissione di ogni pena. In febbraio arrivarono truppe da Mlano, e il Consiglio generale cittadino era ansioso di riportare l'ordine in città e nel contado: prudentemente il F. preferì attendere e applicare qualcuna delle concessioni fatte. In marzo accompagnò a Milano dal duca i capi degli insorti, che furono banditi. In luglio ci fu una ripresa del moto contadino: le truppe del F. si scontrarono con i contadini in armi e con le masnade del conte Onofrio Anguissola, che si era messo dalla parte degli insorti. Furono gli ultimi sussulti della ribellione: Piacenza venne fortificata e occupata da un forte contingente militare, i capi della rivolta furono giustiziati.
Il comportamento cauto e prudente del F. fu molto apprezzato dai Piacentini, che nel 1463 gli accordarono la cittadinanza con ogni più ampia esenzione; nel 1466 gli concessero l'immunità dalla tassa dei cavalli per i suoi beni di Cerreto.
Nei mesi che seguirono il F. compì altre missioni diplomatiche. Si recò nel novembre del 1462 a Todi, dove altri ambasciatori francesi e aragonesi attendevano papa Pio II. Al pontefice, i rappresentanti di Milano e Napoli chiedevano un arbitrato favorevole alla continuazione della guerra nel Regno, mentre gli oratori francesi facevano pressione per una tregua che Pio II rifiutò.
Negli anni in cui il F. svolse attività diplomatica tra i risultati conseguiti vi fu un netto miglioramento nelle relazioni con il re di Francia: alla fine del 1463 il re offrì allo Sforza il dominio su Savona. Il 1° febbr. 1464 il F. vi si recò e di lì a poco giunsero gli inviati del re che gli consegnarono pacificamente la città. Nei mesi successivi restò a Savona come governatore, assistito da un piccolo contingente armato, mentre si preparava la conquista militare di Genova, che avvenne nell'aprile del 1464. Il F. fu nominato governatore della città con alte responsabilità civili e politiche.
Nel 1466 morì Francesco Sforza: quando il figlio Galeazzo Maria ritornò fortunosamente a Milano dalla Francia il F. gli inviò una lettera di congratulazioni scritta in buon latino, il che può essere un indizio dei suoi interessi umanistici. Sappiamo a questo proposito che nella biblioteca degli Sforza esisteva un codice del Canzoniere del Petrarca che era appartenuto al Fogliano. Ebbe riconoscimenti anche da altri potentati: con una patente del 1466, rinnovata ed estesa nel 1469, il re Giovanni d'Aragona gli concesse il privilegio del nome e delle insegne aragonesi.
Con il nipote Galeazzo Maria il F. riuscì a mantenere buoni rapporti. Ancora nel 1468-70 era governatore a Genova, un incarico di alta responsabilità politica e di costante impegno, che richiedeva una continua mediazione tra Milano, le autorità cittadine e il Banco di S. Giorgio. Nel luglio del 1467, a capo di 2.000 cavalli e di un contingente di fanteria - con il titolo di luogotenente ducale - combatté alla Riccardina contro Bartolomeo Colleoni. La sua firma, insieme con quella dei maggiori capitani ducali, figura in calce al trattato che nel settembre 1467 rinnovava la Lega italica.
La cospicua condotta del F. gli fruttava una "provisione" considerevole, che non sempre il duca riusciva a onorare. I crediti dei condottieri si cumulavano e spesso venivano saldati - come avvenne nel 1466 - attraverso la concessione o l'alienazione di rendite, giurisdizioni e feudi. Nel 1468 il duca gli concesse in feudo la terra di Castelnuovo Parmense con le entrate dell'imbottato di terre e ville vicine.
Il F. morì a Milano il 23dic. 1470, lasciando alla famiglia un patrimonio costituito in gran parte di rendite e beni feudali.
Fonti e Bibl.: Privilegi, atti patrimoniali e vari documenti che costituiscono l'archivio familiare dei Fogliano si trovano presso l'università Cattolica di Milano: si veda principalmente la serie Documenti, cartt. II-III e inoltre i Registri delle missive ducali, a cura dell'Arch. di Stato di Milano, II, s.n.t., ad Indicem (con l'avvertenza che, in questo e negli altri indici che seguono, il F. è spesso indicato come Corrado Sforza, e talora come Corrado "da Cotignola"); A. e A. Ripalta, Annales Placentini, in L.A. Muratori, Rerum Ital. Scriptores, XX, Mediolani 1731, coll. 907 s., 911; G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae commentarii, a cura di G. Soranzo, in Rerum Ital. Scriptores, 2 ed., XXI, 2, ad Indicem; P. C. Decembrio, Vita Francisci Sfortiae quarti Ligurum ducis, a cura di A. Butti - G. Petraglione - F. Fossati, ibid., XX, 1, pp. 520-523, 531, 598, 681; E. Meuthen, Die letzten, Jahre des Nikolaus von Kues, Köln 1958, p. 301; E. S. Piccolomini, I commentari, a cura di L. Totaro, Milano 1984, p. 2005; L. Banchi, Il Piccinino nello Stato di Siena e la Lega italica, in Arch. stor. italiano, s. 4, IV (1879), pp. 44, 47, 50, 226, 233; P. Magistretti, Francesco Sforza e i ghibellini di Alessandria, in Arch. stor. lombardo, s. 1, VII (1880), pp. 355 n., 357 s. n.; P. Ghinzoni, Usi e costumi nuziali principeschi, ibid., s. 2, V (1888), pp. 102-104, 108, 110; A. Sorbelli, Francesco Sforza a Genova, Bologna 1901, pp. 121-129, 135, 140 s., 277; L. Fumi, Francesco Sforza contro Giacomo Piccinino, Perugia 1910, pp. 7, 10, 27, 34 s., 37 n., 41 n., 61; Id., L'atteggiamento di Francesco Sforza verso Sigismondo Malatesta, in Arch. stor. lombardo, s. 4, XIX (1913), pp. 159 s.; C. Poggiali. Memorie storiche di Piacenza, Piacenza 1930, VII, pp. 201 ss., 208, 224 s.; VIII, pp. 12, 39; F. Fossati, Francesco Sforza e la sorpresa del 16 maggio 1452, in Arch. stor. lombardo, s. 7, I-XI (1934), pp. 346 n., 368 s., 374, 391, 398; F. Cognasso, La Repubblica di S. Ambrogio, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, p. 405; F. Catalano, La nuova signoria: Francesco Sforza, ibid., VII, Milano 1956, ad Indicem; A. Pezzana, Storia della città di Parma, II, Bologna 1971, pp. 219, 290, 315, 342; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s. v.Fogliani, tav. III.