ANTIOCHIA, Corrado d'
Figlio di Federico e di Margherita dei conti di Saracinesco, parenti di Gregorio IX, nacque dopo il 1240, anno in cui già risultano sposati i suoi genitori.
Poco sappiamo della sua infanzia e giovinezza; la prima notizia è del 1258 quando l'A. è capitano d'Abruzzo, prendendo parte al parlamento di Foggia nel settembre-ottobre di quello stesso anno, ove ebbe confermate le contee d'Alba, di Celano e di Loreto, a cui Manfredi aggiunse la contea d'Abruzzo ed alcuni possessi minori in Calabria.
Scoppiati i contrasti tra Manfredi ed il papa Urbano IV, l'A., che nel 1262 era vicario generale nella Marca d'Ancona, nel ducato di Spoleto e in Romandiola, fu colto di sorpresa dagli abitanti del castello di Montecchio, ove fu trattenuto prigioniero qualche mese, benché fosse subito accorso in suo aiuto Galvano Lancia, di cui egli aveva sposato poco prima la figlia Beatrice. Evaso dalla prigionia - e non mancò sospetto di corruzione del comandante della rocca, il perugino Ballone, come lamentava ancora nel 1266 il papa Clemente IV - l'A. tornò a sorvegliare i suoi feudi d'Abruzzo, e vi rimase, forse per accordi presi con lo stesso Manfredi, che aveva certamente incontrato a Lucera nel 1265, anche al momento della invasione angioina del Regno, senza prender parte neppure alla decisiva battaglia di Benevento.
Morto Manfredi, l'A. e Galvano Lancia, che avevano subito offerto, ma invano, la loro sottomissione al vincitore Carlo d'Angiò, dall'Abruzzo cercarono scampo in Calabria e poi fuori del Regno, nel territorio della Chiesa.
Clemente IV allora, che aveva preso a cuore la sorte dell'A. come di altri feudatari del Regno, chieste ed ottenute garanzie sicure e col consenso dello stesso re Carlo (ma questi aveva voluto però in ostaggio la figlia dell'A., Beatrice), assolse l'A. dalla scomunica. Mentre ancora duravano le trattative, l'Angiò riuscì a catturarlo e, mettendo da parte ogni riguardo per il pontefice, lo tenne in prigione, non sappiamo però dove.
Evaso ancora una volta nel gennaio del 1267, si rifugiò nel suo castello di Saracinesco, suscitando l'ira di Carlo d'Angiò, che si accingeva, come sembra, a prender vendetta di questa fuga sulla figlia dell'A., quando la voce dell'imminente arrivo di Corradino di Svevia obbligò il sovrano a rivolger la mente ai ben più gravi problemi, politici e militari, connessi con la difesa del Regno.
Nell'ottobre del 1267 l'A. era certo a Verona a render omaggio e ad offrire i suoi servigi al giovanissimo Corradino, dal quale ottenne un amplissimo privilegio di conferma dei suoi feudi, cui fu aggiunto il titolo di principe d'Abruzzo, indizio di particolare importanza e distinzione. Da Verona, al seguito del giovanissimo sovrano, l'A. (e intanto proprio nel suo castello di Saracinesco, sotto la custodia di sua madre e di sua moglie, erano stati riuniti in prigionia i capi dei guelfi romani) venne a Roma, ove assistette alle grandiose accoglienze del 24 luglio 1268.
Entrato poi nel Regno con le truppe antiangioine, combatté, fra i capi, nella battaglia di Tagliacozzo del 23 agosto e fu preso prigioniero, dopo la sconfitta, da Carlo d'Angiò, ma riuscì a salvare la vita, specie per l'intercessione del cardinale Giovanni Gaetano Orsini (il futuro Niccolò III), i cui due fratelli Napoleone e Matteo erano tra i guelfi custoditi a Saracinesco dai familiari, come già s'è detto, dell'Antiochia.
Questi perciò verso la metà di settembre del 1268, fu scambiato con i due fratelli del cardinale, previo l'impegno del pontefice di tenerlo in custodia: dovette quindi risiedere a Viterbo, presso la curia papale, "detemptus curialiter", fino al marzo 1272, quando il nuovo papa, Gregorio X, lo rimandò libero dopo avergli fatto giurare fedeltà.
Si ritirò allora nel castello di Anticoli, che, come sembra, proprio da lui prese il nome, poi rimastogli per sempre, di Anticoli Corrado. In questi stessi anni un episodio mostra quanto fossero stati stretti i legami d'affetto tra gli Svevi e i d'Antiochia: Enzo, re di Sardegna, prigioniero a Bologna, nel suo testamento, redatto pochi giorni prima di morire il 6 marzo 1272, dichiarava l'A. suo erede del titolo e della contea del Molise.
Poco sappiamo sull'attività dell'A. negli anni successivi: certo partecipò ai maneggi politici che dovevano condurre all'occupazione aragonese della Sicilia, perché risulta come uno dei più importanti personaggi che, con Giovanni da Procida, avevano sollecitato Pietro d'Aragona alla conquista dell'isola e, più tardi, nell'ottobre del 1282 venne, a sua volta, incitato dal re ad invadere l'Abruzzo.
L'A., invano richiamato all'obbedienza e poi scomunicato il 23 nov. 1282 dal pontefice, insieme con altri fuorusciti cercò di ottenere, con segreti. maneggi, i castelli delle frontiere. Fallito questo primo tentativo, l'A. pur senza gli appoggi che gli altri ghibellini dell'Italia centrale avevano fatto sperare, entrò in Abruzzo, compiendovi azioni di sorpresa e di guerriglia spesso con l'appoggio delle popolazioni locali, tanto che nel giugno 1283 il principe di Salemo, vicario del Regno in assenza di Carlo d'Angiò, fu costretto a dar l'ordine di smantellare e distruggere quelle fortezze che rischiavano di cadere nelle mani dei nemici o che erano troppo costose da mantenere in assetto di guerra. Ancora più viva ed accesa riprese la lotta, all'indomani della battaglia del Golfo di Napoli, in cui Carlo lo Zoppo veniva catturato da Ruggero Lauria: l'A. entrò allora in Abruzzo e puntò verso la sua contea di Alba, ma fu fermato presso la rocca di Celle da Stefano Colonna, signore di Genazzano, che il papa aveva indotto ad operare militarmente contro di lui. Non per questo si arrese, anzi, aiutato anche dal denaro che gli aveva mandato la regina Costanza dalla Sicilia, riprese un'accanita lotta. Profittando poi del turbamento sorto nel Regno alla morte di Carlo I d'Angiò nel gennaio 1285, l'A. occupò terre e castelli d'Abruzzo, tra cui, come ritiene fondatamente il Ridola (p. 253 e n. 2), anche l'avita contea di Alba; ma, ancora una volta, dovette affrontare le ostilità dei papa e dei soldati inviatigli contro e fu costretto quindi a lasciare le posizioni conquistate e a ritirarsi di nuovo nel suo feudo di Anticoli, ove era ancora vivo nel 1301.
Forse l'A. ebbe in Sicilia il feudo di Capizzi; certo negli ultimi anni del secolo, morto il suo accanito nemico Carlo I d'Angiò, probabilmente per l'intervento di Bonifacio VIII dovette riconciliarsi con gli Angioini, perché troviamo anche m possesso della sua famiglia alcuni feudi in Abruzzo ed in Calabria.
Bibl.: P. Ridola, Federico d'Antiochia e i suoi discendenti, in Arch. stor. per le prov. napol., XI(1886), pp. 220-256 (è il più importante studio sull'A.); K. Hampe, Urban IV und Manfred, Heidelberg 1905, p. 43; H. Amdt, Studien zur inneren Regierungsgeschichte Manfreds, Heidelberg 1911, pp. 18, 37, 64, 82, 97, 119, 134, 176, 201; R. Morghen, Il tramonto della potenza sveva in Italia, Roma-Milano 1940, pp. 216, 219, 244, 242, 257; K. Hampe, Geschichte Konradins von Hohenstaufen, Leipzig 1940, passim, v. Indice sub voce Konrad von Antiochien; P. F. Palumbo, Contributi alla storia dell'età di Manfredi, Roma 1959, p. 89, 163 s., 166-169, 175, 179, 181 s. , 230, 238, 241, 273, 299.