Vedi CORONA dell'anno: 1959 - 1973 - 1994
CORONA (v. vol. II, p. 861)
Egitto. - In Egitto la c. è elemento caratterizzante nelle rappresentazioni delle divinità e del sovrano. Ogni c. aveva un definito valore emblematico, anche se non sempre è possibile determinarlo con precisione.
La «c. rossa» prende nome dal suo colore; è di forma troncoconica rovesciata, con un elemento verticale più alto nella parte^ posteriore e una sorta di ricciolo in metallo sul davanti. È emblema della parte settentrionale dell'Egitto, e come tale è portata dalle divinità originarie di questa zona (Neith, Uadjet) e dal sovrano, quando lo si vuole rappresentare come re del Delta. La «c. bianca», un'alta tiara bianca, è controparte della precedente e quindi emblema della regione meridionale, La si ritrova sulla testa della dea Nekhbet, del dio Iunmutef e del faraone, quando lo si vuole intendere come sovrano della valle del Nilo. La c. bianca e quella rossa si ritrovano unite in un unico copricapo, la «doppia c.», che designa il re come padrone dell'intero Egitto. Anche alcuni esseri divini, ritenuti sovrani mitici dell'Egitto, portano la doppia c.: è il caso di Atum e Horas; quest'ultimo porta la doppia c. anche in ragione del suo stretto legame con il sovrano vivente. La «c. azzurra» è copricapo esclusivamente regale; si tratta di un casco azzurro e in genere lo si vede sulla testa del monarca nelle scene di battaglia. La «c. Atef» è composta da un'alta tiara, posta sopra a un paio di corna, ai lati della quale sono fissate due grandi piume; si ritrova tanto nelle rappresentazioni del faraone quanto in quelle di alcune divinità (Osiride, Khnum). Durante il Nuovo Regno, questo tipo di c. subì un'evoluzione attraverso l'aggiunta di ulteriori simboli, quali l'ureo e il disco solare. È considerata simbolo di regalità ed è allo stesso tempo rappresentazione iconica dell'astro diurno a cui talvolta si sostituisce nelle scene dove compare sulla testa del sovrano. La «c. Atef» si ritrova anche come ornamento del grottesco dio Bes, ritenuto una forma volgarizzata del dio solare. Nelle rappresentazioni, a partire da quelle, più antiche fino á quelle più recenti, il sovrano indossa spesso il nemes, un copricapo ottenuto con un fazzoletto a strisce. Questo genere di copricapo è assai sfruttato in scultura in quanto, incorniciando il viso, focalizza su di esso l'attenzione dell'osservatore. Tipicamente ramessidi sono le statue di sovrano con una corta parrucca impreziosita da una fascia di metallo sulla cui parte anteriore è applicato l'ureo, simbolo della regalità.
La regina porta invece lunghe ed elaborate parrucche sulla sommità delle quali è spesso poggiato un modio adornato da urei. Talvolta il suo copricapo si ispira direttamente a quello tipico della dea Iside: due alte piume con un disco solare al centro. La spoglia di un avvoltoio, appoggiata sopra la parrucca, indica invece che la regina rappresentata è la madre del successore al trono d'Egitto.
Molte divinità hanno invece una c. che le caratterizza rispetto alle altre. È il caso di Anukis, che ha sulla testa un ciuffo di piume di struzzo conficcate lungo la circonferenza di un modio; secondo alcuni studiosi questo speciale tipo di c. indicherebbe un'origine nubiana della dea. Satis è raffigurata con una c. bianca da cui si dipartono due lunghe corna bovine. Ḥatḥor porta di frequente un modio sormontato da due corna all'interno delle quali si trova un disco solare. Ammone e Min hanno una c. simile, costituita da un copricapo a tronco di cono rovesciato sormontato da due alte piume. Ptaḥ indossa invece una semplice cuffia aderente. Il disco solare e il crescente lunare si ritrovano sulla testa di molti esseri divini e ne mettono così in risalto l'aspetto celeste.
False c. sono invece da considerare lo scorpione di Selki, il seggio di Iside, il palazzo sormontato da un cesto di Nefti. In questo caso il copricapo non è altro che il segno geroglifico che esprime il nome delle dee.
Bibl.: Abd el-Mossem Joussef Abu-Bakr, Untersuchungen über die ägyptischen Kronen, Glückstadt-Amburgo-New York 1937; C. Strauss, in LÄ, III, 1980, cc. 811-816, Kronen.