corollario
Il termine c. è usato due volte da D. (Pg XXVIII 136 e Pd VIII 138) e vale " aggiunta conclusiva ricavata da ciò che è stato dimostrato ". La forma latina (corollarium), diminutivo di corolla (corona), dal significato originario di " aggiunta oltre il dovuto ", " premio del vincitore " (cfr. Varrone Ling. lat. 5 178; Isidoro Etym. XIX XXX 1 De Ornamentis) è passata con Boezio a rendere il termine matematico greco πόρισμα (cfr. Cons. phil. III pr. 10 e IV pr. 3): " conseguenza dedotta da proposizione dimostrata ". In D. il significato logico-matematico coesiste con quello originario e i commentatori antichi, in genere, registrano entrambi i valori (cfr. in particolare Benvenuto e Buti, ad l.). In Pg XXVIII 136 darotti un corollario ancor per grazia, c. designa una conoscenza conclusiva che è dono di Matelda a D., in uno schema dialogico che richiama da vicino quello boeziano: Cons. phil. III X 22 " veluti geometrae solent demonstratis propositis aliquid inferre, quae porismata ipsi vocant, ita ego quoque tibi veluti corollarium dabo " (cfr. il volgarizzamento di Alberto della Piagentina, ediz. Battaglia, Torino 1929, 114). In Pd VIII 138 un corollario voglio che t'ammanti, da un lato c. si ricollega, nel suo valore tecnico, ai due termini logici ‛ dedurre ' e ‛ conchiudere ' dei vv. 121-122, come terzo e ultimo momento della risposta di Carlo Martello al dubbio di D. sui figli degeneri; dall'altro la permanenza del suo significato originario permette di dar ragione della metafora (un corollario.. t'ammanti), sia nel senso voluto dall'Ottimo di " giunta onorata, come è uno mantello sopra li altri drappi, che rende altri più orrevoli ", sia nell'altro, fornito dall'Austin, di manto o corona di luce che fasci D. in seguito ad aumento di conoscenza.
Bibl. - D.H. Austin, Di alcune metafore controverse nell'opera di D. (Il manto d'un corollario), in " Giorn. d. " XXXIII (1930) 126-128.