CORNO (lat. cornu)
Il corno degli animali domestici (per la sua struttura, v. corna), buoi, tori, capre, ecc., fu assai presto usato, sia intero sia ridotto in pezzi, per farne oggetti diversi. La sua forma ricurva e l'essere cavo internamente lo fecero adoperare come arco, come strumento musicale (v. sotto) e soprattutto come vaso da bere; a quest'ultimo scopo esso fu però via via sostituito dalle molteplici e varie imitazioni di terracotta e di vetro (v. rhyton). Tuttavia l'oggetto originale non fu mai del tutto abbandonato, come ci provano le rappresentazioni figurate che lo pongono in mano soprattutto a Dioniso. Dal corno ripieno, anziché di vino, di frutta, derivò il simbolo del cornucopia (v.). In pezzi, il corno, lavorato e reso malleabile col calore, era adoperato per lanterne trasparenti, per imboccature di strumenti, per tavolette da pittura, ecc. L'operaio che lo lavorava era detto cornuarius o cornarius.
Nel Medioevo cristiano il corno fu usato anche per farne calici, ma tale uso fu presto proibito. Durevole invece fu la consuetudine medievale di adoperare ogni sorta di corni di ruminanti per farne vasi potorî: molti di essi finirono nei Tesori delle chiese e divennero reliquiarî o vasi per l'olio santo (corno di S. Uberto nella Wallace Collection, con montatura tedesca in stucco e metallo dei secoli XIII-XIV, ecc.); negl'inventarî del '400 e '500 sono descritti come zampe di grifo (per es., il corno di stambecco al British Museum già nell'arca di San Cutberto a Durham) e si attribuivano loro per questo poteri amuletici contro il male e il veleno, come per i corni di unicorno - che non erano che zanne di narvalo - comuni nei Tesori principeschi del Rinascimento. Le montature di solito sono costituite di varî cerchi che cingono il corno a intervalli, all'orlo della bocca e all'apice. Per dargli stabilità, il corno è sostenuto ora da gambe umane o da piedi di animali o da artigli di uccelli, o addirittura da figure umane o animali. Nel'400 il corno viene usato anche per farne scudi (uno al Musée d'artillerie a Parigi) e fiasche da polvere (più frequenti assai nei secoli successivi). I corni come vasi potorî si trovano ancora nel '500, ma esclusivamente per uso dei cacciatori. Di corno si fecero anche, sempre per uso venatorio, dei cucchiai. Nei secoli XVII e XVIII si usarono oggetti di corno ammollito a caldo e stampato, secondo una tecnica già nota nel Medioevo e famigliare da gran tempo anche ai Giapponesi: si fetero in tal modo medaglioni con ritratti e, soprattutto al principio del '700, tabacchiere, decorate con scene religiose o mitologiche, ritratti e armi. Fra gli artisti che coltivarono tale tecnica si può menzionare John Osborn, inglese, attivo ad Amsterdam nel 1626, e John O'Brisset, attivo in Inghilterra dal 1705 al 1727. Modernamente il corno riappare come vaso potorio nel sec. XIX presso corporazioni e associazioni studentesche germaniche, e come materia d'ornamento negli ultimi decennî del secolo, senza raggiungere tuttavia quella perfezione di tecnica e di decorazione che distingue gli oggetti di corno dei secoli XVI e XVII. Il corno, come forma di vaso potorio, si fece anche di bronzo, d'avorio e di legno; in genere è d'uso profano e compare soprattutto nel tardo periodo gotico.
Si facevano di corno anche i corni da caccia o per segnale, ma i più preziosi, gli olifanti, si ricavavano in zanna d'elefante: e se ne hanno in musei e nei Tesori delle chiese, di fattura orientale o bizantina con decorazioni specialmente di animali, che rimontano ai secoli dal IX al XII, e fin nel sec. XI con rappresentazioni del circo che ricordano quelle degli antichi dittici (corno del duomo di Praga; del British Museum); molti divennero poi reliquiarî.
Bibl.: G. Lehnert, Illustr. Gesch. des Kunstgew., Berlino 1907-1908; R. Berliner, Die Bildwerke in Elfenbein, Knochen, Hirsch- und Steinbockhorn, Augusta 1926; O v. Falke, in Pantheon, 1929, pp. 511-517; 1930, pp. 39-44.
Musica.
Questo strumento musicale, composto di un tubo metallico contorto a spirale, prima di avere una destinazione artistica fu adoperato a lungo come mezzo di segnalazione sin dalla più remota antichità.
Antichità. - Gli esemplari primitivi erano fatti di corno di animale; più tardi se ne fecero di bronzo, di rame, d'argento, ecc. Ve ne erano di molte varietà sia presso gli Etiopi, gli Assiri, gli Egizî, sia presso gli Ebrei e presso i Greci. Si racconta che al tempo di Alessandro Magno se ne costruissero di grandissimi, capaci di un suono tanto potente da potere essere uditi a parecchi chilometri di distanza. Servivano come segnali durante le battaglie e, dato il suono vigorosissimo e rauco, anche per portare confusione e spavento nelle file dei combattenti.
Il cornu fu usato dall'esercito romano, ma talvolta anche nelle assemblee (per es., nei comizî centuriati), in alcune cerimonie religiose e funebri, nei giochi dell'anfiteatro, ecc. Come la bucina e il lituo che erano pure adottati dall'esercito, il corno ebbe origine da strumenti primitivi e più rozzi, forse dal corno bovino di cui, in epoca primitiva, si servivano i pastori per radunare il gregge. Pertanto Ateneo (IV, pagina 184 a) ne attribuisce l'invenzione ai Tirreni, cioè agli Etruschi, nei cui monumenti lo ritroviamo talora rappresentato.
Vegezio (III, 5) ci dice che il corno serbava talora il suo aspetto selvaggio (cornu ex iuris agrestibus), sebbene qualche volta fosse pure incrostato d'argento (argenti nexum), ma di solito nell'esercito romano questo strumento era di metallo, e la sua forma ci è nota dalle rappresentazioni figurate, nelle quali possiamo anzi riconoscere la differenza che correva tra esso e il lituo. Il corno era infatti di forma assai ricurva, leggermente svasato verso la base, e fornito d'una sbarra metallica trasversale. Questa sbarra, talvolta munita di anelli, aveva lo scopo di dare maggiore solidità allo strumento e di renderlo più portatile e maneggevole.
I cornicini (v.) costituivano una delle categorie dell'esercito romano dopo la riforma serviana ed erano collocati nella 4ª o nella 5ª classe della cittadinanza. Essi erano di solito strettamente uniti ai vexilliferi, poiché al suono del loro strumento erano questi che, con il movimento delle insegne, indicavano ai soldati quello che dovevano fare (Vegezio, II, 22). Spesso perciò essi portavano lo stesso costume dei vessilliferi, caratterizzato particolarmente da una pelle d'orso gettata sulla spalla e rialzata sul capo. Però nei rilievi della colonna traiana e dell'arco di Costantino essi indossano spesso una semplice tunica e pantaloni. Quanti cornicines avesse ogni legione non è ben certo; essi vi erano di solito riuniti in collegio (cfr. Corp. Inscr. Lat., VIII, 2557).
Bibl.: E. Portier, in Daremberg e Saglio, Dict., I, ii, p. 1512 segg., s. v. Cornu; R. Cagnat-V. Chapot, Man. d'arch. rom., Parigi 1920, II, p. 351 segg.
Medioevo ed Epoca moderna. - Nel Medioevo erano adoperati corni di varia specie ma di forma pressoché uniforme: differivano se mai in certi particolari e negli ornamenti più o meno ricchi. Servivano ugualmente per dare segnali nelle cacce, nelle adunanze, nelle battaglie. Di questa specie di corni in uso nel Medioevo è famoso l'olifante (corno d'avorio finemente scolpito). Si conserva tuttora nel museo del duomo di Praga un corno che si vuole sia quello che Rolando - secondo la leggenda - suonò a Roncisvalle.
Ma, per ottenere maggiore solidità e consistenza nella fabbricazione di tale strumento, si fece sempre più frequente l'uso del metallo, e si andò sempre accentuando la forma di spirale. Dal sec. XII al XVI le curvature si fecero sempre più serrate, sì da dare allo strumento l'aspetto di un guscio di chiocciola.
Tra le varietà più notevoli del corno va ricordato il corno delle Alpi, fatto di scorza d'albero, somigliante, nell'estremità inferiore, al padiglione d'un clarinetto. Sull'imboccatura veniva innestato un bocchino di metallo. Pochi erano i suoni di cui era dotato e inoltre l'emissione delle note oltre l'ottava riusciva difficile. Tuttavia i pastori sapevano pur trarne ingegnose melodie.
La più importante varietà è però il corno da caccia, dal quale per successive modificazioni deriva l'attuale corno. Il corno da caccia servì dapprima, come dice il nome, pressoché esclusivamente nell'esercizio venatorio, per richiamare i cacciatori, avvertirli della presenza della selvaggina, adunarli, ecc. Il corno da caccia era tagliato in diverse tonalità, usava un bocchino molto stretto, e, benché disponesse di un'estensione di suoni maggiori di quella del corno delle Alpi, si prestava soltanto a melodie semplici. Il suo timbro espressivo e melanconico non poteva non attrarre l'attenzione dei compositori e dei musicisti e già Michele Praetorius ne parla nel suo Syntagma musicum (1620) designandolo col nome di trombetta da Cacciatore. Se ne costruivano di diverse specie a due, a tre e (se di piccolo formato) sino a otto spirali.
Il corno da caccia non poteva rendere che i suoni naturali: era quindi necessario mettere pezzi di ricambio per ottenere la serie intera delle note. Nonostante la difficoltà del maneggio, nel secolo XVIII il corno cominciò pertanto a essere usato anche nelle orchestre con una certa frequenza. Già nel 1639, in una scena d'una sua opera (Nozze di Teti e di Peleo), il Cavalli l'aveva usato. Verso la metà del Settecento A. J. Hampel, della cappella di Dresda, fece costruire un esemplare nel quale i pezzi di ricambio (di curva e di grandezza diversi) venivano inseriti alla metà dello strumento. Ma egli osservò altresì, forse per caso, che quando s'introduceva la mano nel padiglione dello strumento i suoni si alteravano. Pensò quindi di allargare il padiglione stesso, e, capovolgendolo, di rendere più agevole e comodo il maneggio. Il corno di questa specie fu detto corno a mano.
Era possibile in esso la produzione di tutte le note della scala alternando i suoni naturali (armonici) con quelli artificialmente prodotti e noti sotto il nome di suoni chiusi. Ma non fu difficile rilevare che fra i suoni naturali e quelli artificiali esisteva una differenza d'intensità fonica e di timbro assai notevole. Continuarono le esperienze molteplici ma sostanzialmente poco fortunate, come quelle del corno doppio munito di un unico bocchino (Clagget di Londra), del corno dotato di buchi e di chiavi (Kolbet di Mosca), ecc.
Nel 1815 si ebbe l'invenzione del corno cromatico a pistoni (v. pistone), cioè, più precisamente, l'applicazione al corno di questo elemento, del quale lo Stolzel e il Blühmel avevano già munita la tromba. Dapprima i pistoni furono soltanto due, ma più tardi il Müller e il Sattler di Lipsia ne aggiunsero un terzo, aumentando e migliorando notevolmente le risorse foniche dello strumento ed eliminando le difficoltà della meccanica e le incertezze dell'intonazione che ancora sussistevano. Il gioco dei pistoni venne poi reso più pronto e agevole con l'applicazione del meccanismo a cilindri (onde il nome di corno a macchina) ideato dal Riedl di Vienna e così pratico da rendere lo strumento rispondente alle esigenze della musica moderna, assai ricca di modulazioni.
Bibl.: F. Piersig, Die Einführung des Hörners in die Kunstmusik ecc., 1927; H. Kling, Le cor de chasse, Torino 1911.
Uso in orchestra. - Insieme con oboi e fagotti, i corni formavano il nucleo dei fiati nell'orchestra pre-classica, ove - oltre il compito di pieno d'armonia - potevano avere spesso anche quello di strumenti cantanti, come avveniva sovente nelle partiture di stile contrappuntistico (cosiddetto orizzontale) di Rameau, di Bach, di Händel, ecc. Ivi, inoltre, i corni erano già (come poi presso il Gluck) frequentemente usati nella scansione del ritmo. Quando la strumentazione prende consistenza propria, nel lavoro del compositore il corno continua a essere usato come centro sonoro della partitura, in virtù della sua sonorità ampia e dolce, atta a fondere i timbri dei legni con quelli degli altri ottoni. La coppia dei corni, insieme con quella dei fagotti, è dí solito adibita alla tenuta del tessuto armonico. Ma d'altra parte le risorse espressive proprie del timbro dei corni suggeriscono spesso passi melodici o, comunque, in rilievo. Presso Haydn e Mozart troviamo esempî frequentissimi di ambedue questi usi. L'orchestra ottocentesca a partire da Beethoven usa a preferenza 4 corni, in 2 coppie diversamente tagliate, giovandosene per ottenere sia maggiore sonorità, sia ricchezza di note aperte, sia varietà e agio nella disposizione della partitura. Cherubini, Weber, Schubert, e poi Berlioz e gli altri romantici seguono l'esempio beethoveniano: l'uso dei corni nello scherzo della sinfonia di Beethoven è imitato, nella sua espressione dionisiaca, specialmente dal Weber e dal Berlioz. L'effetto di mistero e di lontananza proprio dello strumento è stato in seguito bene compreso da Verdi, da Wagner, da Brahms e poi da Debussy, i quali trattano il corno anche in vista di effetti coloristici e suggestivi (cfr. l'inizio del 2° atto di Tristano e Isotta), mentre i compositori di oggi, dallo Strawinski ai più giovani, amano restituire allo strumento una nitidezza o un'energia sonora che era stata troppo spesso sacrificata in omaggio alla calda pienezza dell'intera orchestra.
Corno da nebbia. - Specie di tromba sonora adoperata a bordo delle navi per attirare l'attenzione delle altre navi durante le foschie. Viene suonato a fiato, a mantice e ad aria compressa. Anche i fari ne sono talvolta muniti.