CORNELIA
La più giovane delle due figlie di Scipione Africano maggiore. Dopo la morte del padre (184) fu dai famigliari data in sposa a T. Sempronio Gracco, console nel 177, parecchio più anziano di lei (Polyb., XXXI, 27, 1; Plut., Ti. Gr., 4, 3: il racconto in Liv., XXXVIII, 57 è invece falso). Il padre morendo aveva dotato lei e la sorella con 50 talenti (Polyb., ib.; erroneo Sen., Cons. ad Helv., 12, 6; Nat. quaest., I, 17, 8). Ebbe da Gracco dodici figli, alternativamente maschi e femmine, dei quali sopravvissero tre, Tiberio, il maggiore dei maschi, Gaio e Sempronia, che andò sposa all'Emiliano. Rimasta vedova nel 153 o poco dopo, rifiutò di passare a nuove nozze, sebbene fra i pretendenti ci fosse il principe egiziano che fu poi Tolomeo VIII Evergete, e si diede tutta all'educazione dei figli, che fece istruire dai migliori maestri greci; nella lingua dei figli Cicerone sentiva il puro latino di Cornelia (Brutus, 211). È notissimo l'aneddoto (Val. Max., IV, 4) della matrona campana che mostra i suoi gioielli a Cornelia, la quale trae in lungo il discorso, finché i figli ritornano dalla scuola ed esclama allora: haec ornamenta sunt mea. Dopo la morte di Tiberio essa si ritirò a Miseno, ove visse circondata da amici e da letterati, ossequiata persino da re. Non sappiamo in quale anno sia morta. Le virtù romane si sposavano in lei alla più eletta cultura greca. Da una serie di indizî pare che essa abbia secondato l'azione dei figli tribuni, dei quali morti parlava con sereno orgoglio.
Ciò fa dubitare della genuinità di due frammenti di lettere di Cornelia, conservati nei manoscritti di Cornelio Nepote, che li aveva inseriti nella sua biografia dei Gracchi, nei quali Cornelia dissuade il figlio Gaio dai suoi propositi e si mostra contraria alla politica dei figli. In tal caso le lettere nepotiane sarebbero state composte non molto dopo la morte dei Gracchi (la lingua e lo stile si confanno alla fine del sec. II a. C.), per dimostrare che la madre era a loro contraria, e sarebbero state diverse dalle lettere genuine di C. citate da Cicerone (Brutus, 211) da Quintiliano (I, 1, 6) e da Plutarco (Gaio, 13). Se pure non è erroneo pretendere che due frammenti di lettere, scritte con animo commosso in previsione di nuovi tragici avvenimenti che attendevano Gaio, abbiano ad essere coerenti con le azioni di C.
Fonti: Oltre i passi citati, v. Plut., Ti. e C. Gracco, passim. I frammenti delle lettere in H. Peter, Hist. Rom. reliquiae II, 2ª ed., Lipsia 1906, p. 38; Corp. Inscr. Lat., I, 2ª ed., pag. 201, n. xxxix.
Bibl.: Per la vita vedi F. Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, col. 1592; J. Carcopino, Autour des Gracques, Parigi 1928, p. 47 seg. La bibliografia sulle lettere è vastissima: v. M. Schanz e C. Hosius, Gesch. d. röm. Literatur, I, 4ª ed., Monaco 1927, p. 219; fra i recenti v. specialmente E. Meyer, Kleine Schriften, 2ª ed., Halle 1924, I, p. 368; F. Leo, Gesch. d. röm. Literatur, I, 1913, p. 305; F. Schöll, in Indogermanische Forschungen, XXXI (1912-13), p. 311; G. Cardinali, Studi graccani, Roma 1912, p. 7 seg.; E. Malcovati, in Athenaeum, VIII (1920), p. 92 seg.; J.H. Thiel, in Mnemosyne, XLVII (1929), p. 347 seg.