ROSSI MARTINETTI, Cornelia
– Nacque a Lugo di Romagna il 20 gennaio 1781 dal conte Domenico Rossi e dalla marchesa Marianna Gnudi, appartenente a una famiglia di banchieri bolognesi.
Cornelia fu educata presso il collegio delle nobili di Modena fino al 1798. Di gusti e cultura classica – aveva appreso il latino da un maestro, mentre si vantava di aver studiato il greco da sola –, fu allieva del cardinale Giuseppe Mezzofanti, docente presso l’ateneo bolognese. Conosceva inoltre numerose lingue moderne, suonava, cantava, disegnava con gusto e abilità, e amava leggere testi italiani ed europei.
Non a caso, i contemporanei descrivevano una ricca biblioteca esistente nella sua dimora bolognese, al n. 56 di via S. Vitale, di cui tuttavia non resta traccia se non quella dei ricordi lasciati dagli ospiti che ne avevano attraversato le stanze.
Il 24 febbraio 1802 sposò l’architetto Giovanni Battista Martinetti, di origini ticinesi ma stabilitosi già dal 1795 a Bologna, dove si era costruito una notevole fama, avendo tra l’altro progettato la riorganizzazione del parco della Montagnola, il moderno passeggio pubblico bolognese, e una parte delle aule dell’università nella sua sistemazione in via Zamboni. Con lui ebbe le figlie Marianna e Caterina.
Nonostante la reputazione del marito, fu Rossi Martinetti a diventare una delle donne più conosciute e influenti della città. Quasi più celebre dei proprietari fu poi la loro dimora bolognese, destinata a lasciare memoria indelebile nelle cronache cittadine. Situata in una delle principali strade del centro storico, ricavata dallo smembramento di alcuni terreni ed edifici religiosi, l’abitazione fu completamente trasformata da Martinetti per rispondere al desiderio della moglie di possedere un luogo di incontro che si avvicinasse alle atmosfere neoclassiche dei più noti giardini ‘all’inglese’, su modello di quello veneziano di Isabella Teotochi Albrizzi. Per il suo giardino Rossi Martinetti volle richiamarsi proprio all’ideale illuministico di riappropriazione di una natura incolta e selvaggia. Si documentò per dare suggerimenti al marito, il quale progettò e realizzò – nella vasta area che si estendeva fino alle case di via delle Campane e al convento di S. Giacomo, accludendo il chiostro delle Benedettine Nere e la cripta dei Ss. Vitale e Agricola – un’opera grandiosa. «Tra platani maestosi tracciò viali e viottoli; disegnò aiuole tonde, quadrate e quadrilobe; con riporti di terra creò brevi alture dove inserì gradinate rustiche e sistemò sedili, sepolcri e colonne antiche; costruì un tempietto rotondo ed un’esedra coperta; e infine animò le macchie dei cespugli con l’apparizione delle sculture in marmo di Giacomo de Maria: Flora, Rugiada, Zefiro» (Murulo, 1988, pp. 315 s.). E poiché in un tal giardino non poteva mancare una grotta, Martinetti decise di sacrificare la cripta della chiesa dei Ss. Vitale e Agricola, non officiata dal 1805.
Di quest’opera non resta nulla. L’abbandono ebbe inizio già nella seconda metà dell’Ottocento. Una parte del palazzo e il giardino ospitarono in epoche diverse il collegio Ungarelli, l’Opera per l’infanzia abbandonata, la Società dei pubblici divertimenti, la Casa del soldato e alcuni capannoni industriali. Nel 1892 fu restaurata la cripta dei Ss. Vitale e Agricola, mentre il resto venne smembrato dalle lottizzazioni novecentesche.
Rossi Martinetti fu una delle protagoniste della sociabilità bolognese della prima metà del XIX secolo. Nelle cronache bolognesi del conte Francesco Rangone era descritta come «Aspasia», «una di quegli esseri privilegiati dalla natura, che all’avvenenza, e a molto talento, ha saputo aggiungere speciale amabilità e spontanea cultura» (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Mss. B, F. Rangone, Lettere a un amico su accademie e ritrovi della città di Bologna, lettera n. X). Frequentava inoltre la Società delle signore, sezione femminile di quella Società del casino che caratterizzò la sociabilità aristocratica di inizio Ottocento, ma soprattutto riceveva nella sua casa-giardino.
La sua fama di salonnière varcò ben presto i confini della città. Ogni ospite di riguardo di passaggio a Bologna non mancò di fare visita a casa Martinetti: Vincenzo Monti, Pietro Giordani, Paolo Costa, Ugo Foscolo e Antonio Canova, fra gli altri. Tutti restarono affascinati da una dama tanto colta quanto bella, e a lei dedicarono opere artistiche che ne celebravano l’incanto e la cultura.
Foscolo ne fece una delle Grazie del suo carme, cantandola nel suo giardino come la sacerdotessa custode delle api, mentre Canova desiderò ardentemente poterla scolpire, ma dell’opera non vi è traccia.
Nel 1818 Martinetti venne chiamato a Roma dal cardinal Ercole Consalvi; la moglie lo seguì e anche lì «non tardò a trasformare il suo appartamento in un salotto letterario, ove convenivano artisti, eruditi, uomini politici, come Stendhal, Salvatore Betti, il marchese Biondi, il conte Mamiani, l’abate Coppi, la signora Altemps e persino un principe ereditario, il romantico Luigi che salirà sul trono di Baviera nel 1825» (Orioli, 1955, pp. 31 s.).
In seguito alla morte del marito, «il migliore amico», «il nodo dolcissimo della mia vita» (Alla memoria di Giovanni Battista Martinetti..., 1831, p. 14), avvenuta il 10 ottobre 1830, che la lasciò «sconsolata sulla terra» (ibid.), Cornelia rientrò a Bologna, pur non trascurando di ritornare ogni anno a Roma per far visita ai numerosi amici che aveva mantenuto in quella città. Così come, ogni volta che si era recata a Parigi nei decenni precedenti, non aveva mancato di incontrare l’amica Joséphine de Beauharnais, prima moglie di Napoleone Bonaparte.
Per tutta la sua vita, Rossi Martinetti fu per Bologna un modello di donna capace di rappresentare un’intera stagione letteraria e culturale, oltre che in grado inoltre di valicare i confini nazionali, tanto che lo stesso Stendhal affermò che «Madame Martinetti ferait sensation, même à Paris» (Stendhal, Rome, Naples et Florence, texte établi et annoté par D. Muller, II, Paris 1919, p. 165). Dello stesso parere il poeta Antoine Claude Pasquin, detto Valéry, che descrisse la casa Martinetti come un ambiente che «riunisce il lusso delle arti dell’Italia, il confortable inglese e l’eleganza francese. E là dimora una donna veramente superiore; celebre nell’alta società europea che ha visitato l’Italia, per la sua bellezza, il suo spirito e le sue rare cognizioni» (A. Sorbelli, Bologna negli scrittori stranieri, ed. anast. integrale a cura di G. Roversi, Bologna 1973, p. 372).
All’inizio degli anni Quaranta dell’Ottocento, Cornelia cominciò progressivamente a ritirarsi dalla vita mondana. L’avanzare dell’età, per una donna che aveva fatto della bellezza una componente essenziale, rappresentò presumibilmente un momento difficile. Pur continuando a frequentare di tanto in tanto riunioni e balli, la ‘divina’ trascorse gli ultimi anni di vita chiusa nel suo palazzo bolognese. Del resto, il clima della sociabilità bolognese stava mutando. Ai salotti di conversazione e culturali si andavano progressivamente sostituendo luoghi di ritrovo in cui alla musica e alla lettura cominciava a sostituirsi la politica, a cui ella fu sempre estranea. Alle soglie della stagione risorgimentale Rossi Martinetti appariva dunque come la ‘gloria’ di un passato lontano, quasi «una statua antica slanciata dal suo piedistallo», come la descrisse Louise Colet nel 1860, una delle ultime persone ad aver potuto visitare la casa-giardino di via S. Vitale (L. Colet, L’Italie des Italiens, Paris 1863, pp. 354 s.).
Morì a Bologna il 1° settembre 1867.
Fu sepolta nel cimitero Monumentale della certosa, nella tomba che lei stessa aveva fatto costruire per il marito e dove l’epigrafe la celebra come «ospite geniale e desiderata, raccolse in sua casa gli uomini più illustri del secolo non solo d’Italia ma d’Europa».
Quasi una figura letteraria, più vicina alla Grazia foscoliana che non a una donna realmente vissuta, alla creazione del suo mito ha contribuito anche la scarsità di fonti che ci restano. Smantellato il giardino e l’abitazione bolognese, scomparsa la sua biblioteca, di Rossi Martinetti rimangono unicamente pochi scritti e numerosi ricordi di tutti quelli che visitarono la sua casa. Per una donna abile nell’arte del conversare, lo scrivere risultò ‘difficoltoso’. Di suo pugno si sono conservate solo alcune lettere, un elogio del marito e un romanzo, Amélie ou Le manuscrit de Thérèse de L...., scritto in forma di memoria autobiografica: «Ce n’est point une histoire que je vais écrire, c’est un portrait que je tacherai de prendre fidèlement; le portrait d’une amie qui a été l’âme de toutes mes actions, qui sera toujours l’objet de toutes mes pensées» (Amélie ou Le manuscrit..., 1823, p. 1). Di scarso valore letterario fu definito da Ernesto Masi (1881) perché «poverissimo di invenzione e di stile, modellato timidamente sui romanzi di lettere, messi in voga dall’Ortis, e pieno zeppo di quel pateticume freddo, piagnucoloso e sentenzioso» (p. 398).
Opere. Amélie ou Le manuscrit de Thérèse de L. par Madame Martinetti née comtesse Rossi, Rome 1823; Alla memoria di Giovanni Battista Martinetti. La vedova di lui consorte Cornelia Rossi, Bologna 1831.
Fonti e Bibl.: E. Masi, C. M., in La Rassegna settimanale, 26 ottobre 1879, pp. 282-286; Id., Studi e ritratti, Bologna 1881, pp. 365-400; A. Foratti, La «Grazia» bolognese, in L’Archiginnasio. Bullettino della Biblioteca comunale di Bologna, XXIII (1928), 3-4, pp. 181-190; A. Boselli, Pietro Giordani e Cornelia Martinetti (con tre lettere inedite), Piacenza 1932; G. Orioli, Biografia d’una sacerdotessa delle Grazie. C. R. M., Firenze 1955; M.G. Murulo, Il giardino Martinetti-Rossi. Una pagina inedita dell’architettura dei giardini, in Strenna storica bolognese, XXXVIII (1988), pp. 299-322; M.T. Chierici Stagni, Giovan Battista Martinetti architetto e ingegnere. «Un bolognese nato a Lugano», Bologna 1994; A.M. Scardovi Bonora, C. R. M., in Giacomo Leopardi e Bologna. Libri, immagini e documenti, a cura di C. Bersani - V. Roncuzzi Roversi-Monaco, Bologna 2001, pp. 322-329; L. Casadio Montanari, C. R. M. Una gentildonna lughese tra l’età napoleonica e il Risorgimento, Ravenna 2002; E. Musiani, Circoli e salotti femminili nell’Ottocento. Le donne bolognesi tra politica e sociabilità, Bologna 2003, ad ind.; Ascesa e caduta di un banchiere di Antico Regime. Le carte di Antonio Gnudi (1734-1814) nella Biblioteca dell’Archiginnasio, a cura di P. Busi, Bologna 2008, ad indicem.