Vedi CORFU dell'anno: 1959 - 1973 - 1994
CORFÙ (Κόρκυρα, Κέρκυρα, Corcyra)
È la più occidentale di tutte le isole elleniche, identificata, forse appunto per questa sua posizione eccentrica, con l'omerica Isola dei Feaci (donde il mitico nome di Σχερία, Φαιακία, Φαιακίς).
Abitata originariamente da una popolazione illirica - aveva allora il nome precorinzio di Drepàne - e sede, probabilmente, di tribù doriche, C. fu colonizzata nella metà dell'VIII sec. a. C. da Corinto e rimase, anche se con alterne vicende di soggezione e di indipendenza, sempre legata culturalmente alla madrepatria. Gli scavi tedeschi del Dörpfeld (1913-14) e del Bulle (1934) hanno messo in luce insediamenti preistorici nella parte N-O dell'isola, presso il Capo Kephali e ad Aphiona. La stazione di Aphiona è la più antica (fine III - inizio II millennio): presenta una cultura sub-neolitica e della prima Età del Bronzo, con una ceramica nera strettamente imparentata con quella àpula di Molfetta e senza nessuna relazione con quella tessalica e con degli esemplari di quella caratteristica ceramica detta "Urfirniss". Nel villaggio di Capo Kephali, della media e della recente Età del Bronzo (circa II millennio a. C.), si è pensato di poter riconoscere la città omerica dei Feaci: da esso provengono frammenti di ceramica monocroma e scarsi esempî con vernice e forme micenee.
La città antica di età storica sorgeva un po' più a S di quella attuale, su una parte della penisola poligonale di Analipsis: essa aveva tre porti, l'uno ad O, forse il più antico porto di guerra, detto hyllaico dal nome di una tribù dorica, l'altro a N, detto di Alcinoo, presso cui doveva sorgere l'agorà, ed un terzo ricavato forse in una specie di insenatura davanti alla veneziana Fortezza Vecchia. Delle mura antiche rimangono due porte congiunte da un bastione e probabili tracce presso la porta S della città. Blocchi antichi di marmo e di poros si riconoscono poi nelle fortificazioni fatte dai Veneziani a N della città antica. A N e a N-O di questa si estendeva la necropoli: qui, presso il porto di Alcinoo, sorge il cenotafio di Menekrates, un locrese pròxenos dei Corciresi, come illustra l'iscrizione metrica dedicatoria, fra le più antiche del genere, datata, per ragioni epigrafiche, verso il 6oo a. C., che corre intorno ad una piccola rotonda che costituisce la base del monumento. Accanto a questo è stato trovato un leone di pietra - il celebre Leone di C. - stilisticamente affine alle tarde figurazioni protocorinzie che, qualora si accettasse una sua pertinenza al monumento (tuttora posta in dubbio per una discrepanza cronologica che farebbe datare il leone, secondo alcuni, alla metà del VI sec.), sarebbe la più antica figura di animale posta su un sepolcro.
Entro la città antica, nel parco reale di Montrepos, al disotto di un tempio dorico in poros con sima marmorea del V sec., sono stati trovati resti di una decorazione architettonica in terracotta - una sima con maschere di gorgoni e teste di leoni - che postulano l'esistenza di un tempio in legno della fine del VII sec.; la terracotta è locale, ma lo stile è corinzio e molto vicino a quello delle più antiche antefisse figurative di Thermòs (tempio A), sebbene di queste un poco più recente e intermedio fra esse ed analoghi esemplari provenienti da Trezene e Calidone. Sempre nel parco di Montrepos, presso la famosa sorgente di Kardaki, fin dal 1822 gli Inglesi scoprirono un tempio di forme inusitate, la cui parte anteriore è crollata in mare; esso ha colonne con capitello dorico di un tipo caratteristico nell'isola, un architrave costituito da una fascia coronata da una modanatura convessa, forse dipinto con ovuli e strali e, al disopra, un astragalo; manca di fregio poiché la cornice posa direttamente sull'architrave. Queste ed altre libertà stilistiche collegano la singolare costruzione con le forme architettoniche cosiddette achee dell'Italia meridionale (basilica di Paestum, templi di Metaponto) e rendono altresì difficile una sicura datazione, circoscrivibile tuttavia intorno al 510 a. C. Alcuni frammenti di una Nike in terracotta facevano forse parte dell'acroterio. Il tempio è dubitativamente riferito ad Apollo, ove lo si colleghi con una notizia di Timeo (Sch. Ap., 4, 1217 e 1153) e con le tracce di un antico santuario delle Ninfe situato presso la fonte. Ad O del tempio, su una terrazza quadrangolare, sono i resti dell'acropoli, con avanzi di edifici ed impianti idraulici e di costruzioni arcaiche e classiche.
Ma i più illustri ruderi di C., preziosi incunaboli della scultura greca, sono i resti rinvenuti, a partire dal 1910, presso il monastero della Garitza. Qui sorgeva un tempio in pietra, il più antico pseudodiptero dorico che si conosca, con 8 × 17 colonne, risalente alla prima metà del VI sec., decorato da sculture in poros e da una sima in terracotta, a cui, nella seconda metà del VI sec., fu sostituito un coronamento marmoreo. Il rinvenimento di due iscrizioni votive di età posteriore ha rivelato la dedica del tempio ad Artemide: l'eccezionale importanza del monumento risiede nella decorazione scultorea dei frontoni che, per la prima volta, presentano l'impiego di complessi motivi apotropaici e l'inizio di una narrazione mitica, sviluppatasi dalla più primitiva ornamentazione dei timpani.
Delle 21 lastre che riempivano il frontone occidentale ne sono state rintracciate dieci: il gruppo centrale era formato da una Gorgone con Chrysaor e Pegaso, circondata da due pantere. Ai lati, e rispettivamente a sinistra ed a destra, erano due gruppi alludenti a scene mitiche, ove, pur attraverso una certa incertezza esegetica, si riconosce l'uccisione di Priamo da parte di Neottolemo e la lotta di Zeus con un gigante, mentre un morto giacente riempie l'angolo del frontone. Le figure colossali sono costruite secondo piani rigidamente squadrati e distribuite in gruppi indipendenti l'uno dall'altro, senza alcuna volontà di stabilire una reciproca relazione, soverchiata dal fascino mostruoso della maschera gorgonica che segna il centro del frontone. Frammenti molto più esigui suggeriscono una scena analoga anche nell'altro timpano, altri scarsi frammenti e i resti di 2 metope si ricollegano ad un probabile fregio. Le lastre del frontone di C. si inquadrano nelle opere di tradizione corinzia dei primi decenni del VI sec. (585 a. C. circa), pur innestandosi anche in quella fioritura dorica che aveva prodotto gli avorî di Arthemis Orthia. Esse aprono la tradizione figurativa del frontone dedicato all'illustrazione di un mito, o comunque ad una "scena", pur restando ancora legate al primitivo segno apotropaico del gorgonèion. Solo che qui alla maschera di significato profilattico si è venuta già a sostituire la figura intera del mostro, in un gruppo di carattere quasi familiare, circondata com e dai due figli Chrysaor e Pegaso e dalle due pantere, nelle quali ultime la funzione apotropaica ad esse estesa come satelliti della Gorgone, viene a giustapporsi a un vecchio motivo araldico di tradizione dorica.
La forza di una tradizione dorica persiste anche in altri elementi dell'arte corcirese come, ad esempio, nei capitelli stessi del tempio e nella colonna funeraria di Xenvaries, epigraficamente datata alla prima metà del VI sec. Qui, come in numerosi altri capitelli, sono riprodotte varianti della forma originaria del capitello dorico, ornato di fasce, corona e foglie; esso è analogo al cosiddetto capitello acheo di Paestum e trova forse la sua patria di origine a Micene. Tali persistenze ed altre peculiarità rintracciabili nel tempio di Artemide (forma pseudodiptera, stile delle terrecotte di copertura, cella divisa da due file di colonne, assenza di opistodomo e presenza forse di un àdyton, figura della Gorgone come elemento centrale della decorazione del frontone), in quello di Kardaki e nelle altre vestigia dell'architettura e della scultura corcirese, avvicinano l'arte di C. alla Magna Grecia; occidentalità di cui, del resto, si era già avuto prova fin dai rinvenimenti preistorici. Ad E del tempio di Artemide restano tracce di una grande strada lastricata e di un altare di notevoli dimensioni, ornato di un fregio a triglifi e metope, contemporaneo al tempio (prima metà del VI sec.). Questa libertà dell'uso del fregio dorico è propria dell'ambiente corinzio (fonte di Corinto, frammenti di Perachora, Siracusa, ecc.) e rientra nella medesima concezione che ne ha autorizzata l'omissione nel tempio di Kardaki.
A Canoni, sulla punta meridionale della penisola, ove sorgeva la città antica, si sono rinvenuti un santuario di Artemide e un piccolo deposito di terrecotte che vanno dall'età dedalica fino alla metà del V sec. a. C. e che rivelano ancora punti di contatto con la coroplastica italiota.
Bibl.: Bürchner, in Pauly-Wissowa, XI, 1922, cc. 1400-1416; D. van Buren, Greek Fictile Revetments in the Arc. Period, Londra 1926, pp. 21-23; H. Schleif-K. A. Rhomaios-G. Klaffenbach, Der Artemistempel - Korkyra, Berlino 1940. Sui resti preistorici: W. Dörpfeld, in Arch. Anz., 1913, p. 106 ss.; id., in Ath. Mitt., XXXIX, 1914, p. 175 ss.; D. Fimmen, Kret. Myk. Kultur, Lipsia-Berlino 1924, c.; H. Bulle, in Ath. Mitt., LIX, 1934, 147-240. Sul monumento di Menekrates: E. A., 601-602; G. M. A. Richtert, Animals in Greek Sculpture, New York 1930, p. 5, fig. 6; I. F. Crome, in Mnemosyne Th. Wiegand, 1936, pp. 47-53; G. Rodenwaldt, Die Bildwerke des Artemistempels von Korkyra, Berlino 1939; F. Matz, Gsch. griech. Kunst, Francoforte s. M. 1950, pp. 205-206, tavv. 132-133.
Sui templi di Montrepos: Stuart-Revett, Ant. of Athens. Suppl., 1830, tavv. 1-5; W. Dörpfeld, in Ath. Mitt., XXXVIII, 1913, pp. 248-250; XXXIX, 1914, pp. 161-176; id., in Arch. Anz., 1914, p. 132; C. Weickert, Typen der arch. Architektur, Augusta 1929, p. 22; H. Payne, Necrocorinthia, Oxford 1931, p. 254 e ss.; F. P. Johnson-W. B. Dinsmoor, in Am. Journ. Arch., XL, 1936, pp. 46-56; H. Schleif-K. A. Rhomaios - G. Klaffenbach, op. cit. Sul tempio della Gorgone: P. Montuoro, L'origine della decorazione frontonale, Roma 1925, p. 315 ss.; C. Weickert, op. cit., pp. 22-23; H. Payne, op. cit., p. 240 ss.; C. Picard, Manuel, Parigi 1935, pp. 475-480; R. Hampe, in Ath. Mitt., XL-XLI, 1935-36, pp. 269-299; G. Rodenwaldt, op. cit.; H. Schleif-K. A. Rhomaios-G. Klaffenbach, op. cit.; E. Lapalus, Le fronton sculpté en Grèce, Parigi 1947; F. Matz, op. cit., pp. 207-209, tavv. 134-142 e pp. 367-370, fig. 19, tav. 241 b; H. Kähler, Das griechische Metopenbild, Monaco 1949, p. 42 ss.
(L. Vlad Borrelli)
Iconografia. - La personificazione della città appare su monete in cui vediamo una testa femminile incoronata di edera o lauro.
Bibl.: Cat. Brit. Museum, Thessaly to Aetolia, pp. 132, 146, 152.
(L. Rocchetti)