POLETTI, Cordula
POLETTI, Cordula. – Penultima di quattro sorelle, nacque a Ravenna il 27 agosto 1885 da Francesco e da Rosina Donati, in una famiglia di artigiani di ceramiche, che abitavano in via Rattazzi, nei pressi di piazza del Popolo.
Di vasta e raffinata cultura, merita non solo il riconoscimento delle sue attitudini pionieristiche nelle esperienze di vita, in sintonia con le problematiche identitarie delle ragazze moderne, ma dovrebbe essere inserita a pieno titolo tra le scrittrici più originali della letteratura italiana del Novecento, per il coraggio dimostrato nel suo impegno culturale.
Ha attraversato un secolo di storia italiana senza mai dismettere l’onestà intellettuale, l’originalità creativa, la coerenza morale. Pioniera della liberazione sessuale e omosessuale in Italia, si batté per la liberazione delle donne e per l’emancipazione dai vincoli giuridici che le relegavano in una posizione subalterna.
Presso l’Archivio Aleramo della Fondazione Gramsci di Roma si conservano le lettere e i diari – riuniti poi nelle Lettere d’amore a Lina di Sibilla Aleramo – in cui viene raccontata l’appassionata relazione tra le due scrittrici, consumatasi tra il 1909 e il 1910.
Da queste carte si è venuti a conoscenza del fatto che la famosa storia d’amore con Sibilla Aleramo iniziò durante il Congresso delle donne italiane che si svolse a Roma nell’aprile 1908. Si trattò di un evento fondamentale per la storia del movimento delle donne, che segnò il suo riconoscimento ufficiale. Erano presenti tutte le principali femministe italiane. Anna Kuliscioff, una fra le più famose delegate, temeva che l’impegno radicale del femminismo fosse disperso in una serie di iniziative filantropiche e di attivismo moderato. Le rivendicazioni sulla piattaforma furono invece piuttosto radicali e massimaliste, anche se a partecipare al Congresso furono intellettuali, nobildonne e donne borghesi. La questione più scottante fu la richiesta del suffragio e il riconoscimento della personalità della donna nel diritto di famiglia e nei reati di violenza carnale. Tra le intellettuali celebri era presente, appunto, Sibilla Aleramo, che aveva pubblicato solo due anni prima un romanzo che fece scalpore e scandalizzò: Una donna (Roma-Torino 1906), in cui raccontava l’abbandono del figlio e del matrimonio con il suo stupratore cui era stata costretta dalla famiglia.
Nella descrizione della Aleramo, sempre più coinvolta in questo innamoramento imprevisto, Cordula venne descritta come una giovane donna androginica, portatrice di comportamenti e caratteri svincolati dagli stereotipi sessuali, definibili come atteggiamenti culturali. La storia d’amore, la ‘lucida follia’ di Sibilla con quella che chiamava «la fanciulla maschia», vissuta con accenti e azioni appassionate da entrambe le parti, si scontrò con l’impossibilità da parte delle due donne di vivere in modo duraturo la relazione, dimostrando la necessità di esplorare anche intellettualmente la sfida costituita da un amore diverso.
La situazione si andò complicando per la presenza nelle loro vite di due uomini straordinari per ingegno e moralità, umanisti e femministi: Giovanni Cena – poeta torinese, compagno convivente di Sibilla – e Santi Muratori, che si unì in matrimonio nel 1911 con Cordula Poletti, non vivendo tuttavia quasi mai sotto lo stesso tetto. Fu emerito direttore della Fondazione Biblioteca Classense fino al 1944 e morì nella sua biblioteca, sotto i bombardamenti. I rapporti tra queste quattro persone nel particolare contesto culturale dell’Italia giolittiana, rappresentarono il tentativo più nobile ed etico di rinnovare i rapporti uomo-donna nella libertà del comportamento erotico che sia mai stato fatto in Italia, paragonabile solo agli esperimenti libertari del circolo di Bloomsbury, vent’anni dopo, in Gran Bretagna.
Accanto all’amica Sibilla, Cordula Poletti partecipò ad attività filantropiche e suffragiste a Roma, tra cui quelle nelle scuole dell’Agro romano e pontino: un’esperienza straordinaria che portava l’istruzione nelle campagne dove abitavano i contadini guitti e analfabeti, affetti dalla malaria e costretti in condizioni di lavoro schiavistiche. Con Sibilla, anche Cordula partecipò alle iniziative di soccorso alle popolazioni terremotate dal sisma devastante che colpì Calabria e Sicilia nel dicembre 1908.
Nell’autunno 1910 la relazione si concluse definitivamente in seguito all’incontro con Eleonora Duse. Cordula Poletti si mise a lavorare a un’Arianna, in cui il filo delle vicende personali avrebbe dovuto fare uscire dal labirinto e ricondurre finalmente la Duse al teatro. Visse con lei ad Arcetri, in villa Bartolini, e poi a Ca’ Frollo a Venezia, dove cominciarono a frequentare grandi personalità: Max Rein;hardt, Alexander Moissi, Hugo von Hofmannsthal e Rainer Maria Rilke, il quale cercò invano di sedare i disaccordi nella coppia. Ma la rappresentazione dell’Arianna non si fece. Anzi ci fu uno strascico penoso di beghe legali per la restituzione dei disprezzati manoscritti, che pose fine amaramente alla storia.
L’opera cui Cordula Poletti pensava di affidare la sua fama è il poderoso Poemetto della guerra (Bologna 1918): un’opera epica, animosa, forgiata ai modelli plastici dannunziani, capace di rappresentare, in modo aulico e appassionato, la catastrofe della Grande Guerra. Al poema si aggiunse un lungo periplo lirico nell’arcipelago greco.
Nel saggio La celebrazione ravennate di Giovanni Pascoli (Milano 1949) va invece dato merito alla Poletti, laureatasi su Carducci, di aver riconosciuto la portata innovativa del linguaggio poetico pascoliano, nella deriva in cui confluirono, prima e dopo d’allora, i più sottili esegeti del poeta di San Mauro. Ma è alla tomba di Dante che Poletti dedicò il suo maggiore impegno critico: due memorabili Lecturae Dantis – Il XXXIII Canto del Paradiso letto nella sala di Dante in Ravenna […] il 9 maggio 1920 (Ravenna 1934) e Stazio nella Divina Commedia (Ravenna 1934) – in cui la passione esegetica si accompagna a un misurato controllo stilistico.
Dette inizio, contemporaneamente, all’unione più stabile e duratura della sua vita con Eugenia Rasponi, sua concittadina, trasferendosi presso la rocca di Sant’Arcangelo di Romagna dove Rasponi lavorava come imprenditrice e dove scrisse una romantica raccolta poetica: Il Cipressetto della Rocca a Sant’Arcangelo di Romagna (Ravenna 1919). La fabbrica che costruiva mobili di pregio disegnati dalla Rasponi però dovette chiudere e la sua compagna scrisse un opuscolo indignato: Ancora un cero che si spegne (Roma 1921).
Dopo la chiusura della fabbrica, la coppia decise di trasferirsi a Roma, in via Morgagni, dove cominciarono a frequentare circoli teosofici e filosofici, attirando i sospetti del regime, se, come risulta da atti della Polizia (Esoterismo e fascismo, a cura di G. de Turris, Roma 2006, p. 73), la loro casa fu più volte visitata dalle autorità preposte al controllo e alla censura. A quanto risulta, Poletti e Rasponi avevano organizzato seminari guidati dal filosofo Jiddu Krishnamurti, noto per le sue posizioni culturali antifasciste, che ebbe il merito di divulgare per primo il buddismo in Italia.
Seguirono poi le nuove frequentazioni, i viaggi in lungo e in largo tra Europa e Oriente e le ultime riflessioni davanti al mare di Sanremo dopo la separazione dall’amata compagna Rasponi, deceduta due anni prima di lei. Pare che Cordula Poletti, nell’avanzata maturità, stesse lavorando a un vasto progetto di antropologia culturale che avrebbe dovuto indagare su origini e fini comuni dei popoli dell’area mediterranea.
Morì a Sanremo il 12 dicembre 1971.
Della continuità di un’esoterica ricerca di saggezza è testimonianza anche la lettera che scrisse a Santi molti anni prima: «Io non potrei che tentare ostinatamente di persuaderti che lo scopo della vita, la ragione per cui siamo quaggiù, non è quello d’imprigionarci dentro un bozzolo sempre più fitto di serici fili d’illusione, sieno pure esse generose e nobili verso le cose e gli uomini, passati, presenti e futuri. L’unica cosa che conta, o Marta incorreggibile dalle centomila faccende, è “perdere la propria vita”: non adoperasti proprio tu questo verbo “perduta” con ignaro rimpianto, a mio riguardo, come se fosse stato da deplorare che non avessi anch’io fatto l’uso che tutti fanno delle facoltà che ho sortite di natura? Io, vedi, mi struggo di non avere ancora totalmente saputo perdere la vita, e il mio lavoro di ogni ora non mira ad altro. Anche in Grecia sono andata a raccogliere l’enunciazione filosofica della medesima sapienza nazarena» (Cenni, 2011, p. 222).
Fonti e Bibl.: S. Aleramo, Lettere d’amore a Lina, a cura di A. Cenni, Roma 1982; A. Cenni, Ritratto di un’amazzone italiana: C. P., in Fuori della norma. Storie lesbiche nell’Italia della prima metà del Novecento, a cura di N. Milletti - L. Passerini, Torino 2007, pp. 43-71; A. Cenni, Gli Occhi eroici. Sibilla Aleramo, Eleonora Duse, C. P.: una storia d’amore nell’Italia della Belle Époque, Milano 2011.