CORDINI (Cordiani? non Condiani, Corolani, Coriolani e neppure Picconi come vuole il Vasari), Antonio, detto Antonio da Sangallo il Giovane
Figlio di Bartolomeo di Antonio di Meo, bottaio, e di Smeralda Giamberti, la quale era sorella dei celebri architetti Giuliano e Antonio (il Vecchio), detti da Sangallo dalla contrada fiorentina in cui abitavano, nacque a Firenze il 12 apr. 1484. Probabilmente crebbe, come i suoi fratelli Francesco e Giovanni Battista (Battista, detto il Gobbo), anche essi architetti, e le sorelle e i cugini Giamberti, nella casa di questi ultimi in via dei Pinti a Firenze.
Secondo il Vasari (p. 448) - che è fonte., pur se incompleta, in generale abbastanza attendibile -, "avendo nella sua fanciullezza imparato l'arte del legnaiuolo", eletto papa Giulio II (novembre 1503), venne a Roma in cerca di lavoro presso lo zio architetto (Milanesi, in Vasari, p. 448 n. 1). Il C. stesso, nella prefazione ad una sua progettata edizione di Vitruvio, dichiarerà più tardi di aver "consumato li studi... in Roma dalla età... di anni XVIII al principio del pontificato di papa Julio".
Qui deve essere entrato abbastanza presto in rapporto anche con Bramante, lavorando sotto di lui - come dichiara egli stesso e come precisa il Vasari - in qualità di aiuto di studio capace di sviluppare le idee del maestro. Al tempo di Giulio II, tuttavia, più che un architetto era ancora un artigiano, un legnaiuolo: era iscritto infatti alla Confraternita di S. Giuseppe dei Falegnami come "carpentario". Il 4 dic. 1508 lo zio Giuliano Giamberti sottoscrisse a suo favore una fideiussione per consentirgli di prender parte ad appalti. Dal dicembre 1508 al marzo 1509 come "faber lignarius" ricevette pagamenti per opere da fare "in arce Hostie" (Hoogewerff, 1945-46) e, tra il 1510 ed il 1512, come "fabrilignarius" o "carpentarius", realizzò nella nuova fabbrica di S. Pietro in costruzione le grandi armature provvisorie in legno per gli arconi di collegamento dei piloni della futura cupola. Il 3 novembre del 1510, ancora come "faber lignarius" ed appaltatore, egli si obbligava ad eseguire in due mesi la copertura della cupola lignea (vari pagamenti durante il 1511), progettata, probabilmente da Bramante, come coronamento della torre Borgia in Vaticano. Secondo il Vasari (p. 449) Bramante, che già era stato "sforzato lasciargli la cura d'infinite fatiche che egli aveva a condurre", gli aveva affidato nel 1512 la cura del "corridore" di Borgo, a collegamento dei palazzi vaticani con Castel Sant'Angelo. Nello stesso anno, già abbastanza ricco, il C. poté comprarsi una piccola casa.
La sua attività di appaltatore si era estesa a "lavori di muro" e di lapicida: come quelli (computati nel novembre 154) in Castel Sant'Angelo nella zona del cortile di Leone X dove egli, eseguendo un progetto verosimilmente bramantesco, può aver fatto qualche prima prova come architetto. In questi anni il C. doveva aver acquistato notevole pratica di cantiere e non comunicapacità tecniche specialmente aiutando Bramante nelle molte opere iniziate al tempo di Giulio II. Alcune di queste erano d'impegno principalmente tecnico; come, ad esempio, oltre il già ricordato "corridore" di Borgo, il ripristino dell'antica darsena del porto di Civitavecchia, per la quale il C., probabilmente su indicazioni di Bramante, redasse il disegno degli Uffizi (A 946). Altre opere erano di carattere essenzialmente decorativo (ma non sappiamo fino a che punto fossero sue autonome proposte).
Uno schizzo del C. (Uffizi, A 977) riguarda la grande porta bugnata e il mastio ottagonale, del tempo di Giulio II, della rocca di Civitacastellana già iniziata, sotto papa Alessandro VI, dallo zio del C. Antonio da Sangallo il Vecchio. Il Giovannoni (1959, pp. 344 s.) gli attribuisce anche il progetto del cortile dello stesso edificio, il cui piano terreno almeno è tuttavia certamente antecedente al 1503 e non assegnabile al Cordini. Così desta pure molta perplessità una sua partecipazione al progetto (Uffizi, A 7949, firmato da Giuliano da Sangallo e datato 1° luglio 1513) per un grande palazzo della famiglia Medici a Roma presso piazza Navona (Giovannoni, 1959, pp. 278 ss.); infatti gli schizzi, che pure si riferiscono a questo stesso tema (Uffizi, A 1259 rv), risultano certamente successivi.
È invece accertata in questo primo periodo la fama del C. come tecnico e costruttore ingegnoso. Nel 1513, ad esempio, Michele Sanmicheli, che dal 1509 era impegnato nel duomo di Orvieto, andò a Roma "cum modellis faciei Ecclesie [la facciata del duomo] pro accipiendo consilium cum magistro Antonio Sangallo" (L. Fumi, Il duomo di Orvieto, Roma 1891, p. 101). Così pure, a seguito del crollo, nell'ottobre dello stesso anno, di una volta nel duomo di Foligno, fu richiesto il parere di Bramante, di Andrea Sansovino, di Giuliano da Sangallo - tutti impossibilitati a muoversi - e dello stesso C. che tuttavia, in quel momento malato, non poté intervenire.
Un problema in certa misura ancora aperto è costituito dal tempo d'inizio della sua attività di vero e proprio "architetto" progettista, indipendente e qualificato, di opere importanti.
Caduta, ormai, presso la storiografia più avvertita e recente l'ipotesi (che sosteneva il Giovannoni, 1959, male interpretando il Vasari) dell'esordio nel 1507 con la chiesa di S. Maria di Loreto, nella quale egli intervenne più tardi, il problema è reso non facile sia dall'impossibilità di valutare la reale portata del suo contributo come aiuto di Bramante, dei suoi zii e, dopo il 1516, di Raffaello, sia dall'incerta datazione di alcune opere ricordate come sue dal Vasari e confermate dall'amplissimo corpus dei disegni suoi o della sua cerchia.
Probabilmente negli anni attorno al 1514-15 debbono essersi presentate al C. più consistenti occasioni di lavoro, anche progettuale, autonomo. Inoltre, a contatto con Raffaello, forse con frà Giocondo e poi col Peruzzi, debbono aver ora preso maggior consistenza le ambizioni professionali e con queste gli interessi anche teorici del Cordini.
Dotato inizialmente di una cultura piuttosto scarsa, capace di scrivere in un italiano approssimativo, egli deve aver cominciato ad impegnarsi nello sforzo di acquistare gli strumenti culturali indispensabili ad un'attività progettuale in questo tempo già intellettualizzata e in lui non sostenuta dall'esercizio della pittura o della scultura. E in questo periodo egli deve aver avvertito la necessità di approfondire la conoscenza diretta dell'architettura romana antica e di Vitruvio, certamente iniziata in precedenza a contatto con i suoi zii e con Bramante.
Il Vasari fa intendere che il palazzo Farnese rappresenta il primo importante esordio del C. come progettista autonomo. E ciò sembra sostanzialmente giusto e confermato dai documenti. Ma forse non molto tempo prima (tra il 1513 e il 1515) egli poteva aver avuto dallo stesso cardinal Farnese l'incarico, ricordato dal Vasari, del restauro della rocca di Capodimonte sul lago di Bolsena, dove sembra sia intervenuto specie nell'avancorpo d'ingresso e nel cortile. Un disegno del C. (Uffizi, A 35v) con la scritta "ponte levatore chapitumonti" è tracciato su un foglio il cui recto mostra studi che riguardano S. Pietro e che quindi permettono una datazione dopo il 1517 o intorno al 1520-21; contiene una proposta, non attuata, di modifica dell'avancorpo e l'inserzione di strutture difensive solo in parte costruite.
Forse già prima del 1516 (epigrafe in situ), su incarico del pontefice Leone X, egli poteva poi essere stato impegnato nel completamento della ristrutturazione del castello di Montefiascone, pure attribuitagli dal Vasari. Né è impossibile che in questi anni abbia anche progettato la ricostruzione del castello Santacroce di Veiano (1518, epigrafe in situ) con caratteri complessivi ed un piccolo cortile non molto lontani da quelli di Capodimonte. Queste opere mostrano in generale qualche incertezza nelle scelte linguistiche ed una non completa padronanza del lessico classico, forse spesso accentuate dall'esecuzione dovuta a maestranze locali non del tutto controllate.
Un probabile esempio di architettura sangallesca di questo tempo o di poco prima sembra poi essere costituito dalla facciata rappresentata nel disegno degli Uffizi, A 1639, riferibile al palazzo Calcagni, poi Ricci, sulla piazza omonima a Roma, che presenta notevoli tangenze con il fronte di palazzo Baldassini, forse di poco successivo, ed elementi lessicali analoghi a quelli di Capodimonte e di Veiano.
In ogni caso quasi tutte queste occasioni di lavoro debbono aver avuto origine soprattutto dalla sua fama di tecnico esperto. Secondo il Vasari, che lo conobbe personalmente ed è testimone diretto, anche l'incarico da parte del Farnese di "restaurare il suo palazzo vecchio" fu conferito per "lo aversi acquistato Antonio già nome di persona ingegnosa nell'architettura, e che nelle cose delle muraglie avesse bonissima maniera" (p. 450). Seguendo un suo primo progetto, redatto probabilmente intorno al 1514-15, Alessandro Farnese - uno dei più ricchi e potenti cardinali della Curia romana - intervenne radicalmente sul fabbricato, già ampio ed ornato, che, testimonia fra Mariano da Firenze (1518, pp. 63 s.), "a fundamentis ipse sumptuosissime reparare incipit, marmoreis et pulchris columnis illum ornatum reddens".
Il C. s'impegnò molto facendo "più disegni in variate maniere" e Alessandro scelse un progetto "accomodato con due appartamenti" per i suoi figli Pier Luigi e Ranuccio (Vasari, p. 450).Nel marzo del 1519, lostesso papa Leone X (De Grassis, 1884, p. 72) lo visitò e "omnia probavit quia vere pulchrum et sumptuosum aedificium est". Ma in realtà la costruzione dovette procedere con una certa lentezza, fin quasi a interrompersi intorno all'inizio degli anni '20, e subì anche cambiamenti di programma. Pure se non ci è pervenuto l'iniziale progetto del C., una serie di suoi schizzi (Uffizi, A 1000, 1001, 1002, 1343, 1295, 1109) e un preciso disegno dell'alzato del cortile (Uffizi, A 627) - redattiverso il 1514-15e comunque prima del 1534 - ciinformano sul carattere del palazzo e testimoniano del prolungato impegno del C. in questo lavoro che era reso difficile anche dalla volontà di utilizzare strutture preesistenti. Il Vasari ricorda che il Farnese, da cardinale, aveva "condotto il detto palazzo a bonissimo termine, e nella facciata dinanzi fatto parte del primo finestrato, la sala di dentro, ed avviata una banda del cortile; ma non però era tanto innanzi questa fabbrica, che si vedesse la sua perfezione" (p. 469). Un disegno d'un taccuino ora a Monaco (Staatsbibliothek, Cod. Icon., 195, f. 8r), databile tra il 1518-20 e il 1526(Heydenreichlotz, 1974, p. 371 nota 31; Frommel, 1973, II, p. 119), mostra lo stato della costruzione che dopo l'ascesa al pontificato, nel 1534, di Paolo III Farnese fu notevolmente ampliata e modificata dallo stesso C., divenendo forse la sua opera realizzata più importante (cfr. in proposito Le Palais Farnèse, Rome 1981, partic. i saggi di L. Spezzaferro e di C. L. Frommel).
Nello stesso periodo (1514-16) il C. progettò (Uffizi, A 1298 C 995 con piante; A 1000 con schizzi insieme a studi per palazzo Farnese) un palazzo in via delle Coppelle per Melchiorre (o Marchionne) Baldassini, giurista e avvocato concistoriale, che, costruito abbastanza rapidamente (già in parte agibile o completato intorno al 1521-22) e pervenutoci senza troppo grandi modifiche, è assai rappresentativo della produzione del C. nella sua prima fase di attività e si pone come prototipo della successiva produzione nel campo dell'edilizia civile, fornendo soluzioni tipologiche poi tante volte riprese fino al sec. XIX.
È caratteristico in tal senso l'impianto d'insieme con l'androne d'ingresso, il cortile quadrato con portico e loggia sovrapposta solo sul lato d'ingresso, la posizione della scala, il piccolo giardino sul lato opposto alla strada. Particolarmente importante è poi la facciata che, pur riprendendo e perfezionando soluzioni comparse pochi anni prima nel palazzo Medici poi Lante e nel palazzo Della Valle - dovute all'ambiente toscano a Roma dominato da Giuliano da Sangallo -, inaugura (come nel palazzo Ricci già Calcagni) un modello adattabile a diverse esigenze e poco costoso, che sarà assai frequentemente ripreso dallo stesso C. e spessissimo, successivamente, anche al di fuori della cerchia sangallesca. Questo tipo di facciata - privo di ordini architettonici, con la semplice parete muraria conclusa da un cornicione e caratterizzata solo dalle finestre, dal portale d'ingresso, da fasce marcapiano e dai cantonali bugnati - doveva comparire, come poi nella stesura definitiva, anche nel palazzo Farnese. Nel palazzo Baldassini, specie nell'enorme altezza del piano terreno e nella graduale diminuzione di quelle dei due piani superiori (come già nel palazzo Calcagni e poi in quello di Gradoli), il tipo rimanda ancora a modelli toscani e romani quattrocenteschi; mentre le incertezze e l'imperizia del C. sono rivelate da vari particolari, come il pur culturalmente ambizioso portale dorico.
Pure notevole già in questo tempo doveva essere l'esperienza del C. nel campo dell'architettura militare, acquisita a contatto, oltre che con Bramante, con Giuliano ed Antonio da Sangallo il Vecchio che erano stati i protagonisti del profondo rinnovamentodell'arte delle fortificazioni resosi necessario alla fine del Quattrocento per il crescente sviluppo e impiego delle artiglierie. Infatti, quando nell'ottobre 1515 Leone X si recò, come racconta il Vasari (pp. 453 s.) - e lo conferma il diarista pontificio Paride De Grassis - a Civitavecchia per fortificarla, "e chi un disegno e chi un altro facendo, Antonio fra tanti ne spiegò loro uno, il quale fu confermato... come di tutti migliore". Come risulta da una serie di schizzi sangalleschi (Uffizi, A 931, 934, 935) egli andò ben oltre le idee bramantesche sulle fortificazioni di questa città, inglobandola tutta, mediante una cinta collegata alle difese portuali ed articolata con moderni baluardi disposti sulle alture, che iniziò a costruire dal lato settentrionale.
Una data certamente importante dovette essere il 1° dic. 1516, quando - sembra per raccomandazione del cardinal Farnese e in qualche modo succedendo allo zio Giuliano morto poco prima - il C. fu nominato coadiutore di Raffaello nella costruzione di S. Pietro. Questa nomina sembra piuttosto motivata dalla sua esperienza pratica e tecnica e dalla sua già attiva presenza a S. Pietro dal tempo di Bramante.
Non è facile, né forse possibile, stabilire con esattezza il contributo del C. nell'elaborazione di opere - come S. Pietro, l'ultimo piano delle Logge di S. Damaso in Vaticano, villa Madama, una casa progettata in via Giulia (Uffizi, A 312 del C.) o palazzo Pandolfini a Firenze - alle quali egli partecipò, tra il dicembre 1516 e il 1520, come aiuto e collaboratore di Raffaello; pur se nei disegni sangalleschi che le riguardano affiora talvolta una certa indipendenza di giudizio e di gusto. È certo, in ogni caso, che ora - in aggiunta e in parte in contrasto con le suggestioni bramantesche, con quelle degli zii Giamberti e con quelle dell'architettura romana antica - appaiono consistenti spunti raffaelleschi.
Un'interpretazione dell'antichità ben diversa da quella di palazzo Farnese, suggerita da Raffaello (e in parte da Giuliano da Sangallo) assai più che da Bramante, rivive ad esempio nella cappella funeraria di Giacomo Serra, cardinale Alborense, in S. Giacomo degli Spagnoli, intorno al 1517-18 c.; pure se sono probabili proficui scambi tra i due, quasi coetanei, architetti, dotati ciascuno di capacità e di inclinazioni in certo senso complementari.
Intorno al 1516 - secondo il Giovannoni (1959, p. 308) - è da porsi un progetto (Uffizi, A 188), accuratamente delineato in prospetto e con uno schema di pianta per la "porta p[er] lo palatio del Cardinale di sto Giorgio di Roma", poi palazzo della Cancelleria (per il quale il C. progetterà altri particolari dopo il 1517), nel quale è ripreso il motivo bramantesco del cortile superiore del Belvedere, interpretato con una certa originalità. A seguito di un breve di Leone X, il C. si recò poi a Loreto, nel marzo 1517, per ispezionare le lesioni che già dal 1515 si erano prodotte nella cupola del santuario. È probabile tuttavia che non in questa occasione ma solo in seguito, come vedremo, egli abbia proposto una revisione del progetto bramantesco in costruzione, dal 1513 al 1524, sotto la guida di Andrea Sansovino. Proseguendo la sua iniziale attività di legnaiuolo, l'8 dic. 1518 il C., quale architetto e imprenditore coadiuvato dai fratelli Giovanni Battista e Francesco, s'impegna a costruire per 1.000 ducati il soffitto a cassettoni della chiesa di S. Maria della Quercia presso Viterbo (Uffizi, A 309 e 741, di rilievo della chiesa, e A 1528, con studio del soffitto), tuttavia ancora non terminato nel 1525. Al 1518-19 (?) risale poi uno studio (Uffizi, A 702), per la cupola di S. Maria della Pace (iniziata nel 1519, continuata fino al 1522, poi ripresa più tardi). Per i suoi caratteri piuttosto immaturi è probabilmente da assegnare agli anni anteriori al 1518-20 anche il chiostro della chiesa di S. Agostino ad Orvieto (Uffizi, A 4030). E a questa prima fase di attività è forse da assegnare la chiesa di S. Egidio di Cellere (Uffizi, A 1050 con la pianta su pergamena) il cui impianto centrico, con vano centrale quadrato ad angoli fortemente smussati coperto da una cupola emisferica su tamburo cilindrico, riprende schemi bramanteschi. È incerto se una serie di arcaismi e di semplificazioni nella definizione degli elementi siano qui da attribuire alla volontà e alla giovanile imperizia del C. o all'inesperienza delle maestranze, forse anche poco sostenute da disegni troppo sommari dei particolari. È questo anche il caso del pur importante palazzo Farnese di Gradoli, sul lago di Bolsena, ricordato dal Vasari (p. 451), secondo alcuni databile tra il 1515 e il 1526, "più vicino al primo termine che al secondo" (Giovannoni, 1959, p. 261), ma forse iniziato negli anni 1520-25, dall'impianto insolito vincolato da preesistenze, con un prospetto a monte del tipo di quello di palazzo Baldassini (rappresentato nei disegni degli Uffizi, A 296 e 1320, di Battista) ed un interessante prospetto a valle animato al centro dalle aperture binate della scala e da una loggia asimmetrica sull'angolo nord-est.
Secondo il Vasari, sempre per incarico del cardinal Farnese - e probabilmente intorno al 1520 - il C. progettò due tempietti sull'isola Bisentina del lago di Bolsena (pp. 455 s.): uno ottagonale all'esterno e circolare all'interno, l'altro quadrato all'esterno ed ottagonale con nicchie all'interno. È conservato solo il primo, poi rimaneggiato e restaurato (comunicazione di G. Miarelli Mariani e F. Buchicchio), ma studi per ambedue compaiono nel disegno degli Uffizi, A 962, e probabilmente anche nell'A 35v.
Sempre secondo il Vasari (p. 452), alla prima fase di attività (intorno al 1520?) appartiene anche il palazzo di Bartolomeo Farratini ad Amelia (che il Giovannoni, 1959, p. 270, data tra il 1520 c. e il 1525) rappresentato nel disegno degli Uffizi, A 1280, autografo di progetto, con un'interessante pianta ad U, poi ridotta nell'esecuzione, e caratterizzato nella facciata a monte, del consueto tipo sangallesco, da una forte predominanza del piano nobile. Dopo aver ricordato questo, il Vasari (p. 452) cita il palazzo (poi distrutto) del cardinale Antonio Del Monte in piazza Navona che essendo ornato dallo stemma di Leone X, oltre che da quelli del proprietario e del comune di Roma, doveva essere stato costruito intorno al 1520 o poco prima (Giovannoni, 1959, pp. 282 s.; Frommel, 1973, I, p. 125). In questo palazzo l'elemento più rilevante era una torre (studiata dal C. nel disegno degli Uffizi, A 1898, e rappresentata in vari disegni e vedute antiche della piazza) caratterizzata da due piani con ordini architettonici su di un alto piano basamentale con angoli bugnati. Fra le opere di questo tempo, il Vasari ricorda (p. 456) anche che il C. "diede principio... al palazzo del vescovo di Cervia, che poi non fu finito", in via dei Banchi.
Ad esso (Pagliara, 1979) si riferisce il disegno degli Uffizi, A 709 (con scritto "cardinale di Ciesi", vescovo di Cervia), contenente una pianta (ripetuta anche in Uffizi, A 3884) con due scale, agli opposti angoli del cortile, a servizio di due appartamenti uguali. Questo palazzo (forse progettato tra il 1517 e il 1523-24) risulta in costruzione solo tra il 1531 e il 1534 ad opera del cardinal Cesi. La facciata, incompiuta ed eseguita con molta cura, è del consueto tipo sangallesco ma è fortemente caratterizzata dalla successione degli ampi vani quadrangolari delle botteghe sormontati da archi di scarico contenenti le finestre del piano ammezzato.
Intanto, intorno al 1518 (prima del 29 genn. 1519, quando Leone X dette il definitivo benestare per la costruzione) il C. - riferisce il Vasari nella Vita di I. Sansovino (VII, p. 498) - partecipò al concorso per la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini in via Giulia, in competizione con Raffaello, Peruzzi, I. Sansovino. Quest'ultimo ne uscì vincitore, ma il C., precisa il Vasari (pp. 454 s.), intervenne (forse intorno al 1520) con l'intento di risolvere il problema delle fondazioni, reso difficile dalla prossimità del Tevere, per poi subentrare al Sansovino - mentre i lavori procedevano con grande lentezza - quando quest'ultimo, nel 1527, lasciò Roma per Venezia.
Fra i non pochi disegni del C. o dei suoi collaboratori riguardanti quest'opera, quello degli Uffizi, A 199, rappresenta un impianto rotondo, con ben quattordici cappelle perimetrali quadrate ed un coro circolare, caratterizzato nell'alzato (rappresentato in un'incisione del 1552 e nell'Uffizi, A 233; cfr. ricostruzione in Heydenreich-Lotz, 1974, p. 195, fig. 62), oltre che da ricordi fiorentini, da consistenti spunti raffaelleschi. Ad una fase iniziale è probabile che si riferiscano anche interessanti proposte di soluzioni a pianta longitudinale a tre navate e cappelle (Uffizi, A 1292, schizzata in alternativa ad una soluzione rotonda con cappelle e deambulatorio, A 862, firmata, A 863). Una revisione del programma, con estensione della chiesa verso il fiume, si ha, dopo il 1527, in una serie di soluzioni longitudinali (dis. degli Uffizi, A 860, 861, 864, 1055) che sembrano concludersi nella pianta rappresentata nell'A 175 cui corrisponde la facciata disegnata da Aristotele da Sangallo nel disegno degli Uffizi, A 176. Tuttavia l'attuazione non andò, ad opera del C., oltre le fondazioni.
Dal febbraio 1518 al 1520, il C. ricevette pagamenti per la chiesa di S. Maria di Monserrato, ricordata come sua opera dal Vasari (p. 456) ma che, erroneamente, alcuni fanno risalire alla fine del sec. XV ed attribuiscono allo zio del C., Antonio il Vecchio.
Anche in questo caso sembra che il C. proponesse in alternativa sia una soluzione a pianta centrica sia una a pianta longitudinale, rappresentate a confronto, ad esempio, nei disegni degli Uffizi, A 719, 720. Nel disegno degli Uffizi, A 168, è sviluppata la soluzione centrica in forma di chiesa circolare con arcate su tre lati e, sul quarto, un coro quadrangolare absidato (che compare a parte, anche nell'A 1789). Nel disegno degli Uffizi, A 171, su pergamena ma forse non definitivo, è sviluppata invece la soluzione longitudinale poi attuata (prima pietra 13 giugno 1518) su suo progetto solo per quanto riguarda la parte absidale. Pur riprendendo idee di impianti a navata unica con cappelle già comparse in diversa forma in precedenza, specie in ambiente fiorentino, il C. propone qui, malgrado l'esecuzione si sia protratta con modifiche, nella navata e nella forma delle cappelle, ben oltre la morte del maestro, un prototipo molto importante delle assai più tarde chiese del Cinquecento controriformista.
Negli anni tra il 1518-19 e il 1523, probabilmente (almeno dal 1519) con B. Peruzzi, il C. progettò l'ospedale degli Incurabili di S. Giacomo in Augusta in un'area trapezia (disegno degli Uffizi, A 915) frutto del recente (1516 e anni successivi) tracciato della via Leonina, poi Ripetta, con un forte angolo acuto sull'incrocio con via Lata (Corso).
Tra i disegni del Peruzzi (ad es., Uffizi, A 577) o del C. o di collaboratori di studio per questo progetto importante è l'A 870 degli Uffizi (attribuito sia al C. sia al Peruzzi) con un impianto simmetrico caratterizzato dalla posizione della chiesa di S. Giacomo al centro dell'area con ingresso sulla via trasversale a via Ripetta e a via Lata. In una serie di altri progetti la chiesa di S. Giacomo è invece spostata su via Lata. Il C. propone soluzioni diverse, adottando diverse forme di chiese centriche (Uffizi, A 872, 873, 871), nel tentativo di adeguarsi con un impianto organico all'irregolarità dell'area (mentre il Peruzzi, nel disegno degli Uffizi, A 577, giunge a definire un importantissimo progetto dì chiesa ovale). I lavori, appaltati nel dicembre 1519, continuarono fino al 1524 e comprendono anche la cappella mortuaria di S. Maria Portae Paradisi, sull'angolo di via Ripetta, che sembra essere l'unica parte importante rimastaci del progetto. Completata (epigrafe) nel 1523, essa (documentata nei disegni degli Uffizi, A 346 e A 1891, rispettivamente di Battista e di Aristotele da Sangallo), appare assai tipica dei modi del C. in questo tempo, con il suo impianto ottagono regolare preceduto da un atrio e completato da un coro quadrato, in origine aperto verso la corsia, con la sua copertura a vela, con le sue paraste scanalate e con la sua facciata in mattoni sul tema della porta o dell'arco trionfale, sviluppata con una certa immaturità di forme.
Anche in rapporto con l'apertura della medicea via Leonina e con la conseguente urbanizzazione di Campomarzio (intensa specie dal 1519 c.) sono probabilmente da porre gli studi (Uffizi, A 1259 rv) per il palazzo Medici presso piazza Navona, così come un progetto (Uffizi, A 1232), del tempo di Leone X (non successivo al 1521), d'innalzamento in piazza del Popolo dell'antico obelisco trovato nel 1519 presso S. Rocco. Pure legati all'urbanizzazione di Campomarzio sono due progetti, non eseguiti, di palazzi su piazza Nicosia, all'incrocio di via Tor di Nona con via Leonina, forse databili tra il 1518-19 e il 1526 c. (Frommel, 1973, I, p. 211, mentre il Giovannoni sposta il secondo al 1534 c.).
Il primo (Uffizi, A 1004) per Aldobrandino Orsini, vescovo di Nicosia, presenta un impianto che, pur ridotto e rielaborato, ricorda quello di Giuliano da Sangallo per palazzo Medici a piazza Navona. Il secondo (Uffizi, A 997) sull'area accanto (rilevata nell'A 996), che il C. propone di ridurre per ingrandire la strada di Tor di Nona, è un non grande palazzo, del genere del palazzo Baldassini (secondo il Giovannoni per il datario apostolico Baldassarre Turini da Pescia).
Al 1520 c. sembra risalire un progetto (Uffizi, A 1033) per un collegio, o "Sapienza", per cento studenti, a Perugia, che riprende lo schema del palazzo dei tribunali di Bramante e che, iniziato, fu interrotto ed abbandonato nel 1527. Dal 1521 il C. sembra impegnato in lavori idraulici di prosciugamento delle paludi di Foligno.
Nei primi anni dopo il 1520, l'alternativa tra impianto centrico e impianto longitudinale ricompare nei progetti, studiati con la collaborazione di Battista, per la chiesa di S. Giacomo a Scossacavalli (costruita lentamente, mai completata, infine demolita).
La circostanza che l'area disponibile si svolgeva in lunghezza perpendicolarmente al Borgo Vecchio e che invece la facciata doveva essere sulla piazza, suggerisce un assai interessante impianto a navata unica con cappelle con ingresso sul lato lungo (Uffizi, A 13473 di Battista) e una soluzione centrica in forma di ottagono regolare (Uffizi, A 305 e 1340) per giungere ad un'audace forma ovale (Giovannoni, 1959, p. 238); tuttavia poi abbandonata per una pur ingegnosa soluzione definitiva a navata unica (Uffizi, A 908 e 1350).
Una partecipazione del C. al progetto della ricostruzione della chiesa di S. Marcello al Corso (dopo il maggio del 1519), forse in collaborazione con Iacopo Sansovino (ricordato dalle fonti antiche) o dopo la sua partenza per Venezia, sembra dimostrata dal disegno degli Uffizi, A 869, con varianti planimetriche di progetto che delineano un impianto a navata unica e cappelle, accennano all'alzato dell'interno e ad un'assai interessante facciata con ordine gigante in corrispondenza della navata, del tipo che, originariamente proposto da Bramante (1509) e ripreso dal Peruzzi, tornerà con Palladio. Altro disegno del C. (di difficile datazione, secondo il Giovannoni forse successivo: 1528 c.) riguarda S. Luigi dei Francesi (Uffizi, A 863) e configura la planimetria di una chiesa a navate e cappelle che per l'inserzione di una cupola a metà del suo sviluppo e per la sua facciata a due torri sembra far riferimento al mondo gotico francese.
Intanto, morto Raffaello, nell'aprile 1520 il C. gli era subentrato come capomastro della Fabbrica di S. Pietro, coadiuvato, dall'agosto, dal Peruzzi, con il quale collaborò anche in altri lavori; come ad esempio nella progettazione del castello di Caprarola (disegni degli Uffizi, A 500 e 506, del Peruzzi; A 775, del C.). Appena assunto l'incarico, in un "memoriale" rivolto a Leone X (Milanesi, in Vasari, pp. 476 s.), il C. criticò duramente il progetto raffaellesco - al quale pure aveva collaborato - riassumendo in undici punti quelle che egli ne reputava le manchevolezze. Nel 1521 il C. e il Peruzzi furono pagati per nuovi modelli e di ambedue rimangono una serie di studi e progetti che tuttavia non corrisposero a una consistente attività costruttiva (malgrado una ripresa sotto Clemente VII, dal 1524-25), peraltro poi totalmente interrotta per il sacco di Roma del 1527.
Morto Leone X (dic. 1521) e succedutogli l'"antirinascimentale" Adriano VI, il C., secondo il Vasari (p. 452), intervenne sulla chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli, pure se il suo ambizioso progetto (Uffizi, A 905, 906, 907) fu attuato solo in piccola parte. Di questo tempo è anche il disegno di un camino (Uffizi, A 170) forse per il Vaticano.
Negli anni tra il 1520 e il 1530 c., e specialmente nel periodo a cavallo del sacco del 1527, sotto il pontificato di Clemente VII il C. - probabilmente stimolato dall'esempio e dalla concorrenza con il Peruzzi, col Sansovino e con Giulio Romano (che lasciò Roma nel 1524) - fu impegnato in una serie di opere (che generalmente si concluderanno in seguito) nelle quali giunse a configurare una sua propria più personale maniera. Né in questa fase egli rimase del tutto insensibile ai fermenti tendenzialmente "manieristi" già diffusi in quegli anni.
Iscrizioni in situ assegnano al 1523 il palazzetto dell'abate francese T. Regis (Le Roy), impropriamente detto "piccola Farnesina" ai Baullari.
Probabilmente progettato intorno al 1522-23, ma non ancora terminato nel 1524, era stato pensato con la facciata sul vicolo dell'Aquila e con il cortiletto e il piccolo giardino sul retro; ma, prima, le demolizioni conseguenti l'allargamento di via dei Baullari (1543), poi (fine sec. XIX), l'apertura di corso Vittorio Emanuele II e il conseguente completamento su questo lato hanno fortemente inciso sul suo aspetto. Pur non essendo documentato il nome dell'architetto (da alcuni è riferito al Peruzzi), gran parte della critica lo assegna plausibilmente al C. in un momento di particolare e felice impegno progettuale.
Intorno al 1518 e specialmente dal 1522 al 1527 e, dopo l'interruzione per il sacco, dal 1531 riprende la costruzione di S. Maria di Loreto al Foro Traiano (decisa nel 1507 e in costruzione, per quanto riguarda le fondazioni, nel 1510 ma quasi certamente non ad opera del Cordini).
In questa fase, come scrive il Vasari (p. 450), l'opera "da Antonio fu ridotta a perfezione" (senza tuttavia la cupola e il suo tamburo), e in rapporto a questo intervento sono da porre i disegni degli Uffizi, A 174 (di Aristotele da Sangallo, forse soluzione iniziale), A 1371 ed A 786, autografo, che forse costituisce l'idea conclusiva, attuata solo per quanto riguarda il corpo basamentale con la facciata (eseguita dopo il 1531). È difficile tuttavia stabilire con sicurezza se questi disegni appartengano ad una stessa fase progettuale e risalgano agli anni immediatamente precedenti la ripresa del 1518-22 (Frommel) o siano da porre tra il 1527-28 e il '30 circa (Benedetti, 1973). Il corpo basamentale costruito, ancora in rapporto con il linguaggio bramantesco-raffaellesco, sembrerebbe essere, specie nelle proporzioni e nei particolari, abbastanza tipico dei modi del C. intorno al 1520.
Un impianto ottagonale con nicchie e cupola, accostato a un coro circolare pure a cupola, caratterizza la piccola chiesa di S. Maria di Monte Moro presso Montefiascone, eretta per decisione della Comunità locale (1523) e per la quale il C. nel 1526 fu chiamato "ad designandam fabricam" (e tornò ad ispezionare i lavori nel 1528 e nel 1538), e che forse era stata già iniziata da maestri locali.
Una serie di disegni del C. (Uffizi, A 304 e 1275 con studi planimetrici; A 947 e 173 con lo studio e il progetto della chiesa) rappresentano un organismo complesso ed originalmente caratterizzato, nel quale la chiesa ottagona, connessa con un vasto coro circolare, emerge tra due porticati sul fronte di un grande convento abilmente organizzato attorno ad un cortile quadrato e posto ad un livello più alto di quello della chiesa. Il progetto di quest'ultima, che è la sola parte eseguita, mostra (Uffizi, A 173) modi maturi non privi di una certa ambiguità e tensione "manieristica" sia nell'insieme sia nella definizione dei particolari.
Il 19 genn. 1523 fu approvato un progetto del C. per il completamento del duomo di Foligno - in alternativa con una proposta di un maestro Rocco da Vicenza - con una cupola ed una cripta.
Tale progetto non fu attuato ma sul disegno degli Uffizi, A 878, compare in pianta, con il rilievo delle preesistenze, uno studio per la cripta, circolare con nicchie e deambulatorio a colonne, e per la cupola. Studi per quest'ultima, con diverse soluzioni in alzato, sono schizzati sul recto dello stesso foglio. In questo periodo (e forse già dal 1521) il C. era impegnato in lavori di prosciugamento delle paludi di Foligno e in relazione ad essi, con un breve di Clemente VII, si recò nella città, nell'agosto 1525, dove richiese ed ottenne la cittadinanza fulignate. Nel duomo, nel braccio destro del transetto, sarebbe stata poi attuata forse su progetto del C. una cappella del SS. Sacramento, a pianta rettangolare con i lati corti absidati, poi distrutta alla fine del sec. XVIII. Sostanzialmente corrispondente ad un progetto sangallesco (forse di qualche anno successivo) è poi l'attuale cappella del Corpus Domini, documentata anche da vari disegni agli Uffizi (A 177, con rilievo della zona e coro a cerchio oltrepassato; A 877 con schizzo di pianta e dì sezione), con impianto centrico a cupola.Al 1524 c. risale la cosidetta "Imagine di Ponte" (applicata diagonalmente all'angolo della casa Serra in via dei Coronari) che mostra accentuati interessi spaziali in funzione urbana insieme all'affermazione di un vigoroso e non inerte "classicismo" di origine bramantesco-raffaellesca (C. Pietrangeli, L'immagine..., in Strenna dei romanisti, XXXIII [1972], pp. 279-82). Glistessi orientamenti, in una controllata ricerca di novità e di espressione monumentale animata dalla concavità del fronte e da esibiti contrasti proporzionali e linguistici nella definizione degli elementi e delle decorazioni, appaiono nella facciata della Zecca in Banchi (1524-25 c. o un po' dopo), certamente concepita in funzione di un osservatore che proviene dal ponte S. Angelo. Malgrado alcune incertezze, una ormai raggiunta maturità, nel pieno dominio di personali mezzi linguistici, caratterizza quest'opera che la critica considera generalmente come una delle più elevate espressioni dell'attività del Cordini.
Dal 1525, il C., come architetto papale, si occupò del proseguimento dei lavori del santuario di Loreto dove si recò nel novembre per provvedere sia alla stabilità della cupola sia al completamento del palazzo apostolico, per le cui logge nel luglio del 1526 presentò un nuovo modello.
Dopo un'interruzione intorno al 1527-28, i lavori, diretti dal C., continuarono anche dopo la morte di Clemente VII (1534) e - oltre che la copertura in piombo della cupola (1528-33) e il rinforzo delle sue strutture di sostegno (disegni degli Uffizi, A 139, 926, 927, 1036, 1056, 146) - riguardarono la revisione del progetto bramantesco (A 921v) per la piazza cortile a loggiati del palazzo apostolico - e per la facciata della chiesa. Più che l'opera costruita - mai del tutto completata e ulteriormente trasformata per successivi interventi - i disegni rimastici (Uffizi, A 921 -25, 948) collocabili tra il 1525-26 e il 1536 c., ci documentano sugli orientamenti del C. e, specie in alcune soluzioni (come quella del fronte del cortile sul lato opposto alla chiesa nell'A 922; quella delle porte-finestre del sottoportico nell'A 923; quella della facciata della chiesa nell'A 925; ecc.), indicano - così come altre opere di questi anni - la presenza di controllate tensioni in certo senso "manieristiche".
Al tempo di Clemente VII e forse agli anni tra il 1525-26 c. e il 1530 - come, pur senza prove documentarie, propone il Giovannoni (1959, pp. 254 ss.) - sonoriferibili una serie di disegni sangalleschi (Uffizi, A 1254, 1363, 1312, 1365, 1649) che riguardano un progetto per il S. Marco di Firenze.
Anche in questo caso compare l'alternativa tra una soluzione longitudinale - a navata unica e cinque cappelle per lato - ed una soluzione centrica ad ottagono cupolato circondato da una serie di cappelle minori sugli otto lati. Di particolare interesse è la soluzione centrica del disegno degli Uffizi, A 1363, nella quale alla chiesa ottagona si giustappone un grande coro a semicerchio rovesciato e la cui facciata (A 1363v) sviluppa il tipo, che poi sarà palladiano, con ordine gigante nella sua parte centrale. Ma anche in questo come nelle proposte che appaiono negli altri disegni, la ricerca di un'apparentemente ricca articolazione spaziale - non immemore di Bramante, di Raffaello o, addirittura, dell'ultimo Brunelleschi - è in parte negata dalla concezione di ogni singolo spazio come entità tendenzialmente autonoma.
Al tempo di Clemente VII, ricorda il Vasari (pp. 457 s.), il C.completò pure le Logge di S. Damaso in Vaticano (iniziate da Bramante e continuate da Raffaello, ma incomplete dal tempo di Leone X). "Dopo - prosegue il Vasari (pp. 458 s.) - volendo Sua Santità fortificare Parma e Piacenza..., fu mandato Antonio in que' luoghi, e seco Giulian Leno, ... Antonio l'Abbaco suo creato, Pierfrancesco da Viterbo..., e Michele da San Michele..., tutti insieme condussero a perfezione i disegni di quelle fortificazioni" (cfr. L. Beltrami, Relazione sullo stato delle rocche di Romagna stesa nel 1526 per ordine di Clemente VII da Antonio da Sangallo. In nozze Greppi-Belgioioso, Milano 1902).Tornato il C. a Roma, il papa "ordinò ... che sopra la Ferraria cominciasse quelle [stanze] dove si fanno i concistori publici: ... e fece farvi poi sopra le stanze de' camerieri di Sua Santità" (Vasari, p. 459). Essendo stato consultato sulla costruzione della chiesa di S. Maria della Steccata a Parma, il C., in una lettera del 19 apr. 1526(cfr. B. Adorni ecc., S. Maria della Steccata a Parma, Parma 1982, p. 251), dà vari giudizi sull'argomento e fornisce un disegno per la cupola. È possibile che nello stesso tempo egli progettasse (Uffizi, A 1303, 292, 293) l'interessante palazzo, non eseguito, per Bonifazio Cantelli nella stessa città.
Nel 1526, a Firenze incontrò e sposò Isabella Deti, "di bellissimo aspetto" ma "altiera et superba" oltre che ambiziosissima, con la quale il C. fu sempre assai debole (Vasari, I ediz., 1550: cfr. Milanesi, in Vasari, V, pp. 472 s. n. 3). Ne ebbe due figli: Orazio (n. 1528) e Giulia.
Intorno al 1526, sempre a Roma, è da porre anche la progettazione di un palazzetto sull'angolo tra via Alessandrina (Borgo Nuovo), il vicolo Dritto e Borgo Vecchio (per Giovannoni, 1959, pp. 286 ss., per Guglielmo del Pozzo, ma secondo un documento pubblicato dal Frommel, 1973, II, pp. 175 ss. per Giacomo Bernardino Ferrari).
Il palazzo (Uffizi, A 1894, 201), forse mai completato secondo il progetto originario e poi demolito per l'apertura di via della Conciliazione (salvo il portale che invece venne rimontato in un nuovo palazzo di questa stessa strada), mostra, nel fronte rappresentato nel disegno degli Uffizi, A 201, una matura volontà di caratterizzazione linguistica attraverso la definizione di particolari di forma inconsueta (bugnato basamentale e portale; finestre del piano nobile; cornicione).
Il sacco di Roma del maggio 1527, con la crisi politica ed economica che ne conseguì, interruppe in larga misura pure l'attività edilizia e rallentò per qualche anno anche l'operosità del C., che fu spesso costretto a trovare occasioni di lavoro per committenti privati non solo a Roma, ma anche fuori città.
Tuttavia, proprio nel 1527 egli progettò per Orvieto, dove si era rifugiato Clemente VII, il celebre pozzo di s. Patrizio, ingegnosa opera connessa con le fortificazioni della città e necessaria ad assicurarne l'approvvigionamento idrico. Pure connessi con problemi militari sono in questi anni alcuni viaggi del C., come nel 1529 un'ispezione alla rocca di Civitella d'Agliano e nel 1531 al ponte dell'Adunata sul Paglia. Tra il 1528 c. e il 1534 sembra poi doversi collocare lo splendido ma irrealizzato progetto per il grandioso palazzo del banchiere Raffaele Pucci ad Orvieto.
I disegni degli Uffizi, A 968, 1116 e 969, rappresentano una prima soluzione nella quale il riferimento alla "casa degli antichi" è reso esplicito dai termini vitruviani usati per denominare i diversi ambienti. Una seconda soluzione (Uffizi, A 1116 e 1074), pure riferibile allo stesso terna, è fortemente caratterizzata dalla sequenza assiale di spazi diversi.
Nel dicembre 1529 è stilato un contratto tra Ottavio Cesi e il C. (Arch. di Stato di Roma, Notaio Arditius, c. 194, prot. 175) per il sepolcro di famiglia in S. Maria della Pace già commissionato all'architetto da Angelo Cesi (m. 1528) e già iniziato.
Dopo una serie di studi (Uffizi, A 706, 707, 703, 708, 705, 974)che si concludono, nel 1529 c., in un progetto definitivo (A 836), l'opera attuata si distingue nella produzione del C. per l'impiego dei marmo e per l'insolita profusione di decorazioni minute e di sculture.
Il palazzo di Ascanio Parisani, vescovo di Rimini dal 1529, a Tolentino, fu iniziato non prima del 1530 (Giovannoni, 1959, p. 284). Organizzato secondo un impianto ad U leggermente trapezoidale, fu attuato solo per il piano terreno a bugnato con portale arcuato. Al piano superiore (Uffizi, A 1375) sembra fosse previsto un ordine su piedistalli. Forse a questi anni (tra il 1527 e non molto dopo il 1534, secondo il Giovannoni, 1959, pp. 300, 329) risale anche un progetto (Uffizi, A 967) per il palazzo-castello di Ascanio Colonna a Marino, interessante specie per il grande loggiato a colonne sul fronte sud verso la campagna, che preannuncia una tipologia frequente nel tardo sec. XVI ed oltre.
Tale palazzo, sul luogo del vecchio castello Orsini, fu iniziato a costruire solo nell'angolo nord-ovest (portale sangallesco sul lato nord) ma, rimasto incompleto, fu completato in altra forma e sopraelevato in epoca successiva.
Nel 1531, su incarico di Clemente VII e dei benedettini di Montecassino, il C. progettò (Uffizi, A 182, 1276, 181, 172 progetto definitivo firmato) una cappella per la sepoltura di Piero de' Medici, da erigersi sul fianco sinistro della chiesa dell'abbazia.
Precisato in un modello, il mausoleo sepolcrale era previsto ad impianto ottagonale, illuminato da finestre di tipo "termale" e coperto da una cupola su tamburo finestrato. Il pesante ordine dorico dell'interno doveva contrastare "manieristicamente" con la tormentata sovrapposizione di parti e di elementi che caratterizzavano l'esterno. Ma, iniziati i lavori, tra l'estate del 1531e la primavera del 1532, si rinunciò alla cappella e si decise di porre la sola tomba, a parete, del Medici sulla testata sinistra del transetto, in connessione (Uffizi, A 180) con la già prevista (A 181) ristrutturazione del presbiterio. Il monumento, attuatosu disegno del C., propone uno schema che sarà ripreso nei sepolcri dei papi medicei in S. Maria sopra Minerva.Datato 1° marzo 1531 (poi corretto in 1539) è un abbozzo di prefazione ad un commento a Vitruvio (il commento e i disegni non sono stati trovati; la prefazione è a Firenze, Bibl. naz., cl. XVII, cod. 20; cfr. Giovannoni, 1959, pp. 395 ss.) nel quale - oltre a fornire qualche notizia autobiografica - il C. propone di verificare le indicazioni vitruviane sugli edifici imperiali costruiti; così come egli ha in realtà tentato di fare, specie per i particolari, a quanto risulta da note su diversi disegni (ibid., pp. 23 ss.). Questo rinnovato interesse vitruviano, che nell'opera concreta si limita a coinvolgere poco più che qualche particolare, è caratteristico, nelle incertezze del momento, di una più generale tendenza al ripiegamento su esperienze già collaudate che è abbastanza tipico della tarda attività del C., ma che pure non gli impedisce l'espressione più sicura e matura della sua personale maniera.
In questi anni di crisi economica, il C. non si lasciava sfuggire anche minime occasioni di lavoro. Così, chiamato a Todi nel 1531, vi si recò nel 1532 per consigli sul proseguimento della costruzione della chiesa della Consolazione e forse in tale occasione schizzò (Uffizi, A 731 v) due proposte per aggiungere ad essa un grande convento e ancora, sul recto dello stesso foglio, delineò la pianta di una casa di campagna a Casigliano (Acquasparta) per Agnolo da Todi. Tra il 1532 e il '33, subentrando al Sanmicheli, continuò i lavori di costruzione della facciata gotica del duomo di Orvieto. Come ricorda il Vasari (p. 466), tra il 1532 e il 1536, forse con la collaborazione di Pier Francesco da Viterbo, il C. era impegnato alla progettazione delle fortificazioni di Ascoli Piceno (Uffizi, A 729, 1511, ecc.).
Intanto (1532 c.), a Roma, i tre fratelli Massimo avevano diviso la proprietà paterna sulla via Papale, con l'intento di costruire tre palazzi indipendenti.
Luca Massimo incaricò per il suo palazzo (distrutto) il C. che (forse 1534 c.) redasse un progetto, scarsamente documentato (Uffizi, A 994, 838, 65), che doveva essere caratterizzato da un cortile con due piani di logge, una dorica e l'altra a serliana.
Tornati i Medici a Firenze, il duca Alessandro richiese (10 marzo 1533) al C. il progetto di una nuova grande fortezza (Alessandra, poi detta "da Basso") atta anche ad assicurare il controllo della città. Il C. previde un impianto pentagonale (Uffizi, A 791, 782, 783, 715, 315, 316, 757, 760, 756, 931, 1282, ecc.) - subito e rapidamente costruito, dal maggio del 1533 al 1537 c. - che, pur non rinunciando all'efficienza bellica, s'impone anche per il suo aspetto rappresentativo, specie nello splendido cortile porticato a due piani e nel paramento a forte bugnato, a punte di diamante e a semisfere, simboli medicei, nel baluardo centrale verso la città. Più o meno nello stesso tempo, Clemente VII, occupata Ancona nel 1532, fece iniziare su progetto del C. (1532 ss.) la costruzione di nuove e ingegnose opere difensive della città che proseguirono nella costruzione, diretta dal C., anche al tempo del pontificato di Paolo III (fino al 1537).
Un disegno (Uffizi, A 4021) fa pensare che sia stato il C. a sistemare, alla morte di Clemente VII (25 sett. 1534) la sala ducale del Vaticano per il conclave dal quale uscì papa Alessandro Farnese, il suo antico protettore, che prese il nome di Paolo III.
Secondo il Vasari (VI, p. 216), nel 1535 il C. con Pier Francesco da Viterbo, il pittore C. Gherardi e il Vasari stesso si recò per incarico di A. Vitelli a Città di Castello, per riparare le mura pericolanti di un giardino e forse per opere di fortificazione (G. Maglierini-Graziani, L'arte a Città di Castello, Città di Castello 1897, 1, p. 102).
Il 28 maggio 1536 Paolo III confermava il C. come architetto di tutte le fabbriche pontificie, con uno stipendio annuo di 720 ducati. Già prima (1535) erano iniziati i lavori di sistemazione degli appartamenti papali in Castel Sant'Angelo, che continuarono negli anni successivi e s'intensificarono, sotto la direzione di Raffaello da Montelupo (1542-45), anche con la ristrutturazione del cortile dell'Angelo, al tempo del castellano Tiberio Crispo, per il quale il C. progettò (Uffizi, A 960v, dopo il 1540?) un palazzo, in parte attuato, ad Orvieto.
Negli anni tra il 1534 e il 1536 c. o poco dopo, il C. si occupò della sistemazione delle tombe di Leone X e Clemente VII nel coro di S. Maria sopra Minerva (già previste circa dieci anni prima, con progetto di Michelangelo, nel coro di S. Lorenzo a Firenze).
Vari schizzi (Uffizi, A 185 autografo, messo in pulito da Battista da Sangallo nell'A 183, in forma di catafalco isolato; A 1129rv, quest'ultimo in forma di arco trionfale e con piramidi a gradoni come nel mausoleo di Alicarnasso) riguardano sepolcri papali (per Clemente VII). Ma i disegni degli Uffizi A 1310 e 1313, in pianta, e l'A 178, in sezione, configurano uno splendido progetto di organica ristrutturazione del coro della chiesa della Minerva come mausoleo mediceo con i due sepolcri papali, affrontati, in forma di arco trionfale (come quello di Piero a Montecassino) inquadrato da binati di semicolonne e con un nuovo coro al posto della vecchia abside, in figura di "ferro di cavallo" (o semicerchio oltrepassato) strutturato con otto paraste corinzie, disposte secondo gli assi di un decagono, e coperto da una originale volta cupoliforme a grandi cassettoni. Ma, rinunciando a questo ambizioso progetto di totale ristrutturazione del coro, furono solo attuati i due sepolcri dei papi, in forma di arco trionfale, con le sculture di Baccio Bandinelli e di altri.
Al tempo di Paolo III (prima del 1547) al C. è attribuito (Giovannoni, 1959, pp. 291 ss.) il palazzo di Eurialo Silvestri, cameriere papale (in via del Colosseo, palazzo Rivaldi). Ad esso, caratterizzato da un insolito impianto ad L prospiciente un giardino e con una facciata sulla strada del consueto tipo sangallesco, sembrano riferirsi infatti alcuni disegni (Uffizi, A 317, 7175) di camini. In questi anni, tra il 1535 e il '43, il C. progettava e costruiva per sé una casa in via Giulia, conservatasi senza troppe alterazioni, presso la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini.
Oggetto di diversi studi progettuali (Uffizi, A 1092, 1315, 1224, vicino alla soluzione finale) e di alternative nella caratterizzazione degli alzati, specie del cortile (Uffizi, A 1092, 1101, 1111, 1286), l'opera attuata (Uffizi, A 375rv, 377rv, di G. A. Dosio) presenta una facciata, a cinque finestre, del consueto tipo sangallesco ed un cortile con i lati caratterizzati da motivi diversi (Uffizi, A 4349), non senza strane asimmetrie, dissonanze (Frommel, 1973, I, p. 48) ed audaci libertà sintattiche a contrasto con i riferimenti vitruviani ("Vestibulo", "Atrio", "Cavo Edio" "stufa") attestati specie dalle scritte del disegno degli Uffizi, A 1224.
Nel 1536, per l'ingresso a Roma (5 aprile) di Carlo V, il C., con la collaborazione di numerosi artisti (tra cui il Peruzzi, Raffaello da Montelupo, Aristotele da Sangallo), si occupò dell'allestimento degli apparati trionfali lungo il percorso che dalla via Appia conduceva in Vaticano.
Rimangono suoi studi per la sistemazione di porta S. Sebastiano (Uffizi, A 1014, 1087 e forse 1269, 2150), per un arco, "di verzura", presso il Settizonio (Uffizi, A 1014), per altri presso la piazza S. Marco (A 1269v, 1722, 4159), per uno a Campo di Fiori, per uno all'ingresso di Borgo (A 1155, 1672, 1671) e per altri (A 929, 1256, 4015) di diversa destinazione. La libertà del tema consentiva tentativi in direzioni insolite, anche oltre le indicazioni degli antichi, ed è caratteristico di questa fase matura del C., in un periodo di grande operosità, l'alternarsi di espressioni diverse e di diverso impegno, con la ripresa di vecchi temi ma anche con l'affiorare di nuove proposte, spesso importanti per i futuri sviluppi cinquecenteschi.
Ma notevole parte dell'attività del C. in questi anni è costituita da costruzioni militari, nelle quali, per la sua mentalità pratica e per la lunga esperienza tecnica, introduce perfezionamenti importanti per gli sviluppi futuri dell'arte fortificatoria. Così, nel 1537 Paolo III gli affidò il compito di rinnovare - specie in vista di possibili attacchi turchi - la vecchia cinta difensiva di Roma.
Tenendo abilmente conto delle caratteristiche orografiche dei luoghi e in parte utilizzando le antiche mura, il C. progettò un recinto, fortificato da diciotto bastioni, che doveva racchiudere tutta la città. I lavori, pure se il C. fu nominato architetto delle mura nel gennaio 1538, iniziarono, nell'autunno 1537 nel tratto verso il mare con il bastione Ardeatino (celebrato capolavoro d'arte militare per le sue innovazioni tecniche), con quello in località "La Colonnella" presso porta S. Paolo, e con quello di S. Saba, forse solo iniziato ed ora quasi scomparso. Ma, dopo la sconfitta delle forze cristiane ad Algeri (ottobre 1541), sospesi i lavori iniziati, ci si concentrò sulle fortificazioni dei Borghi e di Castel Sant'Angelo, per le quali il C. fornì un progetto, nel novembre 1542, iniziato ad eseguire ponendo la prima pietra del bastione di S. Spirito (18 apr. 1543) e lavorando sul Gianicolo. Parecchi schizzi e disegni dei C. (Uffizi, A 1015, 1016, 1017, 1019, ecc.) illustrano le sue idee, in gran parte non attuate, malgrado egli sia rimasto in carica fino alla morte, pur assistito da un gruppo di consulenti militari ed architetti, tra i quali, dal 1545, anche Michelangelo. In seguito a contrasti con questi ultimi, rimase incompleta anche la porta di S. Spirito che, con il suo fronte concavo, come nella Zecca in Banchi, ed un partito liberamente desunto dal tipo degli archi trionfali ma qualificato nei particolari da modi semplici e severi, mostra il singolare carattere del maturo ed energico "classicismo", assai lontano da concreti modelli antichi, della tarda architettura sangallesca.Organici lavori di fortificazione e di trasformazione urbana comportavano anche i progetti del C. per Castro, su incarico di Pier Luigi Farnese, figlio di Paolo III e duca di Castro e Nepi, nei quali egli dovette essere impegnato dal 1538 c. all'inizio degli anni '40, lasciando poi la sorveglianza dei lavori prima ad Aristotele (Vasari, VI, p. 446) poi a Francesco da Sangallo. Sebbene, come è noto, Castro sia stata totalmente distrutta nel 1649, una serie di disegni sangalleschi e frammentarie esplorazioni archeologiche consentono, almeno in certa misura, la ricostruzione dei progetti del C. e del suo committente.
Il vecchio insediamento medioevale era ristrutturato mediante la revisione del sistema di fortificazioni, la formazione di una piazza principale con nuovi edifici pubblici, la costruzione di una nuova chiesa di S. Francesco, marginali ritocchi al vecchio tessuto e interventi sporadici nelle abitazioni private dei cortigiani e familiari del duca. Oltre alle fortificazioni - concentrate nella zona di accesso alla città e studiate in diverse soluzioni (Uffizi, A 754, 813v, 751, 813, 752; 750) che tenevano conto di esigenze militari e di rappresentanza -, di particolare interesse ed impegno doveva essere la piazza principale. Non senza l'ambizione di rifare un foro alla maniera degli antichi e occupando un rettangolo con i lati in rapporto di circa 1 a 3, questa era organizzata ponendo su di un lato lungo un grande palazzo con un portico di 13 arcate ("Ostaria" di rappresentanza per gli ospiti del duca e palazzo ducale) e, a fondale di chi proveniva da Roma, sul lato corto opposto a quello occupato dal vecchio palazzo del podestà, il palazzo della Zecca, con un fronte (Uffizi, A 189, firmato) simile, ma con significative varianti, a quello della Zecca di Roma. Le preesistenti costruzioni sul lato lungo fronteggiante il palazzo porticato erano probabilmente solo aggiornate con ritocchi e nuove fronti cinquecentesche.
Il progetto, forse definitivo, dell'"Ostaria" (Uffizi, A 299 con il piano terreno, A 742 col piano superiore) registra un parziale cambiamento di programma. Questo, tuttavia, fu attuato solo in parte anche con consistenti modifiche, e i lavori probabilmente s'interruppero dopo la partenza (1545) di Pier Luigi Farnese per Parma.
Nel frattempo, dal 1538 c., su incarico dello stesso duca, il C. era impegnato a Nepi.
Per le fortificazioni (Uffizi, A 955, 956, 1787. ecc.), a protezione dell'ingresso della città, ridisegnò la porta con tre fornici a grandi bozze bugnate, mentre la vecchia rocca quattrocentesca era inglobata in un nuovo fronte bastionato. Il tracciato viario medievale fu in seguito revisionato con l'apertura di una "strada nuova", e la realizzazione di una piazza dominata da un grande palazzo (ora del comune) forse iniziato dal Cordini (Giovannoni, 1959, p. 312). Questi avrebbe fornito progetti per vari palazzi, ma l'intervento più interessante doveva essere (1539-40 c.) la chiesa di S. Tolomeo, eretta in sostituzione di una vecchia chiesa extraurbana demolita nel 1539 per ragioni militari, conseguenti al nuovo sistema difensivo, e destinata a custodire le reliquie dei martiri locali. In rapporto a questa destinazione a martyrium e traendo spunto da organismi del genere (S. Maria del Fiore e il santuario di Loreto) e non senza ricordi di S. Pietro (in cui era contemporaneamente impegnato), il C. studiò (1538 c.?) un impianto costituito da un grande vano ottagonale a cupola, sovrastante una cripta, con deambulatorio ottagonale circondante una cappella circolare, e preceduto da tre navate con cappelle e porticato d'ingresso, forse introdotto in rapporto con una piazza non attuata o scomparsa (Miarelli Mariani, 1971). Vari schizzi e progetti (Uffizi, A 957, 865, 866), con varianti dello stesso tema, si concludono in una proposta (A 551) interessantissima, nella quale i singoli spazi, concepiti come entità nettamente individuate e tendenzialmente autonome, sono definiti secondo variate matrici geometriche (ottagono, cerchio, esagono, decagono, quadrato, rettangolo) e sono accostati tra loro con consumata abilità e con massima attenzione alle necessità strutturali, funzionali e rappresentative ma con scarsa coesione sintattica e spaziale. Iniziato a costruire nella parte terminale con l'ottagono e la cripta (ancora esistenti) anche per diretto interessamento di Paolo III (che visitò Nepi e il 6 genn. 1542 concesse indulgenze per la raccolta di fondi per la costruzione), l'edificio rimase interrotto (forse 1544 c.) e fu ripreso con altra forma alla fine del secolo.
Il 3 marzo 1538 si discusse nel Consiglio comunale di Viterbo se il duomo di S. Lorenzo dovesse essere completato secondo il modo proposto dal C. (Giovannoni, 1959, p. 306). Anche se nulla sembra sia stato attuato, il foglio degli Uffizi, A 886, contiene schizzi del maestro su questo tema.
Ma in questi anni l'impegno principale del C., oltre che su palazzo Farnese, era concentrato su S. Pietro, la cui costruzione, morto il Peruzzi (1536), egli dirigeva incontrastato.
Per volontà di Paolo III, nel 1538 ripresero i lavori con la volontà di concluderli e subito il C. progettò e fece costruire un muro provvisorio (Uffizi, A 121) di separazione tra le navate ancora in piedi della vecchia basilica e il cantiere della nuova. Nel 1539 fu incaricato di approntare un grande modello in legno (conservato nel Museo della Fabbrica di S. Pietro), la cui esecuzione da parte del Labacco durò sette anni e costò una somma considerevole. Definendo compiutamente un nuovo progetto, il C. modificava fortemente l'idea bramantesca, fino allora sostanzialmente rispettata, e, contraddicendone in larga misura la concezione volumetrica e spaziale, apriva la strada alla definitiva soluzione di Michelangelo. Il problema della scelta tra impianto centrico o longitudinale era risolto, con ingegnoso compromesso, giustapponendo al corpo centrico con la cupola un grande avancorpo porticato, fiancheggiato da campanili e formante facciata con loggia delle benedizioni. Più che per ragioni pratiche per un personale gusto spaziale, all'interno una serie di modifiche al corpo centrico già in avanzato stato di esecuzione (innalzamento del pavimento di 14 e 112 palmi con conseguente modifica delle proporzioni degli spazi e soppressione dei piedistalli dell'ordine bramantesco; chiusura delle nicchie laterali dei piloni della cupola; isolamento dei deambulatori perimetrali dalle adiacenti braccia absidate della croce; ecc.) tendono a limitare fortemente gli effetti di complessa articolazione e dilatazione spaziale dell'idea di Bramante. All'esterno, in modo analogo, il piramidale impianto volumetrico di quest'ultimo - pensato come graduale e articolata ascesa di volumi diversi dai bassi deambulatori periferici alla grande cupola centrale - è decisamente contraddetto e semplificato innalzando i deambulatori in modo da ottenere lungo tutto il perimetro una fronte di altezza costante, adeguata alle dimensioni dell'insieme. E, per essere visibile, la cupola doveva essere fortemente innalzata su un doppio tamburo. Ma, anche per non demolire l'esterno del deambulatorio sud già costruito, il C. non rinuncia ad esprimere analiticamente all'esterno l'articolazione dell'interno. Ne consegue un insieme volumetricamente assai più compatto ed elementare di quello bramantesco-raffaellesco, ma assai trito nell'eterogenea disparità dei suoi molteplici elementi che danno all'insieme un aspetto complicato e macchinoso simile alla maniera "tedesca" secondo l'opinione di Michelangelo riportata dal Vasari (V, p. 467; VII, pp. 218 s.). Del resto, una strana adesione ad un gusto in qualche modo "gotico" si ha pure nel coronamento che egli nel 1545 aggiunse all'antico campanile medievale presso l'atrio della vecchia basilica. Approvato il progetto del C., i lavori procedettero molto intensamente nei primi anni del quarto decennio, portando piuttosto avanti la costruzione (così come appare con chiarezza, ad esempio in un affresco del Vasari nel palazzo della Cancelleria, del 1546 c.).
Del tempo di Paolo III (1538 c.?) è pure l'intervento sulla chiesa di S. Spirito in Sassia, la cui facciata - pur riprendendo con nuova maturità lo schema a due ordini sovrapposti già affermatosi dal Quattrocento - costituisce un prototipo fondamentale per le facciate delle chiese della Controriforma.
All'inizio della primavera del 1538, iniziarono con un organico piano del C. (Vasari, V, pp. 465 s.; v. anche p. 624, Vita di Perin del Vaga) i lavori di ristrutturazione della zona sudest dei palazzi vaticani, con funzioni di rappresentanza e di riunione, con il rifacimento dell'aula vecchia, ora "Sala Regia", e l'allargamento della sua scala di accesso dall'esterno a spese della vecchia cappella di S. Nicola, affrescata dal Beato Angelico, e con conseguente costruzione di una nuova cappella, detta Paolina.
La potente caratterizzazione espressiva della Sala Regia, oggetto di diversi schizzi e disegni del C. (Uffizi, A 712-14, 788, 1006, 1234, 1322), non è affidata ad ordini architettonici ma alle proporzioni, all'effetto unificante della decorazione della volta a lacunari e delle pareti, alla luce abbondante e radente delle finestre "termali", alla vigorosa definizione dei particolari. Nello stesso modo la cappella Paolina (pervenutaci con modifiche nelle decorazioni dopo un incendio del 1545 ed oggetto di studio nei disegni degli Uffizi, A 1091, 1125, 1258) ha un semplice impianto rettangolare, concluso da un coro pure rettangolare, lievemente articolato dall'inserzione di uno spazio quadrato al centro. Ma lo stilobate continuo delle paraste composite che sottolineano l'articolazione delle pareti, l'unitaria volta a padiglione lunettato che copre l'intero spazio, la concentrazione della luce, mediante due ampie finestre "termali", sul vano quadrato centrale mostrano la volontà di una nuova, ed ambigua, unificazione spaziale, ricercata attraverso mezzi diversi da quelli tradizionali, che preannuncia i successivi sviluppi dell'architettura del '500. I lavori - che comprendono anche la ristrutturazione del cortile del Maresciallo, con funzione di corte d'onore, effettuata riutilizzando elementi di un porticato del tempo di Paolo Il - procedettero con grande rapidità: nel novembre del 1538 era già agibile la cappella Paolina, consacrata il 25 genn. 1540 e poi affrescata (dal 1545) da Michelangelo; nel dicembre 1542 ebbe inizio la decorazione della volta della Sala Regia, completata verso il 1548.Circa agli stessi anni (dal 1539-40 in poi) appartiene forse un progetto di ristrutturazione di una sala preesistente, forse presso il Belvedere, al fine di una sua utilizzazione per le udienze della Sacra Rota (Uffizi, A 715, 787; cfr. Giovannoni, 1959, p. 172).Sempre in Vaticano, dalla primavera del 1541 alla morte, il C. continuò i lavori (già iniziati dal Peruzzi dopo un crollo nel 1531)di ricostruzione e completamento (Uffizi, A 303, 1408)del "corridore" est del cortile del Belvedere, introducendo notevoli modifiche all'originario progetto di Bramante.
Intanto Pier Luigi Farnese, conquistata (5 giugno 1540)Perugia per conto di Paolo III, subito (26 giugno) vi condusse il C. e vari uomini d'arme ed esperti per costruirvi una nuova fortezza anche, e soprattutto - come a Firenze -, in funzione offensiva nei riguardi della città.
Oggetto di numerosi studi preparatori e di varie proposte progettuali (Uffizi, A 1028, 1899, 1021, 1030, 1354, 1027, 1510, ecc.), la Rocca Paolina si sovrapponeva per volontà del papa, al quartiere con le case dei Baglioni, antichi signori di Perugia, ed era costituita da un nucleo principale emergente, rivolto verso la città, e da un'appendice "a tenaglia" (o a "coda di nibbio"), con porta di soccorso esterno, collegati da un lunghissimo ed altissimo corridoio forato in basso da tre passaggi. Ultimate (nel settembre 1540) le demolizioni, l'8 nov. 1540 fu posta la prima pietra e nel 1543 (epigrafe di Paolo III sulla porta bugnata verso la città) i lavori, curati da Aristotele da Sangallo, poi continuati da Galeazzo Alessi, erano in avanzato stato di esecuzione. La Rocca Paolina, quasi interamente demolita dopo il 1860 come simbolo dell'oppressione pontificia, munita per ingegnose soluzioni fortificatorie (casematte, opere di contromina, ecc.), costituiva con il suo impianto un celebrato capolavoro di architettura militare.
Impostati i più urgenti problemi edilizi di carattere pubblico - S. Pietro, le fortificazioni di Roma e dello Stato pontificio, i palazzi vaticani - Paolo III si preoccupava di riprendere i lavori (sostanzialmente interrotti forse da prima del Sacco del '27 fino al 1541) di costruzione del palazzo di famiglia, ormai assegnato, morto il figlio Ranuccio nel 1529, al solo figlio Pier Luigi, dal 1537 gonfaloniere della Chiesa e duca di Castro. L'edificio è trasformato facendolo divenire, scrive il Vasari, "non più da cardinale, ma da pontefice", pure se in realtà per il figlio, mediante un nuovo progetto (non pervenutoci; dis. Uffizi, A 298 proposta non definitiva ma abbastanza simile al realizzato) che s'inizia ad attuare (1541 ss.) modificando il già costruito e coinvolgendo nell'intervento il tessuto urbano circostante (via dei Baullari, Monserrato, piazza Farnese). Parecchi studi e disegni (Uffizi, A 298, 1260, 952, 998, 918, 1148-49, 1194, 1781, 983, 734-35, 1008-09 ecc.) testimoniano dell'impegno, tra il 1540 circa e la morte, del C. in quest'opera, tuttavia da lui lasciata incompiuta (e come si sa continuata da Michelangelo e da altri) ma assai significativa della sua maniera.
Fra il 1540 e il 1541 il C. fu pure occupato in alcuni lavori nel duomo di Orvieto: tra gli altri, parte del pavimento, rinforzo delle capriate, completamento della facciata, sulla quale, in forme gotiche, egli era già intervenuto nel 1532-33. Il 13 febbr. 1541, dal capitolo di S. Pietro, gli fu data in enfiteusi perpetua (confermata il 13 febbraio dell'anno dopo) una casa non finita in via Giulia (cfr. Giovannoni, 1959, pp. 314 ss.; Frommel, 1973, pp. 292 ss.) sul luogo dell'attuale palazzo Sacchetti.
Una lapide in situ, con la data del 1543, attesta la proprietà del C. che dovette essere impegnato nella progettazione tra il 1541, o dopo, e il 1545 (quando, "lo dí di santo jovanni", è datato il disegno degli Uffizi, A 991). Vari studi ed alternative progettuali (Uffizi, A 990, 991, 984rv, 985, 1442) e disegni di particolari (Uffizi, A 981, ecc.) riguardano questa casa trasformata successivamente in larga misura.
Nel 1541-42, insieme con altri artisti e con il fratello Giov. Battista, il C. fondò la Congregazione dei Virtuosi al Pantheon in seguito presiedendola (C. L. Visconti, Sulla istituzione della insigne ... Congregazione ... dei Virtuosi del Pantheon, Roma 1869, p. 16).
Tra il 1543 e il 1545, su suo progetto. si costruirono nuovi bastioni (Uffizi, A 811, 812) a difesa del castello Orsini di Pitigliano (Grosseto), dove il C. intervenne anche per la chiesa di S. Francesco (Uffizi, A 811v).
Nell'ultimo periodo di attività, tra il 1540 c. e il 1546, è da porre un interessantissimo progetto di villa sul Monte Amiata (al Vivo?) per Marcello Cervini, dal 1539 card. di Santa Croce, insigne umanista, e futuro papa Marcello II.
Preceduto da studi non definitivi (Uffizi, A 1308, 134), il progetto, accuratamente disegnato in pulito nel piano terreno (Uffizi, A 828) e nel piano superiore (A 829), mostra un impianto ad H, con portici tra avancorpi e cortile rettangolare al centro, che - come indicano anche le scritte, specie quelle riferite ad un piccolo complesso termale fedelmente dedotto dalle indicazioni di Vitruvio (lib. V, X) - vuol essere una colta esercitazione sul tema della casa o villa degli antichi, probabilmente secondo un preciso programma indicato dal Cervini. Una notevole cura nell'organizzazione funzionale delle parti e nelle proporzioni dei singoli ambienti caratterizza, insieme ai riferimenti vitruviani e ad assimilati ricordi di precedenti ville rinascimentali (Belvedere di Innocenzo VIII in Vaticano, villa di Poggio a Caiano, villa di Poggioreale, Farnesina), questo importante progetto, assai significativo degli interessi e dei modi dell'ultima produzione del Cordini.
Probabilmente dello stesso periodo è il progetto della villa di Paolo Ferretti di Ancona. Alcuni studi (Uffizi, A 721, 722r) mostrano un impianto ad H analogo a quello di villa Cervini, ma altri (A 722v, 976) presentano un impianto quadrato con una "sala" ottagonale al centro che prefigura schemi successivi, riportati dal Serlio (Tutte l'opere d'Architettura, Venetia 1619, lib. VII, cc. 5, 15, 17, ecc.) e sviluppati dal Palladio.
Nel dicembre 1545, a seguito di una controversia tra Terni e Rieti relativa alla regolamentazione dell'acqua della cascata delle Marmore che inondava il territorio reatino, Paolo III incaricò il C., che era esperto di problemi idraulici e già nel settembre 1538 aveva avuto l'incarico di sistemazioni idrauliche nel territorio di Trevi (cfr. Giovannoni, 1959, p. 70), di risolvere al più presto il problema. Stabilitosi a Piediluco per organizzare i lavori, con grande quantità di mezzi e gran numero di operai, e spesso spostandosi a Rieti e a Terni, il C., probabilmente assistito da Bartolomeo de' Rocchi, previde (Uffizi, A 4209) un nuovo emissario (fossa Paolina) in aggiunta ai due esistenti e l'apertura di un nuovo bacino a monte per rallentare il flusso della cascata e immagazzinare le acque in piena. Paolo III, fortemente interessato all'opera come mezzo di pacificazione tra Reatini e Ternani (questi ultimi, tuttavia, insoddisfatti e ostili al progetto), il 28 sett. 1546 visitò solennemente, con il suo seguito, il luogo e per l'occasione fu coniata una medaglia con il Velino che precipita nella Nera ed esalta la concordia tra le due popolazioni.
Ma domenica 3 ag. 1546, sembra per una febbre contratta sul lavoro, il C. era morto a Terni. "Fu condotto a Roma (Vasari, p. 472), con pompa grandissima portato alla sepoltura, accompagnandolo tutti gli artefici del disegno e molti altri: e dopo fu dai soprastanti di S. Piero fatto mettere il corpo suo in un diposito vicino alla cappella di papa Sisto [IV], in S. Pietro, con un'epigrafe posta (3 ottobre) dalla moglie (uxor moestissima, che tuttavia si risposò quasi subito e poi tentò di defraudare dell'eredità il figlio Orazio). Più tardi fu seppellito in S. Giovanni dei Fiorentini.
Come abbiamo visto, il C. malgrado la parentela con i Giamberti, proveniva da una classe sociale non molto elevata; iniziando come carpentiere, imprenditore, disegnatore di architettura, era privo di una sistematica preparazione culturale e giunse, soprattutto attraverso la pratica di cantiere, relativamente tardi ad una vera e propria, indipendente attività di architetto progettista. Con la volontà, la determinazione, la capacità organizzativa, l'intensissimo lavoro, sfruttando senza scrupoli tutte le occasioni, non solo raggiunse una sempre più elevata posizione economica, e quindi sociale, ma anche si formò via via, faticosamente, una pur frammentaria cultura, acquistò conoscenze non solamente tecniche e pervenne pure ad una sempre più vasta notorietà come architetto. La sua attività non si concentrò sulla sola architettura in senso stretto e non solo sul progetto; si esplicò, oltre che nell'abile ricerca di incarichi e di pur modeste consulenze professionali, anche nel controllo dell'esecuzione, nelle forniture di materiali (per esempio a S. Pietro), nell'associazione con esecutori e nell'assunzione di appalti, senza rifiutare nessuna occasione d'intervento e di guadagno. La grande personale capacità produttiva era moltiplicata - sviluppando e rendendo sistematica una prassi iniziata a Roma da Bramante e specialmente dall'ultimo Raffaello - mediante l'organizzazione di un numero assai notevole di collaboratori che egli duttilmente utilizzava, con compiti subalterni o complementari ma essenziali, secondo le capacità e specializzazioni e che dirigeva e controllava con sospettoso rigore e con spietata fermezza. L'utilizzazione di quella che il Vasari chiama "setta" o "banda" sangallesca - che anche dopo la morte del C. mantenne per qualche tempo, specie in Vaticano, posizioni di potere - permetteva l'accettazione e l'espletazione contemporanea di un numero spesso notevolissimo di incarichi che, con pratica mentalità imprenditoriale, venivano soddisfatti graduando ed estendendo l'impegno a seconda dell'interesse e dell'importanza del lavoro e del committente, delle possibilità di controllo, dell'entità del guadagno. Ciò spiega il grandissimo numero di opere del C.: molte anche solo oggetto di progetti sommari o di studi affrettati, parecchie trascurate o travisate nell'esecuzione; e ciò spiega, in particolare, il loro assai diverso livello qualitativo ed impedisce, talvolta, di individuare con sicurezza l'intervento personale, "autografo", diretto fino ai particolari, del maestro. In ogni caso - quando non si tratti di collaborazioni con maestri o con colleghi - la personalità del C. è nettamente prevalente rispetto a quella dei suoi aiuti: il fratello Giovanni Battista detto il Gobbo, fin dall'inizio primo aiuto del C. - nei rilievi preliminari, nella messa in pulito dei disegni e nel controllo dell'esecuzione - e pur capace di attività autonome; il fratello Francesco; i cugini Giamberti: Francesco (figlio dello zio Giuliano) anche scultore, per cui il C. sembrava avere speciale considerazione, Giovan Francesco e Bastiano detto Aristotele, anche pittore, prospettico e scenografo (figli di Maddalena Giamberti); il nipote Nardo de' Rossi, anche appaltatore; e ancora: il vecchio Pietro Rosselli, architetto capace di autonoma attività, già legato a Giuliano da Sangallo, a Michelangelo, ad Andrea Sansovino; Giovanni Mangone, pure architetto anche autonomo, così come Nanni di Baccio Bigio, anche scultore; Antonio Labacco; Bartolomeo de' Rocchi, topografo ed esperto di fortificazioni; Bartolomeo Baronino, anche impresario; e molti altri.
Il quadro complessivo dell'attività e degli interessi del C. - oltre e più che dalle fonti scritte e dalle opere costruite - risulta efficacemente dal notevole numero di disegni, autografi o di suoi collaboratori, in gran parte conservati nel Gabinetto degli Uffizi di Firenze (il cui consistente nucleo iniziale, successivamente accresciuto, fu ceduto nel 1574 dal nipote Antonio, figlio di Orazio, al granduca Ferdinando de' Medici). In questi disegni - che lo stesso C. sembra abbia cominciato ad ordinare, a titolare e a mettere talvolta in pulito, forse in vista (Giovannoni, 1959, p. 9) della pubblicazione di un trattato di architettura, del genere di quelli del Serlio o di Palladio - è spesso documentato l'iter progettuale di alcune sue opere, talvolta con significative annotazioni, e di interventi scomparsi o non attuati, non altrimenti conosciuti. In tali disegni inoltre non è solo illustrata l'attività strettamente architettonica ed urbanistica (anche come consulente tecnico della magistratura dei Curatores viarum dal tempo di Leone X fino, e specialmente, al tempo di Paolo III), ma pure quella svolta nel campo della tecnica della costruzione e dell'ingegneria meccanica (con molti disegni di congegni e macchine; cfr. Giovannoni, 1959, pp. 71 ss.) o nel campo dell'idraulica (p. es., Uffizi, A 797, 880, 1217). Né mancano sporadiche annotazioni scientifiche (ad es., A 826, 835, 1318, 1463) o accenni autobiografici o, perfino, rarissimi ingenui saggi poetici (A 173, 947) o riferimenti ad antichi scrittori, come - oltre a Vitruvio-Frontino, Plinio, Columella, Vegezio. Un grandissimo numero di disegni - personalmente schizzati in rapidi ricordi di viaggio o misurati accuratamente non di rado da qualcuno dei collaboratori - riguarda edifici antichi, tardoantichi ed anche, talvolta, medievali, non soltanto di Roma ma anche di molte altre città specialmente dell'Italia centrale (cfr. A. Bartoli, I monumenti di Roma nei disegni degli Uffizi, Roma 1914; Giovannoni, 1959, pp. 18 ss. e passim). Ma nel grande corpus, ancora non tutto edito, dei disegni del C. non mancano pure rappresentazioni di edifici di Milano, Genova, Verona, Padova, Pola, ecc., in certi casi desunte da precedenti disegni (di Giuliano da Sangallo e forse di Bramante, ma anche di Francesco di Giorgio e di altri), raccolte a formare un ampio repertorio di exempla significativi che giungono a comprendere anche qualche edificio contemporaneo (come, di Michelangelo, l'A 790 con il primo progetto definitivo per la facciata di S. Lorenzo o gli A 816 e 817 con la scala della Biblioteca Laurenziana). Una serie di altri fogli registra antiche epigrafi (A 2080-2107), riallacciandosi anche alla personale passione di collezionista di opere d'arte e di frammenti architettonici antichi (che egli conservava nella sua casa presso S. Rocco e voleva esporre architettonicamente nel cortile della sua casa di via Giulia). Altri disegni del C. costituiscono esercitazioni teoriche (come la ricostruzione di un tempio dorico ottastilo, nell'A 1271, firmato o, forse, di un grande palazzo, nell'A 999) o tentativi di restituzione grafica di celebri monumenti (come il Mausoleo di Alicarnasso o la tomba di Porsenna) descritti da antichi scrittori come Plinio o Vitruvio.
In una serie di disegni di restituzione di monumenti antichi, e specialmente in rilievi di particolari architettonici - oltre che in alcuni progetti -, compaiono annotazioni autografe con riferimenti diretti o indiretti a Vitruvio (ad es., A 1042, 1211, 1249, 2056 e anche A 1235, 1265, 1461v, 1238, 1249, 1149, 1161, 1188, 1211; cfr. Giovannonì, 1959, pp. 23 ss.) del quale, datata 1520, il C. possedeva l'edizione del Giocondo del 1513 (Giovannoni, 1959, p. 84). Questi disegni si collegano con ogni probabilità al già citato abbozzo di introduzione (1531, poi corretto in 1539) ad una progettata edizione vitruviana. In esso, constatata la persistente incomprensione dell'antico testo ed individuatene le molteplici cause, si propone di chiarirlo, anche ricostituendo l'insieme non pervenutoci delle illustrazioni, mediante il confronto delle indicazioni vitruviane "colli edifitii antichi fatti dipoi a lui; perché ci persuademo che sendo fatti di poi a lui et in tempo della felicità dello imperio, el pare sieno fatti secondo la costituitione sua". Avendo "le notitie delli edifitii antichi di Roma e fuora di Roma e ... anchora qualche parte in le lettere latine e volgari e ... longa sperientia in la arte" come ce l'ha lui, che ha studiato "sotto Bramante architetto... dipoi in compagnia di Rafaelo da Urbino" e poi di Baldassarre Peruzzi, sarà possibile concludere vantaggiosamente una corretta interpretazione di Vitruvio. La ripetuta menzione di "amici nostri" (anche esperti di lettere greche e latine, "quali non ci sono mai manchati alle terminazione delle cose oscure" del testo e che hanno probabilmente suggerito la necessità, affermata dal C., di una revisione filologica dei libri di Vitruvio, poiché alcuni volendo "corregerli... in molti logi, come aperto si dimostra, li hanno scorretti e del tutto ruinati") indica la consuetudine del C. con dotti umanisti partecipi di accentuati interessi vitruviani e la consapevolezza delle necessità di un impegno comune di artisti e di letterati. L'assunto del C. è sostanziato dall'ambizione di dedurre dallo studio congiunto dei monumenti romani e di Vitruvio una metodologia architettonica più salda e pragmatica dei generali e talvolta astratti principi architettonici dell'umanesimo. Di fatto il suo programma coincide con la pratica della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon e si collega direttamente a quello dell'Accademia della Virtù o vitruviana (presieduta da Marcello Cervini, suo committente, con F. Maffei, il Filandro, il giovane Vignola e altri) così come esso è esposto (1543) da Claudio Tolomei (congiungere "i precetti degli scrittori cogli esempi e avvertimenti che si traggono da le opere": cfr. P. Barocchi, Scritti d'arte del Cinquecento, Napoli 1977, III, pp. 3037 ss., 3587), oltre che ai tentativi di traduzioni e illustrazioni di Vitruvio compiuti dal fratello Battista. In ogni caso, tali analitiche ricerche vitruviane del C. - pure se conducono a solo parziali esiti nelle concrete sue architetture - costituiscono una tappa importante (anche per Palladio, più volte a Roma tra il 1541 e il 1547) nella storia dei rapporti tra la teoria architettonica rinascimentale e Vitruvio. Del resto, la "costante preoccupazione di stabilire regole e diagrammi" (Giovannoni, 1959, p. 23), verificabile in questi studi, mostra un atteggiamento normativo e classificatorio che accentuato negli anni '30 e '40 e spiegabile con il profondo cambiamento storico successivo al sacco di Roma e all'affermazione della Riforma - aveva lasciato tracce nel già citato memoriale su S. Pietro inviato a Leone X dopo la morte di Raffaello (scritto in minuta nel foglio Uffizi, A 33; pubbl. più volte - dal Milanesi, dal Geymüller, ecc.; cfr. Giovannoni 1959, pp. 132 s.), in alcuni fogli agli Uffizi (ad es. nell'A 168 con nota sulle diverse forme di cupole, al lato di una pianta per S. Maria di Monserrato; cfr. Giovannoni, p. 228, che trovano parziale corrispondenza grafica nell'A 878 con studi per la cupola del duomo di Foligno; negli A 306 e 874, dove il C. ha addirittura la pretesa di apportare una "corretione" al Pantheon, ecc.) e, ad esempio, nella ricordata lettera del 26 apr. 1526 con giudizi sulla chiesa della Steccata a Parma (le finestre nei nicchioni sono "eretici in architettura"; "le tre porte siano aperte perché così vuole l'ordine dell'edifitio"; ecc.). Evidenti riferimenti a Vitruvio, oltre che già nell'atrio di palazzo Farnese (G. S. Hamberg, G. B. da Sangallo ..., in Palladio, VIII [1958], pp. 15-21), sono poi riscontrabili specialmente in una serie di progetti successivi al 1527 (pal. Pucci ad Orvieto, casa Sangallo in via Giulia, villa Cervini, villa Ferretti, ecc.).
Dal comportamento del C. in diverse occasioni emergono con relativa chiarezza alcuni aspetti dominanti del suo carattere (oltre. al Vasari, cfr. specialmente Giovannoni, 1959, pp. 13 ss. e passim). Tipico esponente, soprattutto per ascendenza paterna, di una classe originariamente popolana ed artigianale che diviene "borghese" e tende a misurarsi anche per lusso di vita con gli elevati gruppi sociali vicini alla Curia pontificia, il C. è fin da giovanissimo estremamente intraprendente, tenace, attivista, risoluto e insieme duttile nei maneggi di corte e nei rapporti con i potenti. Ambizioso ed avido, animato da smodato desiderio, oltre e più che di notorietà, di guadagni e di beni materiali, è un invadente accaparratore di favori e di lavori. Di assai pochi scrupoli nei rapporti con i colleghi, manometterà opere di Bramante come il Belvedere, S. Pietro, Loreto; non esita, appena morto Raffaello - del quale pur si vanta di essere stato collaboratore -, a criticarne pubblicamente l'operato; sfrutta, probabilmente, la genialità del Peruzzi e le qualità dei suoi diversi collaboratori, si scontra con lo sdegnoso moralismo di Michelangelo, sbeffeggia e poi utilizza, perché favorito dal papa, Iacopo Meleghino. Con particolare durezza e quasi con orgoglioso disprezzo tratta - salvo il cugino Francesco Giamberti - gli aiuti e i parenti, a cominciare dal fratello Battista, e perfino la madre Smeralda (dopo il 1538 trasferitasi a Roma); mentre è generoso solo con la moglie Isabella "che non come moglie di uno architetto, ma a guisa di splendidissima signora faceva disordini e spese tali, che i guadagni, che per lui furono grandissimi, erano nulla alla pompa et alla superbia di lei" (Vasari, I ediz., 1550: cfr. Milanesi, in Vasari, V, p. 473 n. 3). Nel lavoro appare paziente ed organizzato nella ricerca, forse lento nell'ideazione, lontano da audaci e geniali improvvisazioni nella definizione progettuale, ma pieno di buon senso pratico, attento, diligente, ingegnoso e rapido nell'attuazione: qualità che i contemporanei, committenti e pure colleghi, ampiamente gli riconoscono. Il Vasari, pur impiegando espressioni di convenzionale ammirazione per la qualità di alcune sue opere, insiste ripetutamente sulla utilità e comodità dei suoi edifici e mette in rilievo specialmente le capacità tecniche dimostrate in difficili interventi costruttivi (nei palazzi vaticani, a S. Pietro, in S. Giovanni dei Fiorentini, a Loreto), nell'architettura militare, in opere, come il pozzo di S. Patrizio ad Orvieto, nelle quali risalta l'ingegnosità, l'"industria", l'"artifizio" del Sangallo, più di tutti "i moderni... sicuro e... accorto in congiugnere mura". Più acutamente il Cellini, pur dichiarandolo "valentissimo uomo", afferma che "per non essere stato né scultore, né pittore, anzi maestro di legname solamente, però non si vidde mai di lui nelle sue opere di architettura una certa nobile virtù...". Questi giudizi, sostanzialmente validi, hanno messo l'accento sui motivi dominanti, fino ad oggi, dell'interpretazione critica dell'opera del C. nel suo complesso. Specialmente la chiave interpretativa vasariana, ampiamente confermata dai documenti, dai disegni e dalle opere, ha avuto, soprattutto ad opera del Giovannoni (specie nella monografia, 1959), uno sviluppo particolarmente ampio ed articolato che costituisce la conclusione degli studi precedenti sull'argomento e la base delle interpretazioni successive.
Ancora incerta nelle diverse - e talvolta troppo sommarie - esegesi critiche generali è l'articolazione dell'attività del C. in fasi differenziate nel tempo per modi linguistici e significati; articolazione obiettivamente ostacolata, oltre che da difficoltà nella sicura e corretta cronologia di tutte le opere, dalla discontinuità d'impegno e dalla presenza di ritorni, anche in epoca tarda, a temi già esperimentati. Il Frommel (1973) abbozza forse per primo una più precisa articolazione nel tempo dell'opera del C. distinguendo, dopo gli iniziali incerti tentativi, una prima fase che giunge intorno al 1520 (nella quale il C., non senza spunti da Giuliano, si avvicina a suo modo alla maniera di Bramante e di Raffaello), una seconda fase che va dal 1520 c. al 1525-30 (nella quale, pur rielaborando con un particolare gusto per la monumentalità motivi bramantesco-raffaelleschi, egli accoglie stimoli ad aperture soggettive e a libertà antinormative provenienti da Giulio Romano e dal Peruzzi) ed una terza fase, successiva al sacco di Roma del 1527 (nella quale, attenuata la forza inventiva, per mancanza di stimoli e di concorrenza, in un lavoro spesso di routine, oscilla tra libertà poco convincenti, asciutta semplicità e "un vitruvianesimo concentrato sul particolare"). L'articolazione della sua produzione, così come è stata delineata dal Frommel nelle sue linee generali, corrisponde sostanzialmente ai fatti. Ci sembra tuttavia che l'ultima fase di attività - dai primi anni '30 e specialmente al tempo del pontificato di Paolo III - comprenda opere di altissima qualità; come, ad esempio, i progetti per i mausolei Medicei a Montecassino e alla Minerva, la Fortezza da Basso di Firenze, il secondo palazzo Farnese, la porta S. Spirito, i progetti per Castro e per S. Tolomeo a Nepi, specialmente la sala Regia e la cappella Paolina, e ancora la Rocca di Perugia, i progetti per la villa Cervini e la villa Ferretti. Malgrado incertezze e cali di tensione - come specialmente nel faticoso ma pure storicamente innovativo progetto per S. Pietro - e pur con ritorni o riprese di temi già sperimentati, in questa tarda produzione un proprio e ben individuabile gusto personale si esplica in un maturo e vigoroso linguaggio "paraclassico" (Bonelli, 1960). Attraverso l'austera semplificazione delle forme, intese come strutture murarie massicce e pesanti ma cariche di concentrata energia plastica, e la ritmica schematicità dei partiti e una specie di grandioso irrigidimento di spazi geometricamente definiti e in se stessi conclusi, esso esprime con "retorica" chiarezza ma anche con "borghese" buon senso una dignitas "civile" in qualche modo prosaica (Ackerman, Lotz) che, attraverso la realtà della firmitas, si sostanzia - come nell'architettura romana antica - di utilitas e di decor al servizio e come rispecchiamento dei fini sociali e politici di un mondo - quello ormai dell'emergente Controriforma - in travagliata ma energica trasformazione e insieme progressivamente chiuso in disperata difesa. Con un atteggiamento parallelo a quello - psicologico, politico, religioso - che, dopo il 1537 e specialmente dopo il 1540-42, caratterizza la Chiesa romana e il suo capo Paolo III al quale egli è legato per circa un trentennio, il Sangallo, contro le posizioni eversive e soggettive degli "eretici" in architettura, si propone in questi anni, con la sua opera, come il prestigioso esponente di una "ortodossia" - basata sull'antichità, su Vitruvio, su consolidati principi - autorevole perché frutto di una tradizione e di una pratica che avrebbe avuto origine in Bramante, ma insieme duttilmente capace di proporre temi e tipologie adatti a soddisfare, pur rimanendo nella "norma" comune, le esigenze più diverse e di dare alla scena urbana un volto omogeneo di civile dignità. Per questo l'incidenza storica dell'opera del C. è di grande importanza. Non ne è immune Palladio e, a suo modo, malgrado l'apparenza dell'assai diverso linguaggio, lo stesso Michelangelo e, specialmente, il Vignola e, con alterne vicende, essa si prolunga fino al sec. XIX ed oltre.
Fonti e Bibl: Si veda la fondamentale monografia di G. Giovannoni (A. da Sangallo il Giovane, I-II, Roma 1959), pubblicata postuma - seppur non completamente rifinita e con uno sviluppo non del tutto organico e talvolta parziale - con appendice di docc. (pp. 384-404), regesto dei disegni originali citati (pp. 407-56) e ampia bibl. Ma vedi anche, per una bibl. generale, U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXIX, Leipzig 1935, pp. 402-04 (s. v. Sangallo, Antonio da); Encicl. Ital., XXX, Roma 1936, p. 649 (s. v. Sangallo, Antonio, il Giovane); Encicl. universale d. arte, XII, Venezia-Roma 1964, coll. 170-73; C. L. Anzivino-P. Sanpaolesi, L. Barozziil Vignola e gli architetti ital. del Cinquecento. Repert. bibliogr., Vignola 1974, pp. 169-74. Fra le opere di carattere generale sull'architettura del Rinascimento, si citano qui solo L. Benevolo, Storia d. architettura del Rinascimento, Bari 1968, pp. 463 ss.; e L. H. Heydenreich-W. Lotz, Architecture in Italy 1400-1600, Harmondsworth 1974, ad Ind., entrambi con ampia bibl. precedente. Fonti documentarie e iconografiche, monografie e contributi generali (si tralascia la citazione delle guide): fra Mariano da Firenze, Itinerarium Urbis [Romae 1518], a cura di E. Bulletti, Roma 1931, ad Ind.;P. De Grassis, Il diario di Leone X…, a cura di P. Delicati-M. Armellini, Roma 1884, ad Ind.; G. Vasari, Le Vite, a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1906, pp. 447-73 (Commentario, pp. 475-522); B. Cellini, La vita..., a cura di G. Davico Bonino, Torino 1973, ad Ind.;A. Bertolotti, Nuovi doc. intorno all'architetto A. Sangallo (il Giovane), in Il Buonarroti, s. 3, IV (1890-92), pp. 246-56, 278-86, 319-24; H. von Geymüller, Les projets primitifs pour... Saint-Pierre, I-II, Paris-Wien 1875, ad Ind.;Id. Documents inédits sur les manuscripts et les oeuvresde la famille des Sangallo, in Mémoires de laSociété nationale des antiquaires de France, XLV (1884); Id., Quelques æuvres de Sangallo, ibid., XLVI (1885), estratti; G. Clausse, Les SanGallo, I, Paris 1901; K. Frey, Zur Baugesch. des St. Peter, in Jahrb. der Königl. Preuss. Kunstsamml., XXXI (1910), suppl., pp. 1-95; XXXIII (1912), suppl., pp. 1-153 passim; XXXVII (1916), suppl., pp. 23-135; A. Venturi, Storiadell'arte italiana, XI, Milano 1938, pp. 516-687 (v. anche Index a cura di J. D. Sisson, II, Nendeln, Liechtenstein, 1975, pp. 455-57); G. K. Loukomsky, Les Sangallo, Paris 1934, pp. 69-125, 157 s.; G. Hoogewerff, Documenti in parte inediti…, in Atti d. Pontif. Accad. archeol. Rendiconti, XXI (1945-46), pp. 261-65; W. Lotz, Die ovalen Kirchenräume des Cinquecento, in Römisches Jahrb. für Kunstgesch., VII (1955), pp. 7-99; Id., Das Raumbild in der italienisch. Architekturzeichnung der Renaissance, in Mitteil. des Kunsthistor. Institutes in Florenz, VII (1953-56), pp. 193-226; J. S. Ackermann, Architectural Practice in the It. Renaiss., in Jouurnal of the Soc. of Architectural Historians, XIII (1954), pp. 3-11; R. Bonelli, Da Bramante aMichelangelo, Venezia 1960, ad Ind.; J. S. Ackerman, L'architettura di Michelangelo, Torino 1968, ad Ind. (per le opere iniziate dal C. continuate da Michelangelo); P. N. Pagliara, L'attivitàedilizia di A. da Sangallo il Giovane, in Controspazio, IV (1972), 7, pp. 19-55; S. Benedetti, Architettura e Riforma cattolica nella Roma del'500, Roma 1973, pp. 65-86; C. L. Frommel, Der römische Palastbau der Hochrenaissance, I-III, Tübingen 1973, ad Indices;Id., Die Peterskircheunter Papst Julius II (im Licht neuer Dokumente), in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XVI (1976), pp. 59-136. Disegni di studio di antichità e di Vitruvio: oltre i già citati (specialmente G. Giovannoni, 1959; P. N. Pagliara, 1972; C. L. Frommel, 1973), cfr.: P. N. Ferri, Indice geogr.-anal. d. disegni di architettura... esistenti nella R. Galleria degli Uffizi in Firenze, Roma 1885, ad Ind.;A. Bartoli, I monum. antichidi Roma nei disegni d. Uffizi di Firenze, I-VI, Roma 1914-22 (cfr. Indici, VI, pp. 63-92); P. Fontana, Osservazioni intorno ai rapporti di Vitruvio colla teorica dell'architettura del Rinascimento, in Miscell. di storia dell'arte in on. di G. B. Supino, Firenze 1933, pp. 320 ss.; O. Vasori, I monum. antichi in Italia nei disegni degli Uffizi, Roma 1981, pp. 87-156. Bibl. sulle singole opere (in ordine alfab. per località; si cita solo il contributo più recente quando sia provvisto della bibl. precedente). Castro: H. Giess, Die Stadt und die Pläne von A. da Sangallo dem Jüngeren, in Römisches Jahrb. f. Kunstgesch., XVII (1978), pp. 49-88; XIX (1980), pp. 87-140. Firenze: G. Giovannoni, Progetti sangalleschi per il S. Marco di Firenze, in Atti del I Congr. di st. d. archit., Firenze 1938, pp. 231 ss. Foligno, duomo e sue cappelle, risanamento paludi: V. M. Faloci Pulignani, Il duomo di Foligno..., Foligno 1908, pp 52-54; A. Messini, L'architetto A. da Sangallo il Giovane a Foligno, Foligno 1943. Gradoli, pal. Farnese: E. Galdieri, Una malnota fabbrica sangallesca: il palazzo Farnese di Gradoli, in Boll. d'arte, LX (1975), pp. 143-64. Loreto, chiesa e palazzo apostolico: K. Weil-Garris Posner, Alcuni progetti per piazze e facciate di Bramante e A. da Sangallo il Giovane a Loreto, in Studi bramanteschi. Atti del Congr. internaz. 1970, Roma 1974, pp. 313-38; F. Grimaldi, Loreto. Palazzo apostolico, Bologna1977, ad Ind. Montecassino, mausoleo mediceo: E. Scaccia Scarafoni, Ancora del Sangallo a Montecassino, in Boll. d'arte, XLVII (1962), pp. 69-74. Montefiascone: O. Fasolo, Contributo ad A. e Giovan Battista da Sangallo: la rocca di Montefiascone, in Saggi di st. d. archit. in on. di V. Fasolo, Roma1961, pp. 159-68. Nepi: G. Miarelli Mariani, Aggiunte al S. Tolomeo di Nepi, in Palladio, XXI (1971), pp. 123-150; D. Imperi, Il castello di Nepi, in Quaderni dell'Istituto di architettura dell'univ. di Roma, XXIV (1977-78), pp. 129-48. Parma: B. Adorni, A. da Sangallo il Giovane e la cupola della Steccata, in Quaderni dell'Ist. di st. dell'archit. d. univ. di Roma, XV (1968), pp. 95 ss. Roma: Frommel, 1973; cfr.per Castel S. Angelo: C. D'Onofrio, Castel S. Angelo, Roma 1978, ad Ind.; M. P. Sette, Apporti medicei a Castel S. Angelo: il cortile di Leone X, in Storia Archit., V (1982), 2, pp. 5-24; palazzo Baldassini: R. U. Montini, in Palazzo Baldassini..., Roma 1957, pp. 11 ss.; palazzo Farnese: si veda per la bibliografia precedente Le Palais Farnèse, I-III, Rome 1991, ad Ind.; S. Giovanni dei Fiorentini: M. Tafuri, in Via Giulia, Roma1973, pp. 201-230 (con numerose ill. di disegni); S. Maria di Monserrato: J. Fernández Alonso, S. Maria di Monserrato, Roma1968, ad Ind.; Ospedale di S. Giacomo in Augusta e S. Maria Porta Paradisi: W. 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