CORAZZA (dal fr. cuir "cuoio"; fr. cuirasse; sp. coraza; ted. Panzer, Kürass; ingl. cuirass)
Vestimento di cuoio (donde il nome) o di acciaio, che ricopre il busto e i fianchi della persona lasciando libero il movimento delle cosce. Con il casco (v. elmo) e lo scudo costituisce il gruppo delle armi difensive. "Corazze" sono anche le piastre d'acciaio che costituisono la corazzatura delle navi da guerra e delle fortificazioni (v. corazzatura). "Corazza" fu detto infine un soldato armato di corazza (v. corazziere).
Primitivi. - Mentre presso i popoli dell'antichità e del Medioevo (v. qui sotto) la corazza e il casco avevano importanza maggiore dello scudo, presso i popoli attuali a civiltà inferiore avviene l'inverso, vale a dire che, per essi, la principale arma difensiva è lo scudo e non è forse da escludere che la corazza dove è usata sia una indiretta imitazione di corazze delle civiltà superiori anziché un prodotto originale. Si possono distinguere due tipi di corazza: quella flessibile costituente un insieme unico e quella formata di placchette rigide riunite. Le culture più primitive, come quelle dei Pigmei e degli Australiani, non possiedono corazza. Di essa si trovano tipi semplicissimi nella Nuova Guinea, formati da una fascia di tessuto girato intorno al ventre o da cannucce intrecciate adattate sul petto; tali forme primitive sembrano potersi attribuire al ciclo culturale del totem. Più a ovest, nell'Insulindia, si trovano forme intermedie fra la veste e la corazza e anche vere corazze di tessuto di fibra e di cuoio. Nelle isole Sulu, nelle Molucche e a Celebes si hanno pure corazze di ottone, ma esse sono certamente un'imitazione delle corazze europee del tempo della scoperta. Nelle isole Gilbert, nella Micronesia, si incontra un'armatura completa del tutto speciale, costituita: 1. da un camice di fibra di cocco che ricopre tutto il corpo meno la testa, le mani e i piedi; 2. da una corazza pure di fibra di cocco o di pelle di razza irta di spine, sul petto; 3. da un ampio e alto collare a protezione della nuca, e infine, 4., da un casco fatto della pelle di un altro pesce spinoso. Questa armatura difensiva è in correlazione con le armi offensive munite di denti di squalo usate dalle stesse popolazioni. Anche se questo elemento della cultura polinesiana fosse dovuto all'imitazione di armature giapponesi, l'originalità da esso acquistata gli dà un carattere culturale indipendente.
In realtà, l'armatura mongola (mongola propriamente detta, tatara e giapponese) pare essere stata il centro di un vasto irraggiamento. È ormai certo che le corazze fatte di placchette riunite (di cuoio, di legno, d'osso o di metallo) che s'incontrano presso alcuni popoli siberiani e, in particolare, presso i Ciukci, sono una imitazione dell'armatura mongola. D'altra parte gli Amerindi del nord-ovest, e persino gli Irochesi, possiedono armature tanto simili a quelle dei Ciukci che si è tentati di vedere anche in queste una ripercussione dell'influenza mongolica. Inoltre, l'influsso degli Amerindi del nord-ovest si è propagato fino alla California, ove presso alcune tribù Hupa, Karok, Yurok, Shasta si riscontrano armature analoghe. Si raggiunge così il Messico, dove venivano usate tanto le corazze quanto i caschi, come in tutta la regione andina fino agli Araucani.
Nell'America messico-andina e nelle regioni adiacenti era usata tanto la corazza flessibile di grosso cotone che ricopre tutto il corpo, quanto quella formata di placchette riunite. Resta da sapere se l'una o l'altra forma sia dovuta all'influenza neo-polinesiana o a quella mongolica. È anche da notare l'uso speciale che fanno i Yamamadi, popolazione Arawak del Rio Purús, e qualche altra tribù sud-americana, di una specie di corazza a fascia che serra fortemente il busto e che permette di usare una maggior forza di fiato nel tiro della cerbottana.
Relativamente alle forme della corazza, l'America forma dunque un tutto con l'Asia orientale e con l'Oceania, mentre l'Africa costituisce un mondo a sé. Quivi la corazza, che ha nel complesso un uso assai limitato, è del tipo flessibile e completa. Così i guerrieri Kanuri, Haussa, Fulbé, ecc. dei pressi del lago Ciad e del Sūdān, usano rivestimenti completi di ovatta di cotone trapuntito sia per il cavaliere sia per il cavallo. L'origine di tale armatura non è probabilmente africana: essa potrebbe essere una reminiscenza di quella dei crociati, considerato che nel Sahara e nel Sūdān si ritrova anche la grande spada diritta con impugnatura a croce, imitazione musulmana dell'armatura dei Crociati. Quanto alle corazze in pelle di bufalo o di coccodrillo in uso presso le popolazioni prossime al Sūdān, nell'Adamaua, presso i Lendu e gli Alur e persino presso alcune tribù della foresta congolese, sorge pure il dubbio che la loro origine si debba a imitazioni delle armature dei cavalieri sudanesi. In un'altra direzione le maglie-corazze, flessibili e spesse, sostituite a volta da più abiti sovrapposti, si trovano nel dominio della cultura musulmana asiatica fin presso i Kirghisi del Turkestan.
Bibl.: v. armi.
Antichità. - Nell'Egeo minoico il costume dei guerrieri sembra mancasse della corazza (gr. ϑώραξ; lat. lorīca), resa inutile dal grandissimo scudo che copriva tutta la persona. Tuttavia colui che pare il capo della schiera di guerrieri o di militari nel vaso famoso di steatite di Hagia Triada (v. armi) reca un corsetto a squame che è destinato a difesa. Il ϑώραξ è inoltre menzionato spesso nei poemi omerici, in cui è descritto come un giustacuore di cuoio, quale lo si vede nel vaso miceneo detto vaso dei guerrieri. Di mano in mano che andavano diminuendo le dimensioni dello scudo, aumentava il bisogno di meglio proteggere il torace e il ventre, onde ben presto apparisce quella foggia di corazza formata da due lamine convesse (γύαλα), di cui l'una protegge il dorso, l'altra la parte anteriore del corpo. Le placche metalliche erano fissate sul fodero di pelle o di cuoio; a questa specie di corazza gli antichi dettero il nome di ϑώραξ στάδιος.
Per la protezione del basso ventre si cominciò con l'applicare una specie di grembiule, simile a quello che pende dagli scudi ionici, ma più corto e di stoffa più spessa. Poi si pensò di frangiarne l'orlo inferiore, perché la difesa fosse mobile e non impedisse i movimenti e si giunse a dividerlo in strisce (πτέρυγες). Alla vita, sotto lo stringimento della corazza, fu applicato un giro di laminette di cuoio mobili. Nelle decorazioni dipinte sui sarcofagi di Clazomene si notano alcune novità: innanzi tutto gli spallacci (ἐπωμίδες), atti a rendere più sicura la chiusura della corazza; inoltre, in alcuni casi, invece che di lamine fisse la corazza si compone di molte serie di placchette o scaglie (λεπίδες, ϕολίδες) che le dànno il nome di ϕολιδωτός. La forma del ϑώραξ στάδιος, perché rivestito di lamina metallica, più si prestava a seguire le linee curveggianti del torace, ad assumere un aspetto elegante, e a ricevere decorazioni tirate a sbalzo o riportate. L'altro tipo, il ϑώραξ ϕολιδωτός, essendo di cuoio non poteva avere un'ornamentazione molto variata; permetteva bensi una maggiore libertà di movimento al guerriero ma, ad orli forzatamente angolari, era meno elegante del primo. Le decorazioni del ϑώραξ στάδιος divengono a poco a poco svariatissime: strisce orizzontali lisce ovvero ornate con file di puntini, reticolati, losanghe e altri motivi geometrici. Eccezionalmente una stella decora gli spallacci, e il piastrone centrale reca una testa di orgone.
In alcuni monumenti figurati dei primi decennî del sec. V, si trova una maniera tutta particolare di fissare gli spallacci che poi subito scompare. Una lunga correggia a nastro, passando orizzontalmente attraverso i due occhielli praticati all'estremità degli spallacci, disegna sulla corazza un triangolo equilatero. In questo periodo le πτέρυγες acquistano una forma più elegante; sono disposte a serie continue e della stessa lunghezza, ovvero lunghe e corte alternatamente; talvolta sono anche frangiate all'estremità. Poco prima della metà del sec. V, sui vasi dello stile bello il tipo del ϑώραξ στάδιος va modificandosi; l'orlo inferiore ricurvo è disegnato con maggior cura, e risponde meglio alla forma anatomica del bacino. Nella decorazione aumenta il lusso: ché troviamo, oltre ai motivi già detti, maschere di vario tipo, protomi di fiere e gorgoneia. Un grande progresso nella struttura di questo tipo di corazza, rivelato dalla maggiore eleganza delle linee anatomiche e dalla più sapiente disposizione delle πτέρυγες, si nota altresi in alcuni rilievi funerarî attici della fine del sec. V.
È tuttavia nel corso del sec. IV che si viene gradatamente delineando il tipo di corazza quale lo vedremo, con lieve modificazione, definitivamente fissato in piena arte ellenistica, e che diverrà il tipo costante delle statue loricate greco-romane. Nel vaso di Canosa con la rappresentazione dei funerali di Patroclo il tipo del ϑώραξ ha perduto quel resto di semplicità e di rigidezza che ancora si notava nei rilievi attici, e mostra una progredita spigliatezza nelle linee sempre più elegantemente curveggianti. I motivi ornamentali sono a base di strisce trasversali, di rosette e di fioroni. Gli spallacci sono raccomandati con un legaccio a una piastrina a forma di rosone.
In alcune gemme con figure loricate della fine del sec. IV a. C., o dei primi decennî del III, la struttura lineare del ϑώραξ ha una sempre maggiore eleganza nelle curve, e i dettagli sono accurati. Le πτέρυγες sono spesso ornate con frange. Notevolissima è una gemma con il ritratto di Alessandro, in cui i larghi spallacci sono ornati con fulmini stilizzati. Importanti sono le loriche rappresentate nel fregio del tempio di Artemide Leucofriene di Magnesia sul Meandro della fine del sec. III a. C. In alcune di forma στάδιος le curve dei fianchi sono alquanto sentite, e l'orlo inferiore non segue ancora perfettamente la curva anatomica del bacino del corpo, ma è ad arco appena sensibile.
I ϑώρακες dei rilievi della balaustrata del tempio di Atena a Pergamo, rappresentano quanto di meglio abbia prodotto l'arte ellenistica nel rappresentare loriche. Vi si vedono mescolati i due generi. I ϑώρακες στάδιοι sono notevolissimi per l'andatura dell'orlo inferiore, che riproduce con approssimata precisione le linee anatomiche, scostandosi di molto dalla forma quasi stilizzata ad arco delle loriche del fregio del tempio di Artemide a Magnesia. Mancano i dischetti, e le πτέρυγες frangiate sono su due file, di cui la superiore è cortissima e l'inferiore molto lunga. Gli spallacci larghi, ma corti, ornati con il fulmine stilizzato, sono raccomandati alla corazza mediante un nastro che forma un elegante cappio.
In una di queste corazze, nel mezzo del petto, campeggia un grande gorgoneion alato, racchiuso entro un clipeo. In un'altra vi è, allo stesso posto, una losanga iscritta in un rettangolo ad orli listati. La prima corazza è cinta alla vita da una bella e larga fascia a forma di cinturone, senza svolazzi.
Da queste alla lorica dell'Augusto di Prima Porta, e a tutte le altre rappresentanze loricate augustee il passo è breve. La struttura lineare delle une combina perfettamente con quella delle altre, e anche nei particolari si nota una grande affinità; così il taglio dell'accollatura è identico, gli spallacci hanno la stessa forma e le stesse dimensioni e sono ugualmente annodati con elegante cappio; la forma, la disposizione e l'andatura delle πτέρυγες sono anch'esse simili. Una specialità però troviamo nelle loriche augustee e cioè la ricchezza degli elementi ornamentali che contrasta con la sobrietà degli ornati ellenistici. L'arte italica ha probabilmente avuto la sua influenza nella determinazione del tipo di lorica greco-romano, mediante la sua tendenza alla sovraccarica abbondanza dei motivi ornamentali.
Le loriche italiche variano a seconda della regione da cui derivano, se dall'Etruria cioè o dall'Italia meridionale, in cui l'influenza dell'arte greca si faceva maggiormente sentire.
In Etruria le più antiche corazze furono di cuoio, e tali le vediamo raffigurate nei monumenti antichissimi. La forma classica della lorica etrusca è, quale ce la mostra il Marte di Todi (v. armi, fig. p. 478), fatta interamente di strisce unite insieme, molto ampia alle spalle e gradatamente rastremantesi verso la vita, ove è strettissima. Gli spallacci hanno la forma di larghe strisce oblique e arrivano fino a metà del petto. Gli ornati di divisione fra le varie parti sono meandri, ovoli, svastiche, denti di lupo, reticolati, ecc., e in generale si nota una maggiore propensione alla ricchezza degli ornati in confronto alle loriche greche. La parte inferiore è a grembiule tagliato a semicerchio, spesso ricoperto di scaglie. Questa specie di lorica ricorre anche in monumenti non strettamente etruschi, come, ad esempio, in una cista prenestina, in alcune gemme incise e in moltissime monete repubblicane. Nell'Italia meridionale la forma delle loriche è più semplice; sul cuoio è fissata, nella parte anteriore, una grossa piastra, quadrata, modellante il petto (pettorale), che in una statuetta della Sicilia è a forma di cuore ornato da tre dischi convessi. In progresso di tempo però essa va sempre più accostandosi al tipo greco; e per il tramite della Magna Grecia finì con l'essere conosciuta dagli Etruschi e dai Romani. Si ebbero anche le loriche di tipo sannitico a tre dischi.
Poco nota è invero la forma di corazza adottata dai Romani durante la repubblica. Tito Livio (I, 43) ci dice che essa era di bronzo, ma, come indica il nome stesso di lorica, l'originaria o la preferita doveva essere di cuoio. Anzi, da Varrone (De ling. lat., I, 116) sappiamo che era composta di strisce di cuoio che s'intrecciavano e si sovrapponevano l'una all'altra, così come in alcune corazze etrusche.
Oltre a questa vi era un'altra specie di corazza composta di un sol pezzo di cuoio avviluppante tutto il corpo, simile a quelle delle pitture delle tombe di Pesto. Secondo Polibio (IV, 29) gli hastati, i principes e i triarii usavano questo genere di corazza con l'aggiunta di un'ampia placca quadrata sul davanti, che egli chiama καρδιοϕύλαξ. La corazza di cuoio non fu mai abbandonata nell'esercito romano; l'hanno ancora i legionarî del sec. I dell'Impero, e nel sec. II la si vede indistintamente portata da soldati e da ufficiali nei bassorilievi degli archi trionfali. Nei tempi imperiali i tribuni e i legati, e in specie l'imperatore, adottano il ϑώραξ στα8διος ellenistico, semplice e liscio se destinato al servizio ordinario e alla guerra, ricco e sfarzoso nelle cerimonie ufficiali e nelle pompe.
Un altro genere di corazza dei tempi dell'impero è quella detta squamata, perché composta di scaglie di ferro o di corno legate fra loro per mezzo di fili di metallo che passano attraverso fori posti in alto, e in modo tale che l'attaccatura non sia visibile quando le scaglie sono unite. Essa veniva portata da ufficiali di ogni grado, dai signiferi e anche dai pretoriani (Cass. Dio, LXXVIII, 37). Ne continua l'uso fino al sec. IV, e Vegezio (I, 25; II, 14-15) la chiama anche lorica cataphracta.
Quanto all'ornato, quello prediletto nelle loriche etrusche è costituito dalle grandi volute che seguono in maniera stilizzata le linee mammellari; inoltre sono comuni le fasce orizzontali, i denti di lupo, gli scacchi, le trecce, i reticolati, i cerchietti, ecc.
Anche nella parte figurata dell'ornamentazione è evidente nelle loriche italiche una maggiore varietà di motivi e di simboli: troviamo infatti dei gorgoneia, in genere di dimensioni piuttosto grandi, dai capelli corti e irti, grifi, sfingi e pegasi.
In alcune loriche rappresentate su pietre incise, si hanno una biga in corsa, un prigioniero seduto e legato avanti a un trofeo: motivi che ricorrono di frequente nelle loriche imperiali.
Se nella forma schematica della lorica l'arte greco-romana ha seguito l'arte ellenistica, per ciò che si riferisce agli ornati non ha voluto interrompere la tradizione etrusco-italica, ed è andata tant'oltre da produrre ben presto la più splendida manifestazione ornamentale del genere con l'Augusto da Prima Porta, primo esempio nella storia della lorica d'una decorazione a più figure costituenti nell'insieme un soggetto simbolico con allusioni storiche (v. armi, fig. p. 481).
Questa lorica augustea forma un'eccezione nella sua decorazione mancando del gorgoneion nel mezzo, che è costante nella decorazione di tutte le loriche imperiali, emblema di valore apotropaico. La decorazione figurata centrale nelle altre loriche è varia: i soggetti più comuni sono: due grifi affrontati con in mezzo il thymiaterion, due vittorie che adornano un trofeo, ippocampi affrontati montati da Neieidi, un trofeo tra due prigionieri inginocchiati, la lupa con i gemelli e sopra il Palladio, due Vittorie tauroctone, Arimaspi in lotta con i grifi, Lapiti che abbattono un centauro, Vittorie alate reggenti uno scudo, ecc. Anche i pendagli sono decorati da maschere sileniformi, palmette, protomi ferine, fiori di loto, teste di ariete, di elefante e di altri animali, maschere di Giove Ammone, bucranî, scudi, elmi, diademi, stelle, ecc. Fra le statue loricate più importanti vanno citate: quella di Olconio Rufo di Pompei, ora nel Museo Nazionale di Napoli, quella forse di Augusto del museo di Cherchel, il Germanico o Druso nel Museo Lateranense, il Caligola del Museo nazionale di Napoli, il Tito di Ercolano nel Museo nazionale di Napoli, il Traiano di Utica nel museo di Leida, l'Adriano di Hierapytna nel museo di Costantinopoli, l'Adriano di villa Albani, il Marco Aurelio del Museo Capitolino. Statue loricate del sec. IV sono quella di Costantino nell'atrio di S. Giovanni in Laterano, l'altra dello stesso imperatore sulla balaustrata del Campidoglio, e la grande statua bronzea di Barletta. Queste si distinguono dalle precedenti per la mancanza della decorazione figurata, per gli spallacci molto allungati e stretti, e per la cintura a svolazzi simmetrici molto ricurvi.
Altre loriche sono rappresentate nella celebre gemma augustea di Vienna, in alcuni cammei, in numerosi rilievi, fra i quali quelli dell'arco di Traiano di Benevento, della colonna Traiana di Roma, della colonna Antonina, nei busti imperiali, e nelle monete. (v. tav. XLVII).
Bibl.: W. Helbig, Das homerische Epos, Lipsia 1884, cap. XXI; W. Reichel, Homerische Waffen, Vienna 1894, p. 79; E. Saglio, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, III, 2, Parigi 1904, p. 1302; A. Hekler, Beiträge zur Geschichte der antiken Panzerstatuen, in Jahreshefte des österr. archäol. Instituts, Vienna 1919, p. 190 segg.; G. Mancini, Le statue loricate imperiali, in Bullettino della Commissione archeologica comunale, Roma 1922, p. 151 segg. (v. anche armi).
Medioevo ed Età moderna. - Nel Medioevo le due parti costituenti la corazza, quella cioè ricoprente la schiena e quella ricoprente il petto, sono state usate in un primo tempo anche indipendentemente l'una dall'altra. A. Lensi (Il Museo Stibbert, Firenze 1918) crede che l'uso della schiena sia anteriore a quello del petto, giacché alla prima si ricorse quando l'esperienza ebbe dimostrato che la cotta di maglia non preservava sufficientemente dai colpi le reni dell'uomo d'arme, mentre il petto si poteva difendere anche con lo scudo.
In principio si ribadirono sulle cotte di maglia alcune lamiere riunite da cerniere e da fibbie; in seguito, col progredire dell'arte di lavorare il ferro, si trovò il modo di battere piastre di una certa grandezza e di modellarle alle parti da coprire o difendere; si ebbero così schiene propriamente dette, guardaspalle, guardacuori, ecc. Il petto fu applicato sul giaco di maglia in sostituzione e ampliamento del guardacuore, e anche nell'uso successivo della corazza completa fu frequentemente ritenuto una pezza a sé, come altra pezza era la schiena. Il petto era di solito la parte più ornata dell'armatura perché copriva la parte più nobile del corpo e perché era quella maggiommente in vista, specialmente quando si voleva far bella mostra, come nelle giostre e nei tornei. (V. tav. XLVIII, fig.1).
I numeri 1 e 2 della figura in testa a questa pagina illustrano alcuni esempî di schiene. Dei petti illustrati nei numeri 3, 4, 5 e 6 della stessa figura, alcuni sono particolarmente interessanti per gli ornati. Vi sono poi petti meccanici tedeschi per armature da giostra, il cui meccanismo, sollecitato da molle, era combinato in modo che, toccati nel centro dalla lancia dell'avversario, si scomponevano (v. tav. XLVIII, fig. 2).
La storia della corazza completa, composta di petto e schiena, si collega con quella dell'armatura, in genere, che coprì tutto il corpo del guerriero. La corazza comparve intiera nel sec. XIII ma si diffuse solamente nel secolo seguente. Si mantenne, insieme con le altre pezze, per tutto il sec. XVI; poi dovette essere abbandonata dalla generalità degli armati, non resistendo più alle offese delle armi da fuoco. Rimase tuttavia in uso nei tornei e nelle giostre, anche durante i secoli XVI e XVII ed è tuttora in uso come elemento esclusivamente decorativo della divisa di corpi speciali in varî eserciti moderni (reggimenti di cavalleria pesante, corazzieri, guardie d'onore dei sovrani).
Le corazze furono di varî metalli e di varie fogge, ma specialmente di due. Furono cioè costituite di due sole grandi piastre di ferro, o d'acciaio, o anche di bronzo, una per il petto e una per il dorso; oppure di parecchie lame snodate d'acciaio, connesse fra loro in modo da proteggere quelle due parti del corpo. (V. tav. XLVIII, figg. 3, 4). Erano poi prolungate davanti e di dietro con panciera, guardareni, ecc. (V. tav. XLVIII, fig. 5). Corazza a gambero era detta quella costituita da lame snodate a guisa delle scaglie di questo crostaceo; e si diceva poi, in modo abbreviato, gambero intero l'intera corazza così fatta, e mezzo gambero la corazza che aveva snodata solamente la parte inferiore che copriva la pancia. Furono varietà della corazza la brigantina, la corazzina, il ghiazzerino.
Si chiamavano corazze alla prova o da prova, oppure da botta, quelle che erano sottoposte in prova al tiro del moschetto o dell'archibugio o della pistola. Prima dell'invenzione delle armi da fuoco le corazze erano sottoposte in prova ai tiri dei verrettoni scagliati da balestre; le ammaccature che si riscontrano nelle corazze conservate nei musei sono generalmente i segni della prova sostenuta, non già quelli di colpi ricevuti in lotta.
Nel riparo del petto, più che nelle altre parti, si può riconoscere l'epoca in cui la corazza fu fatta. Il petto era fatto a superficie convessa e talora fornito di punta, sul finire del sec. XV e al principio del secolo seguente; era fatto di spigoli più o meno sporgenti o anche smussati, verso il 1550; di spigoli che veduti di profilo presentavano verso il davanti il vertice sporgente, fino verso il 1574; corti nel principio del sec. XVII. Secondo l'inventario del castello d'Ambras, del 1596, la corazza poteva essere bianca, oppure colorata (ad esempio, azzurrognola), scanalata di nero e bianco o dipinta, coperta di giaco, gramolata, ornata di disegni in polvere d'oro, con le parti di ferro e d'ottone trasparenti (cioè traforate) oppure stampate, o incavate con lavori in rilievo (bas-relief) o con lavori di smalto (émail), col cerchio d'acciaio ad orlo limato, ripido (F. Reuleaux). Evidentemente, nelle armature spigolate (armure cannélée) o "alla massimiliana" o armature milanesi, la corazza partecipava della caratteristica che diede questo nome a tutta l'armatura e alla barda (v. armi). Qualche volta le corazze di principi, di gran signori, di condottieri illustri, venivano coperte al petto con ricche stoffe di seta aderenti all'armatura. Quest'uso è d'origine italiana e risale alla fine del sec. XIV, e ce ne dà esempio il ritratto di Ercole I d' Este, dipinto da Dosso Dossi.
Oltre ai tipi di corazza già descritti, i musei e le armerie d'Europa hanno numerosi esemplari di corazze di popoli differenti da noi per civiltà; così corazze russe, persiane, arabe e simili; e vi sono anche esempî di vecchie corazze giapponesi costituite da lame snodate e foggiate come le nostre di acciaio, ma fatte di legno sottile e resistentissimo.
Corazza da trincea. - Era usata nel secolo passato nello scavo delle trincee d'assedio dagli zappatori più esposti ai tiri della piazza; i quali mettevano anche uno zucchetto sul capo; di solito si utilizzavano vecchie armature esistenti ancora nelle armerie e nei magazzini delle piazze forti. Una corazza da trincea fu studiata ancora da alcune potenze nella guerra mondiale e fra le prede belliche dei Tedeschi se ne sono trovate alcune complete, del peso di 18 chilogrammi per difesa personale contro pallottole da fucile e da mitragliatrice. (V. tav. XLVIII, fig. 6).