copti (ar. qubt o qift, derivato dal gr. Aiguptios «egiziano»)
(ar. qubṭ o qifṭ, derivato dal gr. Aiguptios «egiziano») Nome dato, dopo la conquista islamica del 7° sec., alla popolazione egiziana autoctona, convertita al cristianesimo dal 1° sec. I c. si definiscono rem-en-kimi nella loro lingua, erede dell’antico egiziano e scritta in alfabeto greco modificato, il cui uso è oggi limitato alla liturgia religiosa. Nel corso dei secoli, per effetto del processo di conversione all’islam di una parte rilevante della popolazione locale, la denominazione di c. si è ristretta a indicare i soli egiziani cristiani e, in particolare, anche se non esclusivamente, i membri della Chiesa copta ortodossa non-calcedoniana. I c., intesi in questo senso, formano agli inizi del 21° sec. una percentuale compresa fra il 10 e il 20% della popolazione dell’Egitto, con cifre indicate fra i 12 e i 16 milioni di persone. La conquista araba, se ebbe l’effetto di proteggere i c. monofisiti dalle persecuzioni bizantine e di favorire la conservazione del culto e delle tradizioni locali, impose una pesante esazione fiscale alla popolazione non convertita, tale da suscitare a più riprese violente rivolte. In Egitto, a partire dal 19° sec., la comunità copta fu esentata dall’imposta e progressivamente integrata nella vita nazionale, contribuendo in modo significativo al movimento intellettuale e politico che avrebbe condotto all’indipendenza. Tale «età d’oro» dei c. ebbe fine alla metà del 20° sec. con l’avvento del regime nasseriano, la cui ideologia panaraba e le concomitanti politiche di nazionalizzazione colpirono duramente la comunità, dando il via a un’emigrazione massiccia verso i Paesi occidentali. A tale inasprimento fece seguito, dalla fine del sec. 20°, un costante attrito interreligioso con la popolazione musulmana, tuttora presente.