Vedi COO dell'anno: 1959 - 1973 - 1994
COO (Κῶς, Cos)
È la seconda isola per grandezza, dopo Rodi, nelle Sporadi meridionali e, per i grandi scavi ivi compiuti fra il 1900 e il 1904 da una missione tedesca e dal 1922 in poi dagli Italiani, è una delle più conosciute dell'Egeo per quanto riguarda la storia e l'archeologia. Soprattutto il capoluogo fu ampliamente scavato e quasi completamente esplorato dopo il terremoto del 23 aprile 1933, il quale distrusse la città medievale e turca.
La città. - Secondo Diodoro Siculo (Bibl. hist., xv, 76) gli abitanti dell'isola nel 366 a. C. convennero di fondare una città: "la costruirono splendidamente e vi si raccolse grande moltitudine di abitanti e furono edificate mura sontuose e uno splendido porto". Anche Strabone (Geogr., xiv, p. 657) dice che "la città non è grande, ma per edilizia è la più bella di tutte e piacevolissirna a vedersi, arrivandovi". Gli scavi hanno dimostrato che questi elogi non sono iperbolici perché l'antica C., per quanto avesse un circuito di mura di non più di 4 km di lunghezza e quindi fosse una città di media grandezza, aveva un aspetto sontuoso e contava numerosi edifici pubblici. Situata sulla grande via commerciale che dalla Grecia e dal Mar Nero, costeggiando l'Asia Minore, portava a Rodi e quindi a Cipro, nella Siria e in Egitto, C. ebbe commerci attivi, favoriti dalla presenza di un porto sicurissimo per ogni genere di navi. Esso aveva forma regolare ed era chiuso da un isolotto che lasciava due aperture facilmente difendibili. Ora vi sorge il Castello dei Cavalieri di Rodi, ma è probabile che anche nell'antichità vi si trovasse un fortilizio. La città fu disegnata secondo i precetti ippodamei delle insulae costituite da un reticolato regolare di strade. Come in tutte le città ippodamiche, l'elemento generatore della pianta era l'agorà, anch'essa di forma esattamente rettangolare.
La città costruita nel 366 a. C. non fu di marmo, ma di travertino in blocchi regolari, posanti su fondazioni di tufo; per le mura del primo periodo si adoperarono blocchi di pietra vulcanica. Dopo le guerre vittoriose contro Filippo V di Macedonia e contro Antioco III di Siria, C., sull'esempio di Pergamo, città amica e protettrice, rinnovò la sua architettura impiegando con grande larghezza il bel marmo bianco a grana grossa che estrasse da cave dell'isola stessa, aperte appunto in quegli anni.
Anche le mura furono rinnovate o rafforzate con bei blocchi regolari di calcare grigio spesso lavorati a bugnato, come le mura molto simili di Pergamo, che sono contemporanee. Il perimetro delle mura partiva dall'agorà ma non giungeva fino al porto perché questo era protetto da proprie mura che si staccavano dal perimetro principale come due bracci di un forcipe; ivi si trovavano i cantieri, i magazzini e alcuni santuarî: interessante è un sacello di età ellenistica forse dedicato ad Eracle, che sorge sopra un terrapieno, di cui resta il podio formato di eleganti ortostati. A poca distanza era un santuario con due templi dedicati con probabilità ad Afrodite Pàndemos e Pòntia; essi sono paralleli e di uguale forma, cioè tetrastili con alta scalinata anteriore, e sorgono dentro un recinto porticato dorico. Il muro di recinzione era ornato da semicolonne doriche alternate a finestre. Sull'asse dei due tempietti erano gli altari e due propilei d'ordine corinzio ai quali si accedeva per delle scale. Il grandioso santuario rispondeva dunque sia nella pianta, sia nell'alzato a partizioni rigorosamente geometriche e parallele e il progressivo innalzarsi degli edifici come quinte parallele risponde ai concetti ippodamei elaborati nell'ellenismo. Sempre nel quartiere del porto esisteva, fin dall'epoca della fondazione della città, un lungo portico di travertino che in età romana fu trasformato impiegandovi colonne lisce di cipollino con capitelli corinzî. Nello stesso sito, nel sec. V d. C., fu costruita una grande basilica di m 72 × 23,50 probabilmente a tre navate con colonne di granito grigio, ora murate nel Castello dei Cavalieri, e fornita di un battistero a pianta quadrata con una rotonda interna, otto nicchie e porte separate da colonnine. Nel centro è la vasca battesimale a forma di croce.
L'agorà, che doveva esser chiamata anche col nome latino di Foro, perché prima del terremoto del 1933 esisteva colà una chiesetta detta della Panaghìa tou Phorou e ancora oggi la porta dei Cavalieri Giovanniti dell'attuale Mercato si chiama Porta tou Phorou, aveva una lunghezza di almeno 150 m, era pavimentata con bei lastroni regolari di marmo e, nella sua ricostruzione del II sec. a. C., fu dotata di un portico continuo lungo tutti i quattro lati con alte colonne doriche scanalate per due terzi e nel resto lisce, fronteggianti alcuni ambienti larghi complessivamente 12 m, sicché è da supporre l'esistenza di un colonnato mediano dividente i vani in due navate. Nel periodo romano, probabilmente dopo il terremoto del 142 d. C. ricordato da Pausania (viii, 43, 4), a N fu costruito un ingresso monumentale con grandi vòlte a botte di calcestruzzo ornate di stucchi e colonne marmoree corinzie fiancheggianti i fornici. L'edificio monumentale fu innalzato sopra le mura cittadine che colà erano anche le mura di recinto dell'agorà, le quali furono in parte demolite. Per raggiungere le soglie del nuovo ingresso fu quindi necessario costruire un'ampia scalinata congiungente il livello del porto con quello dell'agorà.
Nella zona a S di quest'ultima si estendeva un quartiere di ville disposte in insulae regolari su strade parallele o perpendicolari a un'ampia via porticata di cui fu messo in luce un tratto di circa 150 metri. L'architettura del portico si può datare nel III sec. d. C., quando pure a Rodi si costruiva un ampio decumano porticato sull'esempio delle strade monumentali delle città carovaniere d'Asia.
Fra l'agorà e il decumano si trova un piazzale con un tempio dorico in antis e l'altare monumentale di Dioniso con uno zoccolo su cui si ergeva un colonnato d'ordine corinzio decorato con un fregio rappresentante scene dionisiache; i due monumenti sono del II sec. a. C. e quindi importanti per la loro rarità, poiché la città ellenistica fu molto distrutta dal terremoto citato del tempo di Antonino Pio e ricostruita con sistema edilizio del tutto diverso da quello del passato, ossia non più con architettura paratattica a blocchi regolari, ma con structurae caementiciae rivestite di crustae marmoree o con intonaci dipinti. La presenza nell'isola di buona pietra da calce e di ottima pozzolana permise la costruzione di edifici veramente grandiosi, coperti a vòlta e a cupola. Tutti questi edifici erano pavimentati con mosaici a disegni geometrici e più spesso con raffigurazioni mitologiche; interessanti quelli col ratto d'Europa, con un Sileno, con l'arrivo di Asklepios a Coo, col giudizio di Paride, che si possono datare nei secoli II e III d. C., quelli dell'Eros pescatore, delle Muse e della Medusa che sono, invece, probabilmente, dei secoli III e IV: di quest'ultimo secolo è anche un grande mosaico con la raffigurazione allegorica di Costantinopoli.
Le case erano spesso di notevole ampiezza; quella detta per antonomasia ancora oggi la Casa Romana, ad esempio, costituiva da sola una intera insula con 31 m di fronte e 76 di profondità; aveva un grandioso peristilio di tipo rodio, ossia con un lato più alto e più sontuoso degli altri tre, poi un cortile finestrato con piscina centrale più piccola di quella del peristilio, ma adorna come essa di nicchie e marmi colorati, quindi un terzo cortile con natatio circondata da mosaici e fronteggiata da un oecus con colonne rosse dipinte con tralci di vite. Nelle case furono trovate molte sculture di medie e piccole dimensioni rappresentanti divinità protettrici della casa, ossia la dea Tyche, Afrodite, Eros, Asklepios, Atena, Eracle; e anche Alessandro Magno. Intorno alla natatio erano ninfe e un satiro. Un'aitra casa sontuosa si trovava a N del decumano e precisamente nell'angolo che questa formava col cardo. Anche colà si trovava un grande cortile con una vasca centrale ornata di nicchie e grandi ambienti all'intorno. Un cubicolo è ornato di un mosaico col "ratto d'Europa" e aveva le pareti dipinte con figure di danzatori. La casa era ornata di grandi sculture rappresentanti Artemide, Igea, Asklepios, Dioniso e un Satiro, oltre a due ritratti di una dama e di una giovanetta databili nel periodo di Traiano. Esse dimostrano che anche questa casa, come quella precedentemente descritta, fu abitata prima del terremoto del 142 d. C. e ricostruita nel nuovo gusto romano, pur mantenendo il tipo planimetrico che si ritrova in aitre città ellenistiche, ad esempio a Priene e a Delo.
Si sa che nuovi danni avvennero per un terremoto nel 469 d. C. (Priscus, Fragm., 43), ma la vita di C. continuò e le case ricostruite si ornarono ancora di mosaici, generalmente di carattere geometrico e colorati. La distruzione totale della città avvenne nel 554 d. C. (Agathias, Histor., II, 16) in seguito ad un nuovo e più terribile terremoto e, da allora fino alla costruzione delle mura dei Cavalieri Giovanniti, avvenuta fra il 1391 e il 1396, non si può menzionare alcun edificio degno di nota.
La città ellenistica ebbe numerosi edifici pubblici che furono rimaneggiati in seguito alle distruzioni che avevamo ricordato, conservando ben poco d'originario; dell'età imperiale romana, ossia della ricostruzione di Antonino Pio, restano invece monumenti pubblici molto cospicui. E probabile che a C., come a Pergamo, esistesse una divisione della gioventù, che si addestrava nelle palestre, in tre classi: dei fanciulli, degli efebi e dei giovani. Gli efebi frequentavano probabilmente una palestra trovata presso il porto e collegata con terme di cui restano muri a sacco, ornati di nicchioni, raccoglienti un vano con un mosaico di m 18 di lunghezza, esplorato, ma non scavato. I giovani dovevano invece esercitarsi nel ginnasio occidentale di cui fu scavato e in gran parte restaurato lo xystòn, ossia il portico lungo uno stadio (600 piedi: m 177,60) dove gli atleti si esercitavano al coperto durante la stagione delle piogge. L'edificio è un esempio cospicuo dell'architettura del II sec. a. C.: aveva 81 colonne di marmo scanalate nella parte superiore e lisce nella parte inferiore con interassi molto larghi, due triglifi per ciascun intercolumnio e una dentellatura sotto la cornice.
Nell'età romana davanti allo xystòn fu aggiunta una grande piscina e alle spalle del portico si addossarono le terme che occuparono una vasta area chiusa ad E dal cardo, anch'esso quasi completamente scavato. A partire da N si trova un lungo ambiente absidato (m 24,40 × 7,50) che si può ritenere la Basilica Thermarum, in origine pavimentata con lastroni di marmo e in età paleocristiana con mosaico a disegni geometrici. L'ambiente successivo era il frigidarium, cui seguivano due ambienti riscaldati che portavano al calidarium di m 18 × 11, coperto a vòlta, con una vasca in corrispondenza del praefurnium; altri ambienti furono in età paleocristiana coperti dal battistero della chiesa che si inserì nel calidarium. Anche il frigidarium e le sale seguenti furono trasformate in una chiesa a pianta basilicale. Queste trasformazioni devono essere avvenute dopo il terremoto del 469 d. C., quando fu alzato anche il livello del cardo, il cui lastricato originario si deve invece porre nel III sec. d. C.
Dalla parte opposta alle terme fu ritrovato un edificio singolare per la sua conservazione e per la sua imponenza; si tratta di una forica, o latrina pubblica, di ben 20 m di lato, con una mostra d'acqua formata da tre nicchioni disposti su due ordini e ornati da colonnine rette da mensole di marmo e da mosaici. Sugli altri tre lati si trovava un portico pavimentato a mosaico con colonne ioniche sormontate da pulvini che reggevano archi di mattoni. La copertura dell'interno del portico era a vòlte a vela o a crociera.
Fra il complesso ginnasiale-termale di O e le terme a N era lo stadio di cui un lato era poggiato alla modesta altura che è al centro della città, detta più tardi del "Serraglio", e l'altro era in opera cementizia. L'impianto dello stadio si fa risalire all'epoca della fondazione della città nella quale esso doveva avere solo una tribuna costituita da sedili in travertino. La tribuna di fronte fu invece costruita durante l'età romana, mentre l'àphesis, ossia l'impianto relativo alla linea di partenza lungo 100 piedi (29,50 m), fu costruita nel II sec. a. C. in marmo, quando avvenne la trasformazione edilizia di C. dal travertino al marmo. L'àphesis, interessantissima per la sua conservazione, è costituita sostanzialmente da pilastri con semicolonne, da ortostati e da architravi racchiudenti il complicato meccanismo che permetteva la partenza simultanea dei corridori.
A S dell'incontro fra il cardo e il decumanus, a breve distanza, si trova ben conservato l'Odèion sostenuto da cunicoli a vòlta che hanno alle spalle una sala rettangolare ricoperta a vòlta. I gradini sono di marmo e le strutture cementizie sono rivestite di crustae marmoree. Anche l'orchestra circolare era coperta da un opus sectile di marmo; la scena aveva tre porte che immettevano in un vano retrostante. Con ogni probabilità al di sopra della summa cavea era un loggiato ed è possibile credere che l'altezza della scena fosse uguale a quella della cavea e del loggiato insieme, in modo che si poteva stendere un velario per riparare il pubblico dal sole. Oltre a questo edificio teatrale, C. possedeva anche un vero e proprio teatro costruito probabilmente nella stessa età, ossia nel III sec. d. C. Esso era addossato ad una piccola altura presso le mura meridionali della città ed aveva gradini di marmo. La scena, rivestita di lastre marmoree, era lunga 70 m; l'orchestra era semicircolare, a differenza di quella dell'Odèion che conservava la pianta circolare caratteristica dell'età classica.
L'isola. - Secondo il passo già citato di Strabone, il capoluogo antecedente al sinecismo del 366 a. C. era in un altro sito e si chiamava Astypàlaia. Gli scavi compiuti dagli Italiani sulla breve altura posta al centro della città attuale, dove era il quartiere musulmano, hanno dimostrato che il sito fu abitato già nel 2000 a. C. e che poi vennero importati vasi da Creta e che, nel periodo miceneo, l'abitato ebbe vasta consistenza e aspetto di floridezza. La sua necropoli, con tombe a grotticella contenenti molti vasi e armi, si è trovata a poche centinaia di metri a S-O della città. Dopo il crollo della civiltà micenea, la città venne abbandonata e la zona detta del "Serraglio" divenne quella delle necropoli del periodo Protogeometrico e Geometrico.
La ceramica ritrovata nelle sepolture è di grande importanza per lo studio del passaggio dalla civiltà micenea a quella greca arcaica. Il fatto che la zona prima abitata sia stata scelta come necropoli dimostra che il centro fu spostato, ma non di molto. Esso non ebbe neppure lunga vita perché la necropoli geometrica del "Serraglio" non durò oltre l'VIII sec. a. C.
Da allora sino all'anno della fondazione della città bisogna pensare che i Coi abbiano abitato altrove, sebbene non in una zona del tutto diversa, poiché la vita di Ippocrate è collegata con il culto di Asklepios, il cui santuario è nella immediata vicinanza del capoluogo. Esso sorse dopo la morte d'Ippocrate (375 o 351 a. C.), probabilmente nel luogo in cui si trovava il bosco sacro di Apollo Ciparisso e dove si praticava il culto delle ninfe presso una sorgente che poi fu sempre considerata sacra. Il primo impianto comprese l'altare del dio che, come sappiamo dal IV dei Mimi di Eroda, fu decorato dai figli di Prassitele, il tempio del dio contenente un quadro di Apelle e l'àbaton, ossia l'edificio a due stanze per uomini e per donne, dove si aspettava in sonno la venuta del dio. Nella sua forma definitiva risultò composto di quattro terrazze fra poderosi muri di contenimento a bei blocchi squadrati, collegate fra loro da scalinate marmoree lungo un asse centrale. La terrazza più alta era circondata da portici su tre lati, dei quali due d'ordine dorico e il terzo, che si ritiene l'ultimo àbaton, con pilastri di legno, che aveva al centro il tempio maggiore del dio, esastilo-dorico di architettura del tardo ellenismo. Nella terrazza mediana era l'altare del dio con uno zoccolo con gradinata centrale sormontato da un colonnato ionico, ricostruzione in marmo del II sec. a. C. dell'altare primitivo. Inoltre si trovavano un tempio ellenistico ionico in antis con il tesoro del tempio, la casa dei sacerdoti e un tempietto periptero di età romana. La grandiosa terrazza che seguiva qui in basso era circondata da portici che si aprivano davanti a stanze le quali costituivano la vera clinica dell'Asklepièion, che non era solo un santuario, ma anche una scuola di medicina, come sappiamo dalle iscrizioni. Nella prima terrazza è un edificio termale di età romana, collegato con terme maggiori poste sul lato orientale del santuario.
Nell'interno, quali edifici dell'età ellenistica dell'isola, sono da ricordarsi: un piccolo santuario di Demetra e di Kore, presso Asfendiù, con un edificio rettangolare a blocchi squadrati e un recinto; un ipogeo con vòlta a botte formata da conci regolari al di sotto di un tempietto ionico a Pilì; un teatro a Cardamena e, a Cefalo, un secondo teatro meglio conservato, con orchestra di forma semicircolare, la scena formata da due corpi di fabbrica con pilastri al centro e la thymèle impostata al centro del primo sedile, come nel teatro di Priene. A Cefalo si sono trovati anche due tempietti dorici, in antis, e un portico dorico ellenistici.
I monumenti più cospicui nell'interno dell'isola sono peraltro quelli dell'età paleocristiana.
In tutti i villaggi e in tutte le frazioni si sono riconosciuti ruderi di chiese e ritrovati pavimenti di mosaici paleocristiani. I complessi scavati sono tre: di S. Stefano presso Cefalo, dove si trovano due basiliche abbinate, a tre navate con nartece, battistero e abitazioni per i sacerdoti; di Capamà presso Asfendiù con la basilica a tre navate, molti vani accessorî e un grande battistero con sala circolare inscritta in un quadrato, con cupola sorretta da pennacchi e con corridoi coperti a vòlta all'intorno; infine di S. Paolo presso Zibari, anche questo comprendente la basilica a tre navate, molti vani rettangolari e il battistero, simile a quello di Capamà, conservato in tutta l'altezza. Tutti questi complessi basilicali erano pavimentati con splendidi mosaici colorati formati con tessere fatte di pietre locali. Ciò dimostra l'esistenza in C. di un artigianato fiorente anche nell'età paleocristiana.
Le basiliche del capoluogo non erano meno vaste e sontuose di quelle dell'interno. Abbiamo già ricordato quelle che si sono inserite nelle terme occidentali e l'altra del quartiere del porto; ricordiamo ancora il complesso di S. Giovanni il cui battistero ben conservato è la chiesa del cimitero attuale, a pianta quadrata con un colonnato circolare all'interno e nicchie e porte. Un'altra basilica era sul promontorio estremo dell'isola verso l'Asia Minore, detta "Punta della sabbia" e un'altra, già scavata e restaurata, detta di S. Gabriele, si trova a E della città, interessante per la sua pianta trilobata.
A conclusione ricorderemo che gli scavi hanno restituito oltre a centinaia di mosaici, cinquemila iscrizioni, più di mille pezzi architettonici e centinaia di statue di tutte le dimensioni. La produzione artistica era favorita dalla presenza nell'isola di cave di marmo statuario (monte Dicheo), e difatti essa ebbe inizio solo nel II sec. a. C. quando le cave furono aperte. Importante è il grande complesso statuario rinvenuto nei cunicoli dell'Odèion e costituito da immagini ritrattistiche di dimensioni maggiori del normale. Alcune testimoniano, nei ritmi dinamici e negli abiti trasparenti resi con grande virtuosismo, le predilezioni della scuola rodio-asiatica del II sec. a. C., cui apparteneva anche C., altre interessano la ritrattistica del I secolo dell'Impero. Una bella statua, nota con la denominazione popolare d'Ippocrate, si deve riferire al gusto classicheggiante asiatico che esprime con grande finezza l'amore per le opere del periodo classico, e che si ritrova soprattutto a Tralles. Le statue di media grandezza e le statuette marmoree trovate in grandissimo numero avevano efficacia tutelare, ossia di protezione della floridezza economica, dell'amore, della salute, della saggezza, della gioia, del culto degli avi e degli eroi. Piace ricordare che, fra queste, a C. furono trovate le uniche riproduzioni riconosciute come tali del prassitelico Eros di Panon, della Callipige e dell'Afrodite di Milo. Questa ultima permette di ricostruire il gruppo originario della dea che arresta, con la mano sinistra poggiata sulla spalla, il fanciullo Eros, inginocchiato su una roccia nell'atto di scoccare la freccia.
I tessuti che si producevano nell'isola erano lavorati in una specie di garza serica, con cui si allestivano vesti che venivano poi tinte di porpora e ricamate d'oro. Pamphile di C. avrebbe, per prima, tessuto di tali vesti, ricavando la seta da un baco speciale oriundo dell'Assiria. Sembra però che C. stessa allevasse una varietà di tali bombici; Plinio lo attesta, almeno per l'età aristotelica. Le vesti di C., genere lussuoso prediletto specialmente dalle cortigiane, erano di estrema leggerezza e trasparenza. Pare che esse arrivassero fino alla corte imperiale.
Bibl.: Per la preistoria e la protostoria: D. Levi, La grotta di Aspripetra a C., in Annuario della Sc. Arch. Ital. di Atene, VIII-IX, 1929, p. 235 s.; L. Morricone, Scavi e ricerche a C., 1935-43, in Boll. d'Arte, XXXV, 1950, p. 320 s.; L. Laurenzi, in Arte antica e moderna, 3, 1958, p. 203 ss. Per la topografia dell'età classica: R. Herzog, in Arch. Anz., 1901, p. 131 s.; 1903, p. i s., p. 186 s.; 1905, p. i s.; I. Zarraftis, Koa, Archaia Toporthesia, Coo 1922; G. Jacopich, in Boll. d'Arte, 1926, p. 332 s.; id., in Clara Rhodos, I, 1928, p. 98 s.; L. Laurenzi, Nuovi contributi alla topografia storico-archeologica di C., in Historia, V, 1931, p. 603 s.; L'Odeion di C., ibid., p. 592 s.; R. Herzog-P. Schazmann, Kos, I, Asclepieion, Berlino 1932, p. XXIV s.; A. Neppi-Modona, L'isola di C. nell'antichità classica, in Memorie dell'Istituto storico-archeologico di Rodi, I, Bergamo 1933; L. Laurenzi, in Boll. d'Arte, 1936-37, p. 136 s.; Arch. Anz., 1936, c. 177 s.; L. T. Shoe, in Hesperia, XIX, 1950, p. 338 ss.; L. Morricone, Scavi e ricerche a C., 1935-43, in Boll. d'Arte, 1950, pp. 54-75, pp. 219-246, pp. 316-331; G. Susini, Nuove scoperte sulla storia di Coo, Bologna 1957. Per l'Asklepièion: R. Herzog-P. Schazmann, op. cit.; inoltre: i rapporti citati di R. Herzog, nell'Arch. Anz., ed ora J. D. Kondis, Le trasformazioni ellenistiche dell'Asklepieion di Coo (in greco), Rodi 1956; quindi, per le iscrizioni, L. Laurenzi, in Clara Rhodos, X, 1941, p. 25 s.; G. Klaffenbach, in Abh. Akad. Wiss. Berlin, 1954. Gli altri testi epigrafici riguardanti l'Asklepièion saranno pubblicati da G. Pugliese-Carratelli a cura della Scuola Archeologica Italiana di Atene. Per l'epigrafia coa: W. R. Paton-E. L. Hicks, The Inscriptions of Cos, Oxford 1891; R. Herzog, Koische Forschungen u. Funde, Lipsia 1889; Heilige Gesetze von Kos, in Abh. Akad. Wiss., Berlino 1928; L. Laurenzi, Iscrizioni dell'Asclepieo di C., in Clara Rhodos, X, 1941, p. 26 s. La bibliografia completa per le iscrizioni fino al 1933 è nell'opera di A. Neppi-Modona, L'Isola di C. nell'Antichità Classica, p. i s.; in seguito M. Segre, incaricato di redigere il corpus delle iscrizioni di C., raccolse, con l'intelligenza e la diligenza che l'hanno reso indimenticabile, un numero imponente d'iscrizioni. Si citano gli articoli pubblicati in: Historia, VII, 1933, pp. 206-208, e VIII, 1934, pp. 429-452; Riv. di Filologia classica, XI, 1933, pp. 365-378; Atti del IV Congresso internazionale di Papirologia, Firenze 1935, (ed. Milano 1936), pp. 359-368; Bull. de la Soc. d'Arch. d'Alexandrie, XXXI, 1937, pp. 286-298; Riv. di Filol. classica, XVI, 1938, pp. 253-263; Riv. dell'Istituto di Archeologia e Storia dell'Arte, VI, 1938, pp. 191-198; Clara Rhodos, VIII, 1936, pp. 229-230, pp. 240-241; IX, 1938, pp. 149-178; Rendiconti della Pont. Accademia di Archeologia, XVII, 1940-41, pp. 21-38; Hellenika, V, 1948, p. 102 s. (postumo). L'opera viene proseguita da G. Pugliese-Carratelli. Per la scultura: M. Bieber, in Jahrbuch, XXXVIII-IX, 1923-24, pp. 242-75; XL, 1925, pp. 167-82; Antike Plastik, Walter Amelung zum 60. Geburtstag, 1928, pp. 16-30; A. Maiuri, Monumenti di scultura del Museo Archeologico di Rodi, I, nn. 1, 6, 8, 11, 21, 24, in Clara Rhodos, II, 1929, pp. 7-76; L. Laurenzi, Monumenti di scultura del Museo Archeologico di Rodi, III, e dell'Antiquarium di C., in Clara Rhodos, V, 1932, 2, pp. 65-189; Monumenti di scultura del Museo archeologico di Rodi, IV, e dell'Antiquarium di C., II, in Clara Rhodos, IX, 1940, pp. 13-120; Sculture inedite dell'Antiquarium di C., in Ann. della Scuola Arch. Ital. di Atene, XXXIII-XXXIV, 1955-56, p. 59 ss.; id., in Riv. Ist. Arch. St. Arte, V-VI, 1956-57, p. 111 ss. Per le chiese paleocristiane: oltre agli articoli di topografia citati si vedano: A. K. Orlandos, Praktikà tis Akad. Athinon, III, 1928, p. 441 s.; H. Balducci, Basiliche protocristiane e bizantine a C., Pavia 1936.