CONVENTO (lat. conventus, propriamente "riunione")
Nello stretto senso canonico della parola, è il luogo dove abitano i religiosi o le religiose di voti solenni. Si dice anche "monastero" o "cenobio". Il convento è casa formata (domus formata), a norma del can. 488,5°, se in esso abitano almeno 6 religiosi professi, dei quali, se si tratta di religione chiericale esente, almeno 4 siano sacerdoti. Non si può fondare un nuovo convento, se non consti prudentemente che si sia provveduto all'abitazione e al sostentamento dei religiosi, o per redditi proprî o per elemosine o in altro modo (can. 496). Per erigere un convento, ossia una casa religiosa esente, tanto formata quanto non formata, oppure un monastero di monache, si richiede il beneplacito della S. Sede e il consenso dell'ordinario del luogo, dato per iscritto. La facoltà di erigere una nuova casa importa, per la religione chiericale, il permesso di avere la chiesa o un oratorio pubblico annesso alla casa, di esercitare il sacro ministero, e di adoperarsi in quelle opere di carità e di apostolato che sono proprie della religione. Per mutare la destinazione del convento è necessario, come sopra, il consenso della S. Sede e dell'ordinario del luogo, purché non si tratti di mutazione concernente soltanto il regime interno. Anche per sopprimere il convento, si richiede il beneplacito della S. Sede (canoni 497, 498).
L'ordinario del luogo, o in persona o per mezzo di un suo delegato, deve ogni cinque anni visitare i conventi delle monache che sono soggetti a lui o immediatamente alla S. Sede, come pure i conventi delle monache che sono soggetti ai regolari, per ciò che riguarda la clausura, e anche circa le altre cose, se il superiore regolare da cinque anni non li abbia visitati (can. 512).
In tutti i conventi propriamente detti, deve osservarsi la clausura papale. A essa soggiace tutta la casa abitata dalla comunità religiosa, compreso l'orto e giardino riservato ai religiosi. Sono esclusi dalla clausura il parlatorio, la foresteria e la chiesa pubblica con l'annessa sagrestia. I luoghi soggetti alla clausura devono essere determinati e resi noti con visibile indicazione. Nel recinto del convento dei regolari soggetto alla clausura, nessuna donna può ammettersi. Sono esenti da questa disposizione le mogli dei governanti civili con il loro seguito. Nella clausura dei conventi delle monache nessuna persona può entrare, senza una speciale licenza della S. Sede. Sono eccettuati i cardinali, i governanti civili con le rispettive mogli e con il seguito, il sacerdote per amministrare i sacramenti alle inferme e assistere le moribonde, l'ordinario del luogo e il superiore o i loro delegati nell'occasione della visita del monastero. La superiora del convento può, con le dovute cautele e previa licenza del vescovo almeno ragionevolmente presunta, permettere l'ingresso al medico, al chirurgo, agli operai, ecc., nei casi di bisogno. A nessuna delle monache è lecito, dopo la professione religiosa, di uscire dalla clausura, senza un indulto speciale della S. Sede, eccettuato il caso dell'imminente pericolo di morte o di un altro danno gravissimo, p. es. nel caso di malattia contagiosa, d'incendio, d'inondazione, di terremoto, ecc. La clausura delle monache, anche di quelle che sono soggette ai regolari, è posta sotto la diretta vigilanza dell'ordinario del luogo, il quale ha il dovere di custodirla gelosamente e di punire con speciali sanzioni i colpevoli (canoni 597-603). Chi viola in qualsiasi modo la clausura papale incorre la scomunica riservata simpliciter alla sede apostolica, a norma del canone 2342.
Per le forme architettoniche degli edifici conventuali e per la loro storia, v. abbazia; certosa; monastero.