contrattualismo
Concezione filosofico-politica secondo la quale lo Stato nasce da un contratto tra i singoli individui.
La prima formulazione del c. si incontra nella sofistica greca, soprattutto in Antifonte. Qui il motivo contrattualistico si ricollega alla generale contrapposizione tra ciò che è «per natura» (φύσει) e ciò che è «per convenzione» (νόμῳ), tema che attraversa la cultura del tempo come motivo critico di discriminazione rispetto a istituti o valori tradizionali (come le credenze religiose, le leggi ritenute d’istituzione divina, le sacre tavole dei legislatori originari, ecc.). Antifonte contrappose ogni costituzione politica e ogni legge giuridica risultante da convenzione umana alle pure leggi di natura, che regolano la vita dell’uomo. L’idea di un contratto originario si accentua con Epicuro: lo Stato è un’associazione volontaria in forza della quale gli uomini si garantiscono contro reciproche offese. In generale, nel pensiero antico, il contratto non è considerato né un’ipotesi storica, né un’idea razionale; non è chiamato a spiegare le origini delle società umane, né il rapporto di sovranità; neppure postula diritti che l’individuo vuol far valere contro lo Stato. Lo Stato è sempre un’istituzione naturale e necessaria, anche quando sorge per volontà degli individui; il contratto è piuttosto un accordo che mira a risolvere il problema della giustizia positiva contro la tirannide.
Ma la vera e propria idea di un patto sociale, che è all’origine della società umana, sorge nel Medioevo, nell’11° sec., durante la lotta tra papi e imperatori per le investiture. Il monaco alsaziano Manegoldo di Lautenbach, impegnato a difendere l’autorità del papa contro l’imperatore, sostiene che un governante tirannico merita di essere deposto, e che «il suo popolo si affranca dal suo dominio e dalla sua signoria quando risulta evidente che il governante per primo ha rotto il patto (pactum) in virtù del quale era stato designato». È, questa, la prima formulazione precisa della teoria del ‘contratto sociale’. Nel 13° sec. Tommaso d’Aquino si riconosce nella posizione secondo la quale il potere reale ha un’origine popolare: il popolo ha il diritto, in caso di abuso del potere da parte del sovrano, di restringere o di abolire del tutto tale potere. Alla fine del Medioevo è ormai convinzione diffusa che lo Stato abbia avuto origine in un contratto sociale (pactum societatis), e che prima di tale contratto gli uomini vivessero del tutto indipendenti in uno ‘stato di natura’. Questa idea risorge in età moderna e diventa, insieme al giusnaturalismo (➔), lo strumento più efficace della rivendicazione dei diritti individuali. All’interno del pensiero riformato si viene affermando il diritto del popolo di ribellarsi al re quando questi venga meno agli impegni del patto originario e diventi un tiranno; ne sono un es. le calviniste Vindiciae contra tyrannos di Philippe Du Plessis de Mornay (pubblicate a Ginevra nel 1579 e diffusesi presto in tutta Europa). Pochi decenni dopo, un altro tra i più coerenti monarcomachi calvinisti, Althusius, nella Politica methodice digesta (1603) pone un patto all’origine sia dei piccoli gruppi (famiglia, corporazione) sia dello Stato, che nasce da una volontaria associazione di corpi politici minori. Tale concezione si unisce alla dottrina della inalienabilità della sovranità di cui il popolo è titolare: il re o i magistrati sono sempre famuli et ministri del popolo, e quindi la sovranità a essi delegata può essere revocata in caso di infrazione del contratto.
La grande stagione del c. è quella che abbraccia il 17° e 18° sec., quando l’idea del patto ha la sua massima affermazione per opera della scuola del diritto naturale. Il modello giusnaturalistico si contrappone alla teoria del diritto divino dei regnanti, ma anche alla tradizione aristotelica, che vedeva nello Stato l’esito di un processo fondato sulla naturale socievolezza dell’uomo e sulla altrettanto naturale disuguaglianza degli individui (per cui alcuni nascono ‘atti al comando’ e altri all’obbedienza): per i giusnaturalisti, invece, lo Stato è l’esito di una decisione razionale, presa da individui liberi ed eguali e sancita da un patto o contratto. Il principio di legittimazione del potere politico sta quindi nel libero consenso di coloro che a tale potere dovranno obbedire. Attraverso il contratto gli individui convengono di uscire dallo stato di natura – dove godono della massima libertà ed uguaglianza, ma sono privi di sicurezza e di garanzie – e di formare una società civile alienando una parte più o meno cospicua dei loro diritti naturali e sottomettendosi a un potere centrale. Per Hobbes la cessione dei diritti dev’essere quasi completa (esclude solo il diritto alla vita), in quanto solo un potere assoluto permette agli uomini, che sono dominati da passioni antisociali (competitività, brama di potere, ricchezza, gloria), di convivere in pace. Il grande sistematizzatore delle tematiche contrattualistiche è Pufendorf, che offre la formulazione più rigorosa della teoria del doppio contratto. Lo Stato nasce da due diverse convenzioni: il pactum societatis, o patto di associazione, che dà origine alla società (cioè trasforma una moltitudine di individui in un popolo) ed è stipulato singuli cum singulis, e il pactum subiectionis, o patto di sottomissione, che dà origine alla sovranità ed è stipulato tra popolo e sovrano. In mezzo cade una delibera costituzionale sulla forma di governo, che viene decisa a maggioranza. Tramite questi due patti gli individui cedono una parte considerevole dell’illimitata libertà di cui godevano nello stato di natura, ma ottengono in cambio difesa dell’ordine interno e protezione dai nemici esterni. Per Locke, che ha una visione della natura umana meno pessimistica di quella hobbesiana, nella società civile o politica è possibile conservare quasi tutti i diritti naturali: nasce in tal modo uno Stato limitato nei suoi poteri, che garantisce un’ampia sfera di libertà individuali (in primo luogo diritto alla vita, alla liberà personale e alla proprietà privata). Per Rousseau, con il contratto sociale gli individui cedono la totalità dei loro diritti naturali e individuali, ma li cedono alla comunità di cui essi stessi fanno parte, e dunque li riacquistano in quanto cittadini, ossia in quanto membri perfettamente eguali del corpo sovrano, che coincide con il corpo sociale: nasce in tal modo uno Stato democratico, nel quale la volontà collettiva diviene sovrana. Anche in Kant, come in Locke, il potere dello Stato (il cui fine è la creazione del diritto positivo) incontra precisi limiti nei diritti dei singoli individui. Kant trasforma il contratto in un’idea della ragione non derivata dall’esperienza, ma necessaria per la valutazione delle costituzioni esistenti (quando il sovrano fa le leggi, le deve fare ‘come se’ esse dovessero derivare dal consenso dei cittadini). L’idea del contratto diventa così l’espressione e la condizione a priori della legittimità e razionalità dello Stato e viene a costituire uno dei presupposti fondamentali delle dottrine politiche che ispirano le rivoluzioni democratico-liberali.
Il sec. 19° in reazione all’ideologia rivoluzionaria e giusnaturalistica doveva negare l’idea contrattuale. Lo Stato fu concepito come una necessità morale, oppure come una necessità naturale o storica: in ogni caso un organismo che ha in sé le sue ragioni di vita e di sviluppo. Il ritorno a Kant nella seconda metà del secolo, come reazione all’empirismo sociologico, segnò un ritorno all’idea contrattuale. Lo schema concettuale della politica come ‘programma artificiale’, secondo il quale la società costituisce un problema normativo piuttosto che un dato di fatto, è stato ripreso e sviluppato nella seconda metà del Novecento da alcuni indirizzi di pensiero filosofico detti neocontrattualisti. Queste concezioni sono influenzate in particolare dalla teoria contrattualista della giustizia, elaborata da Rawls, che punta alla costruzione del modello di «società giusta» come esito delle scelte razionali compiute da individui e gruppi. La prospettiva neocontrattualista, che presuppone una nozione di società caratterizzata dalla simultanea presenza di identità e differenza, cooperazione e conflitto, si propone come schema di ricerca delle soluzioni di equità più confacenti ai sistemi di democrazia di massa.