sponsorizzazione, contratto di
sponsorizzazióne, contratto di. – Il contratto di sponsorizzazione nasce storicamente nel diritto romano dove, con la sponsio, il promittente-debitore si obbligava a tenere, in favore della controparte, una prestazione nella quale coesistevano elementi di garanzia e obblighi di fare. Dopo la rielaborazione dell’istituto avvenuta in ambiente anglosassone, anche in Italia ha trovato sviluppo un nuovo modello di contratto di sponsorizzazione, inteso quale contratto attraverso cui una parte – detta sponsorizzato (ovvero, secondo la terminologia anglosassone, sponsee) – si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire all’altra (sponsor) l’uso della propria immagine e del proprio nome per promuovere presso il pubblico un marchio o un prodotto. Lo sponsor, dunque, fornisce prestazioni in denaro o in natura allo sponsorizzato in cambio della possibilità di associare la propria identità all’attività, al nome o all’immagine di quest’ultimo, al fine di trarne direttamente o indirettamente vantaggi commerciali. Dall’analisi della prassi può pertanto qualificarsi un tale contratto come atipico, a forma libera e a prestazioni corrispettive. È dato registrare un aumento esponenziale del ricorso a tale figura a seguito dell’avvento della società industriale e, in particolare, con l’uso massiccio delle comunicazioni pubblicitarie nella televisione commerciale. Il contratto di sponsorizzazione è per lo più stipulato in ambito sportivo, culturale, televisivo, nonché come fonte di finanziamento degli enti locali. Il legislatore italiano contempla il contratto di sponsorizzazione in più disposizioni. A titolo d’esempio, in materia di spettacoli televisivi e radiofonici, la l. 223/1990 prevede il finanziamento di programmi da parte di imprese pubbliche o private; la l. 449/1997 consente anche alle pubbliche amministrazioni – al fine di favorire l'innovazione dell'organizzazione amministrativa, nonché di realizzare maggiori economie e una migliore qualità dei servizi prestati – di stipulare contratti di sponsorizzazione con soggetti privati e associazioni senza fini di lucro, purché vi sia il perseguimento di interessi pubblici, sia esclusa ogni forma di conflitto di interesse tra l'attività pubblica e quella privata e, infine, sia comunque conseguito un risparmio di spesa rispetto agli stanziamenti disposti. La l. n. 448 del 1998 conferma che le amministrazioni possono ridurre il proprio disavanzo anche attraverso la stipula di contratti di sponsorizzazione allo scopo di conseguire maggiori economie di gestione. Il d. lgs. 267/2000 consente, poi, anche agli enti locali di stipulare contratti di sponsorizzazione, al fine di favorire una migliore qualità dei servizi prestati; ancora, il d. lgs. 300/2004 vieta qualsiasi forma di sponsorizzazione dei prodotti del tabacco; infine, il d. lgs. 42/2004, in materia di beni culturali, consente l’attività di sponsorizzazione per la progettazione o l'attuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale. Avendo riguardo alla prassi, frequentemente lo sponsee s'impegna a non tenere comportamenti che possano ledere la reputazione o arrecare pregiudizio allo sponsor. Tuttavia, anche in mancanza di tale espressa pattuizione, si ritengono generalmente operanti gli obblighi di protezione della controparte, relativi anche al dovere di astensione da condotte lesive dell’altrui patrimonio. È altresì consueta la stipulazione, per arricchire il contenuto contrattuale, delle seguenti clausole: clausola di prelazione, con cui si prevede l’obbligo per lo sponsee di concedere la preferenza, a parità di condizioni, allo sponsor in sede di rinnovo contrattuale; clausola di adeguamento, che ha la funzione di aumentare o diminuire la misura dell’obbligazione dello sponsor in relazione ai risultati dell’opera svolta dallo sponsee; clausola assicurativa, che serve a coprire il rischio di eventuali difficoltà economiche dello sponsee. Giova mantenere distinta la figura del contratto, a prestazioni corrispettive, di sponsorizzazione, da altri istituti, riconducibili invece alla donazione, come gli atti di mecenatismo, caratterizzati da una prevalente causa di liberalità. È il caso dell’erogazione fatta per mero spirito di filantropia, a cui non corrisponde l’obbligo da parte del beneficiario di divulgare il nome del benefattore, dovendo egli limitarsi a svolgere solo l’attività sponsorizzata. Il mecenate non ha dunque alcun intento pubblicitario della propria immagine. Anche nel caso del patrocinio, in cui il nome del soggetto che ha sovvenzionato un determinato evento viene generalmente indicato nelle locandine e nei manifesti, il contratto rimane essenzialmente unilaterale. Si parla in tal caso di sponsorizzazione impropria, caratterizzata dall’assenza di un vero scambio, qualificabile entro la categoria del contratto con obbligazione a carico del solo proponente. In effetti, nel contratto di sponsorizzazione lo sponsee non si impegna solo a un pati, ossia a subire la divulgazione del suo nome e della sua immagine, ma anche a un facere, obbligandosi, cioè, a veicolare l’immagine dello sponsor affinché la stessa abbia la massima risonanza.
Sport. – Le forme di comunicazione pubblicitaria che promuovono la conoscenza di una marca o l’acquisto di un prodotto attraverso eventi, manifestazioni o personaggi che godono dell’attenzione di pubblico e media, dagli anni Ottanta del secolo scorso hanno avuto nello sport un riferimento naturale. Gli anni Duemila hanno seguito le linee di tendenza già esistenti, ampliandole. Si può dire che si sono sviluppate, qualitativamente e quantitativamente, le modalità attraverso cui si realizza la partnership tra una o più aziende e un club, un’organizzazione calcistica, un testimonial o un evento, modalità a volte anche diverse tra loro. L’entrata e l’espansione all’interno dello sport professionistico di una serie di apparati legati al ruolo sempre più notevole dell’economia e l’uso, con frequenza crescente, dei relativi concetti e termini, hanno fatto anzi invocare, da molte parti, un ritorno ai valori essenziali dello sport, sia pure a livello professionistico. Si è sviluppato infatti un processo seppur in parte contraddittorio: le sponsorizzazioni e la globalizzazione dei mercati da un lato concorrono a determinare il successo mondiale dello sport, dall’altro tendono, se non a soffocare, almeno a modificare la sua naturale espressione di spontaneità, di ricerca del benessere, del miglioramento, dell’eccellenza. Tra i termini ormai usati comunemente nell’ambito di tale materia troviamo il title sponsor, ossia lo sponsor che dà il proprio nome alla manifestazione che vuole promuovere. Per es., varie leghe calcio hanno tratto significative entrate dalla sponsorizzazione della principale manifestazione nazionale, e ormai i campionati assumono il nome dello sponsor in diversi paesi, tra cui l’Italia. Negli ultimi anni, diversi club calcistici europei hanno inoltre ceduto agli sponsor la titolazione (e di fatto la costruzione) dei loro stadi, secondo una prassi presente già dagli anni Settanta nello sport professionistico statunitense: si tratta del mercato dei naming rights, i diritti (e il loro costo) sul nome dell’impianto, mercato che sembra destinato a espandersi, nonostante qualche resistenza nel tessuto culturale (tifoserie affezionate al vecchio impianto, titolazione dello stesso a una zona storica della città o a un personaggio particolare, ecc.). Le sinergie tra sport e comunicazione nel caso delle Olimpiadi e dei Campionati del mondo di calcio (ma non solo) offrono agli sponsor immensi ritorni d'immagine e notorietà di marca. L’attività del CIO (Comité international olympique) è, infatti, principalmente finanziata dai proventi dei diritti televisivi sulle Olimpiadi e da accordi di sponsorizzazione: partecipano all’Olympic programme 11 grandi multinazionali che versano ciascuna al CIO diverse decine di milioni di euro l’anno per potere sfruttare commercialmente, su scala mondiale, la qualifica di sponsor ufficiale dei Giochi. Gli sponsor hanno inoltre un ruolo di sostegno verso le federazioni, anche con la fornitura di materiale tecnico, da gara o da allenamento; da qui la nascita di una serie di criteri interni, spesso assai precisi, per classificare l’appannaggio e in altri casi persino la visibilità mediatica dei singoli atleti. La gestione dei diritti di immagine entra a pieno di titolo nei contratti che legano il professionista dello sport al proprio team: a volte, infatti, anche sponsor di prodotti non rigorosamente collegati allo sport (generi alimentari, ecc.) puntano direttamente sull'atleta. L’atteggiamento favorevole del tifoso si commistiona così con la predisposizione all’acquisto, purché l’abbinamento risulti credibile. Un'altra importante problematica è quella relativa al potere acquisito degli sponsor, alle forme e ai limiti che esso possa o debba conoscere. Lo stesso dilatarsi televisivo dei tempi pubblicitari in forme più ampie e distanti dalla tradizionale ed efficace concisione dello spot (televendite, programmi prevalentemente funzionali alle sponsorizzazioni), o la presenza corposa di pagine pubblicitarie su rotocalchi e quotidiani, anche in tempi di crisi economica, non fa che accrescere l’autoreferenzialità di tali mezzi. D’altro canto, anche il recente impiego in televisione di testi brevissimi, ma assai frequenti e a volte persino disturbanti (la rapida comparsa di icone pubblicitarie nella parte inferiore dello schermo durante un programma), risponde alla medesima logica. In qualche caso quindi emerge la sensazione che l’evento sportivo valga anche per il suo 'confezionamento', oltre che per la sostanza. Determinati incontri sono a volte fatti assurgere a eventi televisivi anche dagli sponsor e dai media, oltre che dal valore tecnico dei contendenti. Così come le località designate come sede di alcuni importanti eventi sportivi non sempre appaiono legate soltanto alla storia e alla tradizione dello sport stesso: si pensi alla scelta della sede olimpica del 1996 (anno del centenario delle Olimpiadi moderne, che molti consideravano un viatico naturale per Atene), caduta invece su Atlanta. Figlia di tale meccanismo appare anche la tendenza, nata a sua volta negli ultimi anni dello scorso secolo, a rimodernare tornei ritenuti obsoleti e poco appetibili dagli sponsor, essenzialmente cambiandone la formula e favorendo la partecipazione delle squadre più importanti: è il caso, per es., della sostituzione, nel calcio, del precedente format della Coppa dei campioni con l’attuale Champions league, alla quale possono partecipare anche formazioni che non hanno vinto il campionato nazionale. Tra sport, media ed economia agisce dunque un duplice meccanismo: l’economia trae profondi e remunerativi benefici dal mondo sportivo e ha tutto l’interesse a finanziarlo e promuoverlo; lo sport beneficia sicuramente di tale promozione rischiando però di essere condizionato dal potere del benefattore. In termini pratici abbiamo da una parte l’uso dello sport come strumento commerciale verso la platea degli eventi, dall’altra il fatto che tale platea sia il terreno che favorisce la possibile diffusione della pratica sportiva e la sua rappresentazione simbolica (qual è, per es., il merchandising).