contradizione
Termine di uso raro in D. e con riferimento al suo valore logico. Aristotele aveva definito la c. (ἀντίφασις, contradictio) come un'antitesi priva di qualsiasi termine intermedio (" Contradictio autem est oppositio cuius non est medium secundum se ", Anal. post. I 2, 72a 12-14) e, più particolarmente, come opposizione tra due proposizioni, affermativa l'una negativa l'altra, rispetto a un medesimo oggetto. Sicché, tali proposizioni contrapposte non possono essere simultaneamente né entrambe vere né entrambe false, e la verità dell'una implica la falsità dell'altra e viceversa (Aristotele Periherm. 6, 17a 25-35 " Adfirmatio vero est enuntiatio alicuius de aliquo, negatio vero enuntiatio alicuius ab aliquo... omni adfirmationi est negatio opposita et omni negationi adfirmatio. Et sic contradictio, adfirmatio et negatio oppositae; dico autem opponi eiusdem de eodem, non autem aequivoce "; del principio di c. Aristotele aveva dato una fondamentale analisi in Metaph. IV 2-4).
In tal senso il termine è usato in Pd VI 21 Io li credetti; e ciò che 'n sua fede era, / vegg'io or chiaro si, come tu vedi / ogne contradizione e falsa e vera. Qui Giustiniano propone a D., come esempio dell'evidenza con cui un contenuto di fede gli è svelato in Paradiso, l'evidenza con cui la ragione naturale scorge necessaria nella c. l'esistenza di una proposizione vera contrapposta a una falsa (cfr. il commento di Ammonio al citato passo del Perihermeneias di Aristotele: " Per hoc igitur colligens quia omni affirmationi opponitur aliqua negatio, verae quidem falsa, falsae autem vera, et omni negationi affirmatio eodem modo, diffinivit contradictionem oppugnationem affirmationis et negationis earum quae secundum veritatem et falsitatem opponuntur "). Ma qui l'uso dantesco va oltre una semplice intenzione esemplificativa. Di fatto la perentorietà ed evidenza logica della c. riassume e chiarisce la netta e ineliminabile contrapposizione tra tesi monofisitica (una natura in Cristo esser, non piùe) e tesi ortodossa (fede sincera) sostenuta da Agapito, tale che alla verità dell'una deve corrispondere la falsità dell'altra, senza alcuna possibilità intermedia. Inesatta la spiegazione di molti commentatori che parlano di c. tra due ‛ termini ' di un giudizio contraddittorio; per Aristotele infatti non sussiste verità o falsità rispetto a termini o elementi semplici che entrano a comporre una proposizione, ma solo rispetto a proposizioni (cfr. Periherm. 1, 16a 12-16 " Circa compositionem enim et divisionem est falsitas veritasque. Nomina igitur ipsa et verba consimilia sunt sine compositione vel divisione intellectui, ut ‛ homo ' vel ‛ album ', quando non additur aliquid; neque enim adhuc verum aut falsum est "; Cat. 4, 2a 8-10 " Omnis enim affirmatio et negatio videtur aut vera aut falsa esse; eorum autem quae secundum nullam complexionem dicuntur nullum neque verum neque falsum est, puta homo, album, currit, vincit ").
Di forte rilievo è il termine in If XXVII 120 assolver non si può chi non si pente, / né pentére e volere insieme puossi / per la contradizion che nol consente; posto al culmine della progressione logica del discorso del diavolo loico, il termine rappresenta anche la chiave di volta della dimostrazione. La c. tra pentimento che è ‛ volontà di non peccare ' (cfr. Decr. Grat. De Poenit. 3, 5 " Dicit enim Dominus: ‛ Vade et amplius noli peccare ' 8 Ioan. 11; Non dixit: ne pecces, sed: nec voluntas peccandi in te oriatur ") e simultanea (insieme) volontà di peccare, è ciò che rende non valida e comunque impossibile l'assoluzione. Questa impeccabile dimostrazione condotta sul filo contenzioso della dialettica (Forse / tu non pensavi ch'io löico fossi) è ciò che drammatizza la figura del demonio, il quale arreca a giusto titolo della perdizione di un'anima un dato della dottrina cristiana dimostrato per via di retta ragione.
Il termine ricorre ancora in Cv I VI 11, dove è detto che non è contradizione tra l'affermare che il latino non può conoscere li amici del volgare (§ 10) e che lo latino pur conversa con alquanti amici de lo volgare: se infatti la conoscenza deve essere perfetta e non defettiva, dire che il latino non può conoscere gli amici del volgare è quanto dire che non può conoscerli perfettamente, cioè tutti. Non è quindi contraddittorio affermare che ne conosce, in modo ‛ difettivo ', solo alquanti. Ugualmente in IX 9 si dice che non ha contradizione se tra coloro ne li quali vera nobilità è seminata, i quali sono quasi tutti volgari (§ 8), vi sia alcuno litterato, cioè conoscitore di latino; ambedue i casi infatti sono simultaneamente possibili. Ancora in Ep XI 25 D. accusa il cardinale Stefaneschi di atteggiamento contraddittorio per aver contrastato Filippo il Bello ma non l'elezione di Clemente V, contribuendo così al trasferimento del papato ad Avignone (illustrium Scipionum patriae potuisti hunc animum sine ulla tui iudicii contradictione praeferre).