UMBERTO II, conte
UMBERTO II, conte. – Nacque probabilmente alla fine degli anni Sessanta dell’XI secolo da Amedeo II, conte della parentela degli Umbertini, che in quel periodo non usavano ancora l’appellativo di conti di Savoia. Non è certa l’identità della madre, che solo fonti tarde e poco attendibili indicano in Giovanna, figlia del conte di Borgogna Geroldo II.
Una carenza di attendibilità caratterizza, a dire il vero, molti dei documenti che contengono menzioni di Umberto.
Amedeo II morì probabilmente nel 1080. Umberto è detto conte in un atto del 1081, pervenuto in copia tarda, ma considerato attendibile dall’editore, con il quale eseguiva una donazione al monastero di Novalesa affiancato dal vescovo Conone di Moriana. La tradizione storiografica che vorrebbe il potere comitale gestito congiuntamente, in quegli anni, tra Umberto e un suo fratello di nome Oddone si appoggia su documenti falsi e deve essere respinta. Come per i precedenti esponenti del lignaggio, nella documentazione affidabile relativa a Umberto il titolo comitale non è associato ad alcuno spazio geografico: soltanto con suo figlio, Amedeo III, si sarebbe imposta la denominazione di conte di Moriana, usata poi durante tutto il XII secolo.
Fino agli anni Novanta dell’XI secolo gli Umbertini controllarono, oltre ai comitati del Regno di Borgogna, anche la Marca di Torino, nel Regno italico. Formalmente la marca funzionava ancora come una circoscrizione pubblica i cui governatori agivano nel contesto di una designazione regia. Nella prima metà del secolo si successero nell’esercizio della carica i membri della parentela italica degli Arduinici, impegnati in un ambizioso tentativo di dinastizzazione del potere sui territori governati; nel 1044-51 il titolo fu conseguito da Oddone, nonno di Umberto, all’indomani del suo matrimonio con Adelaide, figlia dell’ultimo marchese arduinico Olderico Manfredi. L’effimera convergenza di circoscrizioni italiche e borgognone sotto il controllo di una sola parentela non produsse una dominazione principesca omogenea estesa sui due versanti alpini, come dimostra il fatto che, dei due figli di Oddone – Pietro e Amedeo II –, il primo detenne dopo la morte del padre la sola carica marchionale e il secondo il solo titolo comitale. Nel 1091 morirono tanto Adelaide, sino allora garante della continuità arduinica nella gestione del potere sulla marca, quanto il nuovo marchese Federico di Montbéliard, che aveva sposato la figlia di Pietro, Agnese.
Nei primi anni Novanta Agnese e i suoi figli tentarono di esercitare, come i precedenti marchesi, un’egemonia politica e un’autorità di ascendenza pubblica sul territorio della marca, come dimostra la presenza di visconti attivi a Torino come ufficiali pubblici. Ma dovettero scontrarsi con l’ostilità della Chiesa vescovile e della comunità cittadina torinesi – contenuta con la forza delle armi grazie all’intervento del capo militare francese Burcardo di Montrésor – e con le ambizioni concorrenti di altri poteri in grado di rivendicare l’eredità adelaidina. Si trattava, oltre che dell’imperatore Enrico IV stesso, dell’aleramico Bonifacio «del Vasto», nipote di Adelaide, e appunto di Umberto II, che intendeva ripristinare il controllo umbertino su entrambi i versanti delle Alpi occidentali e che incominciò probabilmente in quegli anni a servirsi della titolatura marchionale accanto a quella comitale.
L’uso della doppia qualifica di conte e marchese nei testi relativi a Umberto non fu sistematico. La impiegò Anselmo di Canterbury in una lettera a lui indirizzata intorno al 1100 e compare anche nelle notizie relative a concessioni eseguite da Umberto, intorno al 1097, a favore di enti religiosi. Una riguarda i monaci di Aulps; l’altra, riportata in un documento interpolato, si riferisce a una donazione per l’anima del padre al priorato cluniacense del Bourget e allude, tra l’altro, al «viaticum ultramarinum» di Umberto, deciso a partire per la crociata (Regesta comitum Sabaudiae..., a cura di D. Carutti, 1889, p. 83, doc. 232): iniziativa, questa, non altrimenti documentata. In altri atti Umberto usa la titolatura semplice di comes. I discendenti di Umberto si sarebbero detti, oltre che conti, marchiones in Italia durante gran parte del Basso Medioevo.
L’uccisione di Burcardo di Montrésor, nel 1096, e l’abbandono del Piemonte da parte dei figli di Agnese aprirono la strada all’intervento diretto di Umberto nella marca.
Non è attendibile l’identificazione del conte con un «Ubertus filius quondam Amedei» che nel 1094 avrebbe eseguito una ricca donazione di beni nella zona di Castellamonte, in Canavese, a favore della Chiesa eporediese (Regesta comitum Sabaudiae..., cit., p. 82, doc. 227), identificazione che è stata in passato usata per suggerire che Umberto avesse tentato, già in quell’anno, un’invasione della marca attraverso la valle d’Aosta, che apparteneva ai domini borgognoni del ramo comitale umbertino. È invece verosimile che Umberto abbia raggiunto il Piemonte entro la primavera del 1098, probabilmente passando attraverso la valle di Susa.
Umberto e Bonifacio seppero sfruttare il crescente protagonismo politico e l’irrequietezza militare delle principali collettività cittadine della regione, come quella torinese e quella astigiana, ribellatasi al potere marchionale già durante l’età di Adelaide. Il vescovo e l’aristocrazia laica torinesi, che in quelle fasi convulse erano sostanzialmente rimasti padroni della città, erano sensibili alla minaccia che avrebbe costituito un potere umbertino forte lungo la strada di Francia ed espressero una provvisoria convergenza nel segno di un appoggio a Bonifacio, il quale controllava invece la parte meridionale della marca. Umberto, a quanto pare, si procurò invece l’alleanza degli astigiani, come proverebbe un accordo del luglio del 1098, pervenuto in una copia bassomedievale e probabilmente oggetto di interpolazioni. Stando a quell’atto il conte si sarebbe impegnato a cedere all’episcopio e ai consoli di Asti il controllo di vari luoghi nel Piemonte meridionale – tutti territori su cui, in verità, esercitava in quella fase uno scarso controllo – e avrebbe accordato agli astigiani privilegi ed esenzioni, oltre a impegnarsi a soggiornare di qua dalle Alpi.
Non conosciamo i modi né gli esiti immediati del confronto tra Umberto e Bonifacio, ma è certo che nessuno dei due riuscì nell’intento di controllare l’intera marca, che perse in tal modo la coesione politica e la funzionalità circoscrizionale. Mentre Bonifacio e la sua parentela consolidarono il proprio radicamento nel settore meridionale, l’influenza di Umberto si limitò alla valle di Susa, nucleo storico della potenza patrimoniale e signorile degli Arduinici, che durante il XII secolo sarebbe rimasta la sola testa di ponte permanente degli Umbertini in Piemonte.
La presenza nel Regno italico fornì a Umberto la possibilità di rafforzare il proprio controllo sulla valle di Susa e sui territori pedemontani siti immediatamente al suo sbocco. Risale al 1097 o al 1098 la notizia della conferma, rilasciata dal conte alla prevostura di S. Lorenzo di Oulx, delle donazioni eseguite da Adelaide; l’atto sarebbe stato stipulato nel castrum di Susa. Del novembre del 1098 è la concessione di beni in Frossasco, nel Pinerolese, all’abbazia di S. Maria di Pinerolo, una fondazione arduinica. Umberto l’eseguì a Sant’Ambrogio, nei claustra del monastero valsusino di S. Michele della Chiusa, che aveva rapporti conflittuali con la Chiesa torinese. I due atti sono interessanti anche perché riferiscono della presenza, accanto a Umberto, di esponenti dell’aristocrazia rurale tanto della valle (come Merlo di Avigliana, testimone in entrambi) quanto della pianura fra Pinerolo e Torino (è il caso di Merlo di Piossasco, attestato nel documento clusino).
Charles William Previté Orton ha sostenuto che durante questa permanenza valsusina Umberto, con un gesto che enfatizzava i connotati pubblici del potere da lui rivendicato, istituì la zecca di Susa, destinata a rimpiazzare quella transalpina di Aiguebelle, oggetto di contrasti fra gli Umbertini e gli arcivescovi di Vienne.
Ancor meno chiare degli eventi piemontesi sono le vicende politiche in cui Umberto fu coinvolto entro i domini borgognoni. Una tradizione tarda gli attribuisce l’inglobamento della Tarentaise nell’area di influenza comitale. Il dominio sull’area era stato accordato agli arcivescovi di Tarentaise, intorno al Mille, dai re di Borgogna e le prime notizie certe del passaggio della diocesi sotto il controllo umbertino sono del XII secolo.
Cronache sabaude della fine del Medioevo riferiscono che Umberto, dopo aver occupato Briançon e sottomesso il dominus del luogo, si impadronì della Tarentaise, ove da qualche tempo nessuno sarebbe più stato in grado di esercitare la giustizia. La narrazione non sembra attendibile e non convince l’argomentazione di Previté Orton, che ha tentato di dimostrarne la credibilità asserendo che un visconte di Tarentaise, attestato nella seconda metà dell’XI secolo, dovesse di certo agire come ufficiale comitale e non vescovile.
È sicuro che Umberto abbia intrattenuto rapporti buoni tanto con i conti di Ginevra quanto con l’episcopio di Moriana, il cui titolare, Conone, è attestato nell’entourage del conte in più occasioni e fu tra i tutori del figlio Amedeo III. Vi furono interazioni anche con la Chiesa di Aosta, che durante l’età di Adelaide aveva avuto con gli Umbertini rapporti difficili a causa della concorrenza per il controllo di prerogative di ascendenza pubblica. In un anno compreso fra il 1080 e il 1103 Umberto ratificò la cessione del priorato di S. Elena di Sarre, eseguita dal vescovo di Aosta e canonico ginevrino Bosone a favore dei monaci di Saint-Victor di Ginevra, di cui il conte era avvocato. Nel 1100, poi, Umberto avrebbe donato la chiesa valdostana di S. Lorenzo di Chambave all’abbazia di Fruttuaria. I rapporti fra il conte e altri episcopi interessati dal suo dominio non sono chiariti dalle scarse fonti a disposizione.
Di là dalle Alpi Umberto mantenne verosimilmente il forte controllo che la famiglia aveva sino allora esercitato sull’abbazia di Saint-Maurice d’Agaune, nel basso Vallese. Intorno agli anni Novanta avrebbe contribuito alla dotazione dei monasteri di Bellevaux e Aulps; è dubbia la notizia secondo cui Umberto costituì una dotazione per il priorato cluniacense di Saint-Symphorien d’Innimont, nella diocesi di Belley, trasmessa in età moderna da Samuel Guichenon.
Morì il 19 ottobre 1103. Aveva sposato Gisla, figlia di Guglielmo II, conte di Borgogna, che dopo la sua morte si sarebbe risposata con Ranieri, marchese di Monferrato. Ebbe almeno sei figli: di Guglielmo e Umberto sono noti soltanto i nomi; Amedeo gli successe nel titolo comitale; Rinaldo divenne prevosto di Saint-Maurice entro il 1116; Adelaide sposò nel 1115 il re di Francia Luigi VI; Agnese sposò intorno al 1120 Arcibaldo VI di Borbone.
Le Chroniques de Savoie, scritte all’inizio del Quattrocento, sostengono che fu sepolto in Tarentaise, nella cattedrale di Moûtiers; la notizia, che a sua volta deriva probabilmente da una tradizione esistente fra i canonici di quella chiesa, è oggi considerata inattendibile. La tradizione erudita gli attribuisce l’appellativo «Reinforciatus», che non è attestato in fonti coeve, a esclusione di un documento assai dubbio riportato da Guichenon.
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