BONIFACIO, conte e duca di Lucca
Capostipite italiano, e primo di questo nome, della dinastia che resse il ducato di Lucca (poi marchesato di Toscana) quasi senza interruzione fino al 931, scese in Italia al seguito di Carlo Magno e di suo figlio Pipino. Era di stirpe bavara, come possiamo apprendere da un documento della figlia Richilde abbadessa del monastero dei SS. Benedetto e Scolastica di Lucca (Memorie e doc. per servire all'istoria del ducato di Lucca, IV, 2, Appendice a cura di D. Barsocchini, Lucca 1836, n. 25, pp. 35 s.) e dovette essere investito dell'ufficio da Carlo Magno allorché, morto Pipino, prese in mano direttamente, per qualche mese, il governo d'Italia (il Falce attribuisce, invece, l'investitura a Pipino).
Di B. sappiamo che fu presente a Pistoia nel marzo 812 ad un placito del messo imperiale abate Adalardo. La controversia riguardava l'obbligo dell'abate di un piccolo monastero, di fondazione privata, di prestare il servizio militare ed interessava, perciò, da vicino l'ordinamento pubblico: nonostante ciò né B. né alcun suo messo vi prese parte diretta. L'anno seguente (aprile 813) egli viene nominato, solo perché rappresentato da uno scabino, in un placito tenuto a Lucca dal vescovo cittadino unitamente a quello di Corsica per una causa di conferma della scomunica, di un sacerdote.
Nel primo dei due placiti B. è indicato col titolo di "dux", mentre nel secondo è chiamato dal vescovo di Lucca "comes noster". I due titoli appariranno insieme anche per i successori di B. e il Cianelli ha sostenuto che quello di conte stava ad indicare l'autorità sulla città e l'altro di duca il potere sulle terre dipendenti da Lucca. In realtà proprio sotto il governo di B. il comitato lucchese inizia a estendere il suo dominio sulle contee vicine, come quelle di Pisa, Volterra, Pistoia e Luni, sul modello del vescovo cittadino, la cui autorità si era già da prima imposta per consuetudine su quelle altre sedi vescovili (Falce, pp. 196 s.; per la struttura del comitato di Lucca si veda anche E. Besta, Il diritto pubblico nell'Italia superiore e media dalla restituzione dell'Impero al sorgere dei Comuni, Pisa 1925, pp. 50 s.). Di notevole rilievo è la dipendenza da Lucca della città di Luni che da tempo era legata alla Corsica (G. Jung, La città di Luna e il suo territorio, in Atti e Mem. della R. Deput. di st. patria per le prov. modenesi, s. 5. II [1903], pp. 63-65): essa da un lato spiega la presenza del vescovo corso accanto a quello lucchese nel placito dell'813 e dall'altro aiuta a comprendere il motivo per cui verrà affidata a Bonifacio II, figlio e successore di B., la protezione dell'isola.
Il Muratori ha supposto che dalla famiglia comitale di cui B. è capostipite discendessero gli Obertenghi, basandosi specialmente sul fatto che questi avevano possedimenti a Lucca, Pisa e Arezzo e sembrano a volte rivendicare diritti su alcune terre in nome di una discendenza da Adalberto, nipote di Bonifacio. La tesi del Muratori fu accolta dagli storici contemporanei. Tra gli autori moderni l'Hofmeister dimostrò tale tesi incapace di reggere a un più accurato esame delle fonti, mentre F. Gabotto (recensione a G. Mengozzi, Il comune rurale nel territorio lombardo-tosco, in Bollett. stor. bibl. subalpino, XX [1916], p. 245 nota 2) e, sulla sua scorta, B. Baudi di Vesme (Dai Supponidi agli Obertenghi,ibid., XXIV [1920], pp. 201-242). Sostennero la derivazione degli Obertenghi dai Supponidi. La tesi del Muratori è stata però ripresa da C. Manaresi (Le pergamene di S. Bartolomeo in Strada di Pavia, in Arch. st. lomb. s. 6 LI [1924], pp. 325-334), contro le cui nuove argomentazioni si è espresso in modo definitivo il Falce. Ma gli Obertenghi non sono la sola famiglia che gli storici hanno voluto far discendere da B.: il Fiorentini pensa a una derivazione da lui dei Canossiani, mentre il Cais de Pierlas lo considera progenitore dei conti di Ventimiglia. Entrambi, però, senza prove valide.
B. morì prima dell'823 (come dichiara la figlia Richilde nel documento sopra ricordato) e lasciò tre figli: Bonifacio, che gli successe nella contea di Lucca, Berardo e la stessa Richilde.
Fonti e Bibl.: I placiti del "Regnum Italiae", a cura di C. Manaresi, I, in Fonti per la storia d'Italia, XCII, Roma 1955, doc. n. 25, pp. 77-80; doc. n. 26, pp. 80-84; L. A. Muratori, Delle antichità estensi, I, Modena 1717, tav. I, pp. 216-226; F. M. Fiorentini, Memoria della gran Contessa Matilda, Lucca 1756, p. 408; L. Pignotti, Storia della Toscana, II, Pisa 1813, pp. 74 s.; A. N. Cianelli, Dissertazioni sopra la storia lucchese, in Mem. e doc. per servire all'istoria del principato lucchese, I, Lucca 1813, pp. 61-63; A. Mazzarosa, Storia di Lucca..., Lucca 1833, I, p. 22; P. Barsocchini, Dei vescovi lucchesi del sec. IX, in Mem. e doc. per servire all'istoria del ducato di Lucca, V, 1, Lucca 1844, pp. 22 s.; E. Cais de Pierlas, I conti di Ventimiglia..., Torino 1884, pp. 9 ss., 14 ss.; A. Hofmeister, Markgrafen und Markgrafschaften..., in Mitteilungen d. Inst. f.österr. Geschichtsforschung, VIIErgänzugsband, Innsbruck 1907, pp. 290-292; S. Pivano, Stato e chiesa da Berengario I ad Arduino, Torino 1908, p. 27; G. Volpe, Lunigiana medievale, Firenze 1923, p. 14; A. Falce, La formazione della Marca di Tuscia (sec. VIII-IX), Firenze 1930, pp. 194-208 (con ulteriore bibl.); F. Hlawitschka, Franken,Bayern,Alamannen und Burgunden in Oberitalien (774-962), Freiburg i. B. 1960, ad vocem.