CARRARA, Conte da
Figlio naturale di Francesco il Vecchio, signore di Padova, e della nobile Giustina Maconia, nacque a Padova verso la metà del XIV secolo. Compiuti gli studi di diritto canonico, intraprese la carriera ecclesiastica; dal 1381 al 1384 fu canonico della cattedrale di Padova e nel 1385 divenne arciprete del duomo, carica da lui ricoperta fino a quando, nel 1388, la, città cadde nelle mani di Gian Galeazzo Visconti.
Sostenitore della politica di espansione di Francesco il Vecchio, il C. fu coinvolto in alcuni progetti paterni che, destinati a procurargli posizioni di potere nell'organizzazione ecclesiastica del Friuli, dovevano permettere l'estendersi dell'influenza carrarese in quella regione. Nel 1384 infatti il signore di Padova aveva richiesto al papa l'abbazia friulana di Rosazzo per il C., senza però ottenerla. Un secondo tentativo (1385) mirava ad ottenere per il C. il patriarcato di Aquileia; nel 1381 la designazione all'importante incarico nella persona del cardinale di Alençon aveva provocato disordini e scontento, soprattutto nell'Udinese. L'agitazione aveva offerto a Francesco il Vecchio l'occasione, legittimata da una richiesta del pontefice, di intervenire con le armi nella regione friulana e la speranza di poter insediare al posto del d'Alençon il figlio Conte.
Ben più positivo fu il contributo che il C. offrì alla politica paterna come uomo d'armi. Egli partecipò attivamente alle operazioni della guerra friulana, in cui erano intervenuti, contro Francesco il Vecchio, Antonio Della Scala e la Repubblica di Venezia, decisi ad impedire l'espansione dell'influenza carrarese. Nel 1386 contribuì alla riorganizzazione delle milizie padovane, dopo la ritirata provocata dallo scontro presso Padova con le truppe scaligere guidate da Cortesia da Sarego. Nel 1387 fu nominato cavaliere sul campo, immediatamente prima della decisiva battaglia di Castagnaro, in cui le milizie scaligere guidate da Giovanni degli Ordelaffi furono definitivamente sconfitte. Nel settembre dello stesso anno, impegnato a domare un'ennesima ribellione degli Udinesi sobillati da Venezia, dopo aver attaccato la città ribelle il C. conquistò Sacile, Livenza, Caneva, il castello di Aviano e la bastita di Mogiale. Dovette però ritornare improvvisamente in patria, richiamato dal padre per l'ambiguo comportamento di Gian Galeazzo Visconti, allora alleato del Carrarese contro Antonio Della Scala. Il Visconti infatti, contrariamente ai patti che alla caduta dello Scaligero assegnavano Verona al dominio di Milano e Vicenza a Francesco il Vecchio, si era impossessato anche di quest'ultima città. Il C. fu allora impegnato nel tentativo di scacciare le milizie viscontee da Vicenza. Francesco il Vecchio volle però evitare un conflitto aperto con il potente signore di Milano e, nel giugno del 1388, abdicò in favore del figlio Francesco Novello. Il passaggio di potere servì solamente a rimandare di poco l'inevitabile caduta di Padova. Il Visconti infatti, con un pretesto, mosse guerra insieme con l'alleata Venezia contro il Novello.
Il C., al servizio del nuovo signore di Padova, fu impegnato allora su più fronti per contenere l'avanzata nemica. Sembrò ottenere un importante successo riuscendo a respingere gli invasori fino a Cittadella, ma il tradimento di un suo ufficiale, Albertino da Peraga, che non volle portare all'esercito in rotta un attacco decisivo, diede ai Viscontei il tempo di riorganizzarsi. Un ruolo ugualmente importante nella difesa di Padova il C. rivestì presidiando il passo di Rin, impedendo l'avanzata del generale visconteo Giacomo Dal Verme. Dovette però abbandonare il presidio per accorrere in difesa di Castelcaro, minacciata dai Veneziani.
Gli sforzi delle milizie carraresi non riuscirono tuttavia ad evitare la caduta di Padova nelle mani di Gian Galeazzo Visconti (21 nov. 1388). Il C. dovette allora lasciare la città insieme con gli altri membri della sua famiglia e seguì Francesco Novello a Pavia, a Milano e ad Asti, dove si prese cura dei figli e dei beni del fratello, mentre questi intraprendeva un avventuroso viaggio alla ricerca di aiuti per poter riconquistare Padova.
Nell'aprile del 1389, raggiunto a Firenze il Novello, che vi aveva trovato rifugio e assicurazioni di aiuti contro il Visconti, il C. prese parte all'organizzazione dell'esercito che i Fiorentini misero a disposizione del Carrarese e ne condivise il comando con Giovanni Acuto, al soldo della Repubblica. Cominciata l'offensiva antiviscontea, nel 1390 il C. fu fatto prigioniero presso Bologna da Carlo Malatesta; liberato dai Fiorentini, poté nuovamente portare aiuto al fratello e partecipare alla riconquista di Padova (8 sett. 1390), guidando personalmente l'assalto alle porte della città (ottenne per questo dal Novello la casa e i beni confiscati a Ugolino Scrovegni).
Costituitasi nell'inverno dello stesso anno la prima lega antiviscontea, il C. combattè nuovamente a fianco del fratello, ottenendo la nomina di generale dell'esercito carrarese, mentre era impegnato a sostenere Canfrancesco Della Scala nel Vicentino (1391).
All'indomani della pace con il Visconti (lodo di Genova, 20 genn. 1392), il C. che, come altri appartenenti alla piccola nobiltà, si era dato alla professione delle armi non avendo rendite sufficienti al proprio mantenimento, preferì passare al servizio di papa Bonifacio IX. Francesco Novello, infatti, a causa delle dispendiose guerre sostenute contro il signore di Milano, non godeva di buone condizioni economiche. Il C. fu impegnato allora con altri condottieri per sottomettere quei signori e Comuni che si opponevano all'autorità della Chiesa nei territori della Marca. Successivamente ricevette dal pontefice il titolo di conte di Campagna di Roma.
Riprese le ostilità contro il Visconti nel 1395 il C. fu richiamato in patria da Francesco Novello per organizzare gli aiuti che gli alleati antiviscontei mandarono a Ferrara, per sostenere i diritti di Nicolò III, figlio ed erede di Alberto V d'Este, contro il tentativo di usurpazione del cugino Azzo. Nel 1397, nuovamente impegnato nella lega antiviscontea al soldo di Venezia, accorse in aiuto di Francesco Gonzaga, assediato in Mantova dalle truppe di Giacomo Dal Verme, e contribuì all'arresto dell'avanzata viscontea combattendo con valore nella battaglia di Governolo (28 ag. 1397).
Ritornato al servizio di Bonifacio IX, dal 1398 il C. fu impegnato soprattutto in Umbria, nel tentativo di sottomettere Perugia. Quando, nel 1402, la città venne presa dal Visconti, fu mandato a difendere il confine settentrionale dello Stato pontificio, fino alla caduta di Bologna nelle mani dei Viscontei.
Durante il periodo in cui militò al servizio del papa, il C. seppe acquistarsi una certa considerazione presso la Curia di Roma, tanto che sperò di ottenere la carica di gran maestro dei cavalieri di Rodi, ritenuta vacante a Roma perché occupata da Filiberto di Naillac, designato dall'antipapa Clemente VII. Dei buoni rapporti tra il C. e la Curia si servì in più occasioni Francesco Novello, affidando al fratello incarichi diplomatici e richieste per il papa. Fu poi grazie alla mediazione del C. che furono concluse le trattative per il matrimonio tra Giovanni, figlio del Novello, e Belfiore, figlia di Rodolfo III da Varano, signore di Camerino. Questi infatti esercitava il suo dominio in quei territori dello Stato pontificio che erano posti sotto il controllo e l'influenza del Carrara.
Nel 1405 fu nuovamente a fianco del fratello, impegnato contro Venezia; il suo aiuto non valse però ad evitare la cattura del Novello, che fu ucciso in carcere insieme con i due figli. Passato al servizio di Ladislao, re di Napoli, il C. nel 1407 sostenne Ludovico Migliorati, rettore uscente della Marca d'Ancona, contro il nuovo rettore Benedetto, vescovo di Montefeltro. Fu poi inviato dal re, che aveva occupato l'Umbria, a rafforzare il presidio di Perugia insieme con Muzio Attendolo Sforza (1408), per prevenire i tentativi dei fuorusciti, guidati da Braccio da Montone, di rientrare nella città. Il C. si scontrò più volte contro Braccio; nel 1411 fu sconfitto dal condottiero perugino a Cerqueto e a Marsciano, dove furono catturati i suoi due figli, Obizzo ed Ardizzone.
Nello stesso anno partecipò alle ostilità contro Luigi II d'Angiò, sostenitore dell'antipapa Giovanni XXIII e pretendente al trono di Napoli, rimanendone prigioniero insieme con i due figli durante la battaglia di Roccasecca. Nel 1413 fu inviato da Ladislao a raggiungere lo Sforza, impegnato a lottare contro un altro sostenitore di Giovanni XXIII, Paolo Orsini. Il C. e lo Sforza, dopo aver respinto le truppe dell'Orsini dall'Orvietano, cinsero d'assedio Roccacontrada, dove questi si era rifugiato.
Nello stesso 1413 fu infeudato da Ladislao della contea di Ascoli, che gli fu riconfermata, alla morte del re, dalla regina Giovanna II (1414). Al servizio della sovrana, il C. prese parte alle campagne condotte da Muzio Attendolo Sforza contro Braccio da Montone. Lo Sforza, per assicurarsi la fedeltà del C. nella lotta contro il condottiero perugino, aveva fatto sposare sua figlia Antonia con Ardizzone figlio di Conte. Nel 1417 il C. partecipò alla liberazione di Roma e nel 1419 riuscì, anche se solo per pochi giorni, a cacciare i Bracceschi da Assisi. Martino V, promotore della liberazione della città, rinnovò allora al C. l'investitura, che gli era stata concessa già nel 1416, di vicario pontificio di Ascoli.
Ottenuta la conferma del riconoscimento pontificio del suo dominio su Ascoli, il C. cercò di sottrarsi alla soggezione di Giovanna II e mantenne un comportamento ambiguo sia nei confronti della regina, contro cui fu sospettato di tramare con altri signori abruzzesi, sia nel confronti di Martino V, non prendendo una posizione decisa a favore dell'una o dell'altro, quando i rapporti tra la sovrana e il papa si erano momentaneamente guastati. Nel 1421 dovette consegnare suo figlio Ardizzone in ostaggio a Braccio da Montone, passato al servizio della regina, per garantire a Giovanna la sua fedeltà. Informò subito il papa di quanto era stato costretto a fare, ma non si dichiarò decisamente contro Braccio, anzi fuaccusato di combattere al suo fianco, tanto che Martino V lo minacciò di scomunica.
Morì tra il 1421 e il 1422 e fu sepolto nel duomo di Ascoli.
Il dominio della città passò al figlio Obizzo.
A questo nel 1423 Martino V rinnovò per tre anni il vicariato e gli ordinò di prestare aiuto alla regina Giovanna II, impegnata a difendere l'Aquila dall'assedio di Braccio. Obizzo mandò allora parte delle sue milizie, guidate da tre condottieri ascolani.
Prima che scadessero i tre anni del secondo vicariato, Martino V inviò Pietro Colonna, rettore della Marca, e il condottiero Giacomo Caldora per riportare Ascoli sotto il dominio diretto della Chiesa e per scacciarne Obizzo, che aveva preso contatti con il fratello Ardizzone e con il duca di Milano Filippo Maria Visconti impegnandosi a prendere le armi contro il papa. L'esercito pontificio riuscì a prendere la città (1426) ed Obizzo fu costretto a rifugiarsi in un castello vicino, dove sperava di ricevere aiuti da parte del fratello. Vista però l'impossibilità di riconquistare Ascoli, Obizzo fuggì e trovò asilo a Milano.
Nel 1437 Obizzo tentò nuovamente di riconquistare Ascoli, allora nelle mani di Francesco Sforza, insieme con Francesco Piccinino e Giosia d'Acquaviva, senza però alcun successo. Dopo un ultimo tentativo, conclusosi con una tregua tra Giosia d'Acquaviva e lo Sforza, dovette rinunciare definitivamente a rientrare nella città e nel 1439 si mise al servizio del duca di Milano. Dopo questi avvenimenti mancano ulteriori notizie su di lui.
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