consumo
Le teorie del consumo
Il consumo è una componente fondamentale della domanda finale: nei Paesi dell’OCSE ne costituisce, infatti, circa il 60%. Negli Stati Uniti, nel decennio 2001-10 ha raggiunto livelli particolarmente elevati, vicini al 70%; in Giappone i consumi aggregati rappresentano circa il 55% della domanda finale (implicando un elevato risparmio delle famiglie).
Il consumo aggregato viene descritto per mezzo della funzione del consumo. J.M. Keynes (➔) nella General theory of employment, interest and money (1936) pone in relazione consumo e reddito disponibile, separando il consumo ‘autonomo’ da quello ‘indotto’ da variazioni del reddito disponibile. Sovente, la funzione keynesiana (spesso definita ‘ipotesi del reddito assoluto’) viene specificata in termini lineari: C=c0+c1Yd in cui C è il consumo aggregato, c0 il consumo autonomo (c0>0), c1 la propensione marginale al consumo (0<c1>1), e Yd il reddito correntemente disponibile (cioè il reddito al netto delle imposte, cui vengono sommati i trasferimenti dal settore pubblico alle famiglie e quelli netti del resto del mondo). Il consumo autonomo rappresenta il consumo corrispondente a un ipotetico livello nullo di reddito. Per questo è stato interpretato come livello di sussistenza o come consumo influenzato da variabili diverse dal reddito corrente, quali lo stock di ricchezza mobiliare o immobiliare. La componente c1Yd descrive il consumo indotto; c1 indica la percentuale di ogni incremento di reddito disponibile che viene destinata ad aumentare i consumi. Si noti che una crescita del reddito induce un aumento dei consumi; se quest’ultimo stimola una crescita della produzione (e quindi dei redditi, poiché l’aumento della produzione rende necessario e possibile incrementare le remunerazioni dei fattori di produzione) si genera un meccanismo di feedback positivo che concorre alla spiegazione del ciclo economico.
Nell’interpretazione dei dati reali, l’ipotesi keynesiana presenta difficoltà di rilievo. Durante una fase recessiva, la propensione al consumo spesso tende ad aumentare. Le stime statistiche per il consumo autonomo, basate su serie storiche aggregate, forniscono valori spesso prossimi a zero e – non infrequentemente – negativi (quindi economicamente non significativi). Per contro, se si utilizzano dati relativi a famiglie diverse per lo stesso periodo di tempo, la funzione keynesiana del consumo trova migliori conferme. Queste osservazioni condussero Friedman, negli anni 1950, a elaborare il concetto di reddito ‘permanente’ e a collegare a esso il consumo. Il reddito ‘permanente’ è ciò che normalmente ci si deve aspettare sulla base delle proprie capacità, competenze professionali, titoli di studio. Il reddito ‘corrente’ differisce da quello ‘permanente’, essendo influenzato anche da componenti ‘transitorie’, come periodi temporanei di disoccupazione o di malattia, opportunità di svolgere lavoro straordinario. Tali componenti influenzano temporaneamente, in negativo o in positivo, il reddito ‘permanente’. Friedman suggerisce che il consumo dipenda dal reddito ‘permanente’, non da quello ‘corrente’ (permanent income hypothesis). Famiglie il cui reddito è colpito, per es., da shock transitori sfavorevoli diminuiranno il consumo in maniera poco rilevante, nella convinzione che il reddito tornerà al livello ‘permanente’. L’approccio di Friedman si basa sul concetto di consumption smoothing: si assume cioè che gli agenti economici vogliano fruire di livelli di consumo il più possibile stabili nel tempo. Ciò avviene in quanto riduzioni del consumo al di sotto del livello normale decurtano il benessere degli agenti più di quanto esso non venga incrementato da aumenti (di pari importo) al di sopra del livello standard. Si noti che la teoria del reddito permanente presuppone l’esistenza di mercati finanziari molto sviluppati, grazie ai quali le famiglie con reddito transitoriamente basso (che non dispongano di un patrimonio mobiliare) possono finanziare livelli di consumo elevati. La teoria del reddito permanente presenta notevoli implicazioni per la politica economica: per es., un aumento permanente delle imposte sul reddito personale ha effetti diversi da quelli di un aumento temporaneo. Nel primo caso, si riduce il reddito permanente, nel secondo lo shock è transitorio, con effetti sul consumo molto inferiori. L’orizzonte temporale delle manovre di politica economica diventa quindi un elemento di rilievo.
L’idea di consumption smoothing è fondamentale anche per il modello del ciclo vitale o life cycle model (➔ ciclo di vita), sviluppato da Modigliani sempre negli anni 1950. Tale approccio presume che gli agenti calcolino il reddito complessivo che sono in grado di ottenere nell’intero arco della loro vita lavorativa e che ne consumino una frazione pari alla durata della loro vita residua. Persone giovani dotate di un reddito elevato risparmieranno in previsione di redditi più bassi durante la fase di pensionamento, e ciò implica l’accumulazione di attività finanziarie nelle prime fasi della vita.
In presenza di incertezza sui redditi, il consumption smoothing implica che il consumo corrente sia eguale al valore atteso del consumo futuro, come esplicitato nella random walk hypothesis da R.E. Hall (➔). Le differenze tra consumo pianificato (e appunto atteso) e quello effettivo sarebbero da imputarsi agli shock che influenzano le componenti transitorie del reddito. I riscontri empirici della teoria di Hall, svolti a partire dalla fine degli anni 1980, non sono però stati del tutto incoraggianti, inducendo gli studiosi, negli anni 1990, a rivalutare l’importanza dei vincoli creditizi. Con vincoli al credito, il consumo dipende in maniera più accentuata dal reddito correntemente disponibile (da c1Yd nella funzione keynesiana) e in misura meno rilevante da altri fattori (e pertanto c0 diventa meno significativo). Il consumption smoothing a livello aggregato può essere limitato anche dalla presenza di una quota di agenti economici che si attenga a comportamenti ‘limitatamente razionali’.