CONSULTA
. Consesso il cui ufficio è di dare pareri sulle materie che gli sono sottoposte. Fu già magistratura di parecchi antichi stati italiani. Per la Consulta araldica, v. araldica, consulta.
In forza della legge 4 febbraio 1926, n. 237, con la quale si addivenne all'istituzione del podestà nei comuni con popolazione non eccedente i 5000 abitanti, fu anche istituita, come organo consultivo delle amministrazioni comunali, la consulta. Essa è oggi disciplinata, oltreché dalla legge predetta, dal r. decr. legge 3 settembre 1926 n. 1910. Le sue funzioni sono esclusivamente consultive, essendo riservato al solo podestà il deliberare, sebbene questi possa però delegare a ciascun consultore municipale speciali incarichi nell'amministrazione del comune, analogamente a quanto avveniva, nell'ordinamento anteriore, per la delegazione che il sindaco poteva affidare ai singoli assessori.
I pareri della consulta municipale si distinguono in facoltativi e obbligatorî, a seconda che vengano dati su richiesta del podestà, quando il medesimo lo creda opportuno, ovvero perché questi sia tenuto a richiederli in quanto ne sia fatto obbligo dalla legge.
L'ordinamento della consulta non è uniforme per tutti i comuni del regno, in quanto che, per quelli con popolazione non eccedente i 20.000 abitanti, essa si istituisce solo in quanto il prefetto lo ritenga possibile, mentre invece essa è obbligatoria per tutti gli altri comuni; varia però il numero dei componenti e più precisamente: a) da sei a dieci per i comuni fino a 20.000 abitanti; b) da 10 a 24 per quelli che siano capoluoghi di provincia, ovvero abbiano una popolazione dai 20.000 ai 100.000; c) dai 24 ai 40 infine nei comuni con popolazione eccedente i 100.000.
Le materie per le quali il parere della consulta è obbligatorio sono essenzialmente quelle che, per il loro contenuto, possano avere influenza sulle sorti economiche e finanziarie del comune; infatti l'art. 5 della legge febbraio 1926, n. 237, che istituiva i podestà e la consulta solo nei comuni con popolazione non eccedente i 5000 abitanti, stabiliva l'obbligatorietà del parere in merito alle deliberazioni del podestà concernenti l'approvazione del bilancio, gl'impegni attivi e passivi vincolanti il bilancio per oltre cinque anni, la contrattazione dei prestiti, l'imposizione dei tributi, l'alienazione di beni patrimoniali e l'assunzione diretta di pubblici servizî. Con il r. decr. legge 3 settembre 1926, n. 1910, che estese l'ordinamento podestarile a tutti i comuni del regno, ferma restando l'obbligatorietà del parere nei casi sovraccennati per i comuni della prima categoria, si distinse fra quelli della seconda (da 20.000 a 100.000 abitanti) e quelli della terza (oltre i 100.000 ab.), in quanto per i primi l'obbligatorietà venne stabilita per tutti quei casi in cui, a termine della legge comunale e provinciale (testo unico 4 febbraio 1915) fino allora vigente, il provvedimento sarebbe stato riservato all'esclusiva competenza del consiglio comunale: per i secondi invece, per i casi in cui, a senso dell'art. 217 della legge stessa, sarebbe occorsa l'approvazione della Giunta provinciale amministrativa e inoltre in materia di bilanci, di conti e di assunzione diretta dei pubblici servizî.
I pareri della consulta non sono mai vincolanti, e cioè il podestà non è tenuto ad uniformarsi ai medesimi: se però essi sono contrarî alla proposta del podestà, ciò deve risultare dal verbale delle relative deliberazioni, onde l'accenno in verbale della previa audizione della consulta, senza ulteriori specificazioni, importa presunzione che il parere sia stato conforme alla proposta del podestà. Per di più, in tutti quei casi in cui il podestà ritenga di non uniformarsi al parere della consulta, la legge stabilisce che la deliberazione podestarile sia sottoposta all'approvazione del prefetto, anche quando sarebbe per legge richiesto il semplice visto di legittimità.
I consultori municipali sono scelti fra i cittadini che non si trovino in alcuna delle condizioni d'ineleggibilità e d'incompatibilità previste dagli articoli 25 e 26 della legge comunale e provinciale e nominati dal prefetto, salvo per i comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti, per i quali la nomina spetta al ministro dell'Interno. Il loro numero, entro i limiti minimi e massimi stabiliti per ogni categoria di comuni, non è prestabilito a priori, ma è fissato per ciascun comune dal prefetto. La scelta, spettante rispettivamente al prefetto o al ministro dell'Interno, viene fatta su di una terna, la quale alla sua volta, in base alla legge 4 febbraio 1926, n. 237, veniva designata dagli enti economici, dai sindacati e dalle associazioni locali, mentre in base al successivo decr. legge 3 settembre 1926, n. 1910, viene designata dalle associazioni sindacali, legalmente riconosciute agli effetti della legge 3 aprile 1926, n. 563.
Il complesso delle disposizioni relative al modo di funzionare della consulta, dimostra come la medesima, a differenza dell'antico consiglio comunale, i cui deliberati erano elemento necessario ed essenziale per la manifestazione di volontà del comune, costituisca un semplice organo ausiliario per i provvedimenti podestarili, dal quale è consentito prescindere in taluni casi. Così il ministro dell'Interno può, per il termine non superiore di un anno, sospenderne la nomina o disporne lo scioglimento, ove ricorrano gravi ragioni d'ordine pubblico o di carattere amministrativo, nei quali casi il podestà può provvedere senz'altro, prescindendo dal relativo parere. Per contro, a guarentigia di un normale funzionamento, la legge dispone che siano dichiarati decaduti i consultori i quali, senza giustificato motivo, non intervengano a tre sedute consecutive.
Inoltre, allo scopo di conciliare la convenienza che il parere sia l'espressione dell'opinione della consulta, con le esigenze della vita amministrativa che non può consentire né remore né ostruzionismi, mentre è prescritto per la validità delle adunanze l'intervento di almeno la metà dei componenti e che i pareri debbono essere emessi a maggioranza assoluta di voti, d'altra parte, quando in due successive convocazioni, a distanza non minore di cinque giorni, la consulta non possa pronunciarsi per mancanza di numero legale, il podestà è autorizzato a provvedere, anche nei casi in cui il parere sarebbe obbligatorio, senza il parere della consulta.
Consulta di stato. - Appena salito al pontificato, Pio IX aveva intrapreso lo studio del memorandum redatto nel 1831 dagli ambasciatori stranieri per invocare miglioramenti e riforme. Conseguenza di questo fu l'editto del 19 aprile 1847 con il quale il papa instituì la Consulta di Stato, piccola assemblea di uomini eminenti per posizione sociale, censo e dottrina, fedeli al governo e stimati dai cittadini, incaricati di studiare le migliorie da apportare alla cosa pubblica. I 24 consultori furono nominati il 7 agosto, le loro attribuzioni fissate il 14 ottobre, con un motu proprio nel quale il papa rivendicava al genio dei pontefici romani la gloria di aver primi istituita la Consulta, e si augurava che giovasse al sovrano e all'amministrazione, ma senza dipartirsi dall'ordine e dalla moderazione. E gli stessi concetti ribadì il 15 novembre, ricevendo la Consulta, che ammonì di non "menomar mai neppur di un apice la sovranità del pontificato". Le parole papali suscitarono dubbî e scontento, tuttavia non mancarono feste e dimostrazioni, e molti sperarono grandemente nell'opera della Consulta. Superate le difficoltà sorte per la redazione del ringraziamento al pontefice, cui il Minghetti diede forma d' indirizzo di risposta al discorso della Corona (16-22 novembre 1847), la Consulta iniziò i suoi lavori, sotto la presidenza del cardinale Antonelli. Alcuni membri proposero che le sedute fossero pubbliche e se ne stampassero gli atti e i verbali. Il governo si oppose invano a quest'idea, caldeggiata dai liberali e appoggiata dai ministri di Francia e d'Inghilterra. Mentre ferveva la discussione, la II sezione (finanze) si acquistava una certa popolarità criticando il bilancio e respingendo alcune proposte urgenti a favore dell'erario (dicembre 1847-febbraio 1848). E il pubblico esaltava il voto della IV sezione (armi) che aveva chiesto di chiamare ufficiali superiori di buona fama a riorganizzare le truppe pontificie. L'acceleramento delle riforme e l'avviamento allo Statuto interruppero il processo di trasformazione della Consulta in corpo deliberante.
Tuttavia anche nella sua breve vita e nell'ambiguità delle sue forme e delle sue attribuzioni, la Consulta aveva giovato alle riforme e agli studî economico-amministrativi, incoraggiando il liberismo, sostenendo la fine dei privilegi e dei monopolî, compilando la legge sui municipî, occupandosi di armamenti e di ferrovie. Il temperato liberalismo dei suoi membri, laici tutti, meno il presidente, il vicepresidente e il consultore Pacca, seppe trovare l'ardire di utili critiche e di tenaci opposizioni. Gli eventi politici e i mutamenti ministeriali diedero il tracollo alla Consulta, nella quale primeggiarono i rappresentanti bolognesi e romagnoli (il Minghetti, il Pasolini, il Recchi), esautorandola e accelerandone la fine, che avvenne per l'art. 67 dello Statuto, venti giorni prima dell'apertura della Camera (maggio 1848).
Bibl.: Motu-proprio della Santità di N. S. Papa Pio IX sulla C. d. S. [Roma 1847]; L. C. Farini, Lo Stato romano, I, Firenze 1853, passim; G. Spada, Storia della rivol. di Roma, I e II, Firenze 1868-69, passim; M. Minghetti, Miei ricordi, I, Torino 1883, pp. 295-96; F. Gentili, L'opposizione della C. d. S. al governo prelatizio, in Il Risorg. ital., III, 1914.