CONSULENTE tecnico
Il cod. di proc. civ. del 1942 ha inserito fra gli ausiliarî del giudice la figura del consulente tecnico (articoli 61-65) e, anteponendo la disciplina della sua nomina e delle indagini commessegli alla trattazione dell'assunzione dei mezzi di prova (articoli 191-201), interviene nella vivace disputa che, in sede di interpretazione del previgente codice di rito era sorta sulla natura della perizia, con il sottolineare l'affinità che lega il consulente al giudice assai più che al teste. Il consulente somministra al giudice quelle nozioni che, senza rientrare nella comune esperienza, sono necessarie ad integrare le norme giuridiche da applicarsi ovvero a ricostruire fatti, la cui percezione è impossibile o riesce estremamente difficile mediante prove storiche; ma poiché l'interpretazione delle norme giuridiche e il controllo della esistenza dei fatti, rilevanti per la decisione della causa, sono compito del giudice, ne deriva che il giudice, tranne qualche eccezione (v., ad es., in tema di sinistri marittimi, art. 599 cod. navig.), come non è tenuto a disporre consulenze tecniche, così non è tenuto a seguire l'avviso espresso dal consulente tecnico che ha designato.
La concreta esplicazione delle attività riservate al consulente tecnico è ispirata ai due criterî della concentrazione e della immediatezza che formano il processo civile; talché la sua funzione non si riduce alla relazione scritta, ma si amplia nella più complessa nozione dell'assistenza al giudice per il compimento di singoli atti o per tutto il processo; il che, naturalmente, non esclude che possa espletare le indagini da solo, nel quale caso è assicurato il contraddittorio tra le parti (art. 194 cod. proc. civ., 90 disp. att.). In conformità del più ampio compito assegnatogli, egli può assistere alla discussione avanti il collegio ed esprimere il suo parere in camera di consiglio (articoli 197, 441, cod. proc. civ.).
Nelle controversie del lavoro, che abbiano contenuto prevalentemente tecnico (articoli 455-458, cod. proc. civ.), e nelle cause per sinistri marittimi (art. 602, cod. navig.) le parti possono rimettere la cognizione della causa ai consulenti designati; il lodo, depositato nella cancelleria del giudice adito, è da quest'ultimo dichiarato esecutivo con decreto.
Il consulente è normalmente scelto tra le persone iscritte in albi speciali e il prescelto, ove vi sia iscritto, non può rifiutare l'incarico assegnatogli, salvo che ricorra un giusto motivo d'astensione da constatarsi dal giudice; può esser ricusato per gli stessi motivi per i quali può ricusarsi il giudice (art. 63); è tenuto a prestare giuramento (art. 194); soggiace alla responsabilità penale propria dei periti (articoli 314-366, cod. pen.) e, ove incorra in colpa grave nella esecuzione degli atti che gli sono commessi, è condannato dal giudice ad una pena pecuniaria non superiore alle lire ventimila, salva la responsabilità civile per i danni arrecati alle parti (art.64, cod. proc. civ.; decr. legisl. 9 aprile 1948, n. 438).
Come il consulente d'ufficio assiste il giudice, così le parti possono farsi assistere da consulenti tecnici di fiducia (art. 201).
Bibl.: P. Biondi, La distinzione tra perizia e testimonianza, in Foro italiano, IV, 1937, p. 58; F. Carnelutti, istituzioni del nuovo processo civile italiano, 3ª ed., Roma 1943, pp. 109, 118, 374; V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 2ª ed., I, Napoli 1943, pp. 170-178; II, pp. 68-85; E. Redenti, Diritto processuale civile, Milano 1947, pp. 345-350; S. Satta, Diritto processuale civile, Padova 1948, p. 41, pp. 198-200; A. Lugo, L'arbitrato dei consulenti tecnici, in Rivista di diritto processuale civile, I, 1943, p. 145.