CONSIGLIO
(XI, p. 195; v. ministro, App. I, p. 854; II, II, p. 326)
Consiglio di gabinetto. − Nell'agosto del 1983, in Italia, per iniziativa del presidente del C. dei ministri B. Craxi, era costituito, come organo di governo, il C. di gabinetto, composto, oltreché dal presidente e dal vicepresidente del C. dei ministri, da sette ministri qualificati dall'importanza degli incarichi ministeriali o dal rilievo politico assunto nel partito di appartenenza (particolarmente evidenziato nel caso di ministri segretari di partito). Nei successivi governi Goria, De Mita, Andreotti si procedeva alla costituzione del C. di gabinetto con lievi varianti nella composizione. Inoltre, durante il periodo del governo De Mita, entrava in vigore la l. 23 agosto 1988 n. 400, per la disciplina dell'attività di governo e l'ordinamento della presidenza del C. dei ministri. L'art. 6 di questa legge dispone nel suo primo comma: "Il Presidente del Consiglio dei Ministri, nello svolgimento delle funzioni previste dall'articolo 95, primo comma, della Costituzione, può essere coadiuvato da un Comitato, che prende nome di Consiglio di gabinetto, ed è composto dai ministri da lui designati, sentito il Consiglio dei ministri"; il secondo comma dell'articolo precisa che il presidente "può invitare a singole sedute del Consiglio di gabinetto altri ministri in ragione della loro competenza".
La nuova figura organizzativa si caratterizzava così a composizione elastica, per esigenze funzionali che andavano oltre il livello puramente politico qualificante invece i comitati ristretti, i C. di gabinetto e i C. di presidenza formati a partire dal secondo Ministero Badoglio nel 1944 e presenti ancora per un buon tratto della vicenda governativa di De Gasperi nella prima legislatura repubblicana.
In quel periodo, infatti, con ministri senza portafogli e poi con ministri forniti di incarico dicasteriale, si erano costituiti entro i ministeri comitati nei quali erano presenti prima i leaders dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale e poi dei partiti facenti parte di coalizioni governative meno ampie dopo le elezioni per la Assemblea Costituente nel giugno 1946 e soprattutto dopo la crisi della primavera 1947, terminata con l'esclusione dal governo dei socialisti e dei comunisti.
L'istituzione del C. di gabinetto nel periodo della guerra di liberazione rispondeva all'esigenza di risolvere in via preventiva e confidenziale (rispetto alle riunioni del C. dei ministri) tutte le questioni che avrebbero potuto minacciare il mantenimento della coalizione governativa e lo stesso assetto del CLN. La composizione paritaria di quest'ultimo e delle formazioni ministeriali da esso derivate caratterizzava anche i C. di gabinetto di quel periodo prima delle elezioni amministrative e politiche del 1946; mentre successivamente (anni 1946 - prima legislatura, e poi 1985 e seguenti) si faceva strada una struttura tendenzialmente proporzionale anziché paritaria del C. di gabinetto. Così, anche se ogni partito continuava a essere rappresentato da un solo leader-capo delegazione, il peso politico di questo esponente nel C. veniva implicitamente riferito alla consistenza elettorale del partito da lui rappresentato, con una sorta di voto ponderato sostanziale seppure in un collegio nel quale non si vota ma si procede con moduli analoghi a quelli negoziali o contrattuali.
Nei C. di gabinetto, costituiti a partire dal 1985, la struttura ''proporzionale'' al peso rappresentativo dei partiti si esprimeva chiaramente nel diverso numero dei membri appartenenti ai partiti presenti nei governi a cinque. Comunque, sia paritaria o meno la struttura del C., la vera costante dell'istituto già individuata in dottrina (P. Virga e G. Guarino) è il dato della coalizione ritenuto addirittura necessario da Guarino in quanto indissolubilmente connesso con il sistema partitico e con la forma di governo della Repubblica italiana. Naturalmente, se l'elemento ''coalizione di governo'' è nell'esperienza italiana il presupposto necessario dell'esistenza stessa del C. di gabinetto, non tutte le coalizioni sono eguali e richiedono la costituzione del C.: tendenzialmente − si può dire − più le coalizioni sono coese e meno esse necessitano di strutture particolari di mediazione, mentre il contrario si verifica quando le coalizioni si realizzano al di fuori di una strategia di schieramento e all'interno di intese in qualche modo necessariamente ''provvisorie'' perché concluse in attesa di altri schieramenti meno precari, come accadeva, parlando per analogia, al tempo dei CLN. Evidentemente l'utilizzazione del C. di gabinetto non a caso sopravviene di nuovo nel 1985, rappresentando così, quasi simbolicamente, il carattere competitivo-conflittuale delle coalizioni governative degli anni Ottanta.
Come si è già accennato, le funzioni, in senso non tecnico, del C. di gabinetto consistono nell'individuazione di linee comuni per la formazione e attuazione dell'indirizzo politico (da realizzare poi con deliberazione del C. dei ministri) e nel mantenimento di un raccordo costante con i partiti della coalizione di governo (Capotosti 1983).
Essendo di natura eminentemente politica i compiti del C. di gabinetto (che non delibera su schemi di disegno di legge o su provvedimenti di altra natura), è legittimo chiedersi se è necessario (o quanto meno opportuno) prevedere in norme scritte la possibilità di costituirlo. Innanzitutto va osservato che secondo alcuni autori (Cuocolo 1959; Ruggeri 1981) l'istituzione stessa del C. contrasterebbe con l'impianto costituzionale (in cui il governo si risolverebbe integralmente nel C. dei ministri) e con il principio di parità dei ministri, che nell'ordinamento italiano, a differenza che in quello inglese, hanno uno status del tutto eguale. Si è risposto, a mio avviso esattamente, che la natura dei compiti del C. di gabinetto esclude a priori che possano essere menomate le attribuzioni del C. dei ministri (Pitruzzella 1985 e 1986); e quanto alla ''diversificazione'' dei ministri, va ricordato che non si è mai negata la differenza di peso e di rilievo politico dei singoli componenti del governo e non solo in relazione all'incarico ministeriale rivestito.
Se si superano queste obiezioni, resta da rispondere all'interrogativo già posto. Nell'Assemblea Costituente il relatore E. Tosato dette una risposta negativa a E. Clerici, proponente di un emendamento che prevedeva in costituzione la figura del C. di gabinetto. Secondo Tosato l'emendamento era inutile e superfluo giacché il presidente del C. avrebbe sempre potuto con suo decreto istituire Comitati di ministri. A lungo, anche in numerosi progetti di legge sulla presidenza del C., questa opinione è stata prevalente; ma poi è stato accolto altro avviso, canonizzando, come si è detto, in disposizioni legislative (art. 6 della l. 1988 n. 400) il C. di gabinetto. A mio parere la l. n. 400 non innova perché non muta né la struttura né i compiti del C. di gabinetto: la sua recezione in legge rappresenta piuttosto il riconoscimento della legittimità di una struttura endogovernativa che, non adottando deliberazioni, fa mancare lo stesso presupposto per un intervento della Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzioni.
Né pare accettabile la proposta interpretativa di chi (Lignani 1990) trova nell'art. 6, primo comma, della l. n. 400 l'introduzione di una presidenza collegiale del governo. ll contributo del C. di gabinetto è pur sempre ausiliario, di collaborazione allo svolgimento dei compiti del presidente del C. dei ministri (direzione della politica generale del governo): ma si tratta soprattutto di creare le migliori condizioni per il buon andamento dei lavori del C. dei ministri, partendo dagli affidamenti che il presidente riesce ad acquisire sulla base delle intese informali raggiunte fuori e dentro il C. di gabinetto. Questa figura organizzativa di per sé non evita eventuali propensioni monocratiche o diarchiche nella condotta degli affari di governo: se non le evita, può tuttavia bilanciarle e contrastarle, con una dialettica di contenimento nei confronti del presidente del C., dialettica che, dunque, impedisce anche su un piano fattuale di costruire una presidenza esercitata da un collegio.
Sul piano giuridico perciò il C. di gabinetto, così com'è previsto nell'art. 6, primo comma della l. n. 400, non sminuisce né le attribuzioni del presidente del C. né quelle del C. dei ministri. Tanto più che si è rinunciato alla proposta di includere nel C. di gabinetto ministri overlords, e cioè ministri incaricati di sovraintendere all'attività di più ministeri appartenenti a uno stesso settore (per es. economico), il che avrebbe contribuito a discriminare su base gerarchica lo status dei ministri.
Sul piano politico, però, non si può ignorare la crescita del ruolo svolto dal C. di gabinetto: da una parte essa tende a evitare o a diradare i ''vertici'' tra presidente del C. e segretari dei partiti della coalizione governante (anche se non può escluderli completamente, quando taluni segretari di partito, e di solito proprio del partito di maggioranza relativa, non fanno parte del governo); dall'altra fa emergere nella dinamica endogovernativa la tendenza a utilizzare il ricorso al C. di gabinetto in circostanze particolarmente delicate, nelle quali si tralasciò di convocare il C. dei ministri. Ci si riferisce qui al caso del sequestro e dirottamento della nave italiana ''Achille Lauro'' da parte di terroristi (ottobre 1985), che vide la riunione di un C. di gabinetto caratterizzata dalla volontaria assenza di un ministro dissenziente. Certo il C. di gabinetto non potrebbe operare come un ''comitato di crisi'', con competenze proprie (e nemmeno in qualità di ''comitato di guerra'', secondo il precedente del ministero Orlando del 1917); tuttavia aumenta la sua capacità di ''orientare'' la condotta del governo in situazioni che possano a buon diritto definirsi di emergenza.
In conclusione si può dire che poche strutture come quella del C. di gabinetto esprimono il travaglio di un'evoluzione istituzionale, mirante a conciliare spinte contraddittorie: esigenze di maggiore efficienza senza rinunciare alla complessità di interventi propria di tutti i governi di coalizione.
Ma il carattere puramente facoltativo della costituzione del C. di gabinetto (il ''può'' dell'art. 6, primo comma, della l. n. 400) sottintende lo stretto collegamento e condizionamento del ricorso a questa struttura organizzativa rispetto a un sistema politico presupposto, che potrebbe permanere oppure mutare. Si tratta dunque di una figura organizzativa ''eventuale'', contrapposta da questo punto di vista agli organi ''necessari'' previsti dalla Costituzione. Solo il futuro della vicenda politica italiana ci dirà se e fino a quando il C. di gabinetto sarà ritenuto utile al funzionamento della forma di governo.
Bibl.: F. Cuocolo, Il governo nel vigente ordinamento italiano, i, Il procedimento di formazione. La struttura, Milano 1959; A. Ruggeri, Il Consiglio dei Ministri nella Costituzione italiana, ivi 1981; P. A. Capotosti, Consiglio di Gabinetto e governi di coalizione, in Quaderni Costituzionali, 1983, pp. 584-87; G. Pitruzzella, Il Consiglio di Gabinetto nel governo italiano, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, pp. 639-77; Id., Il Presidente del Consiglio dei Ministri e l'organizzazione del governo, Padova 1986, pp. 259-68 e 287-92; P. Calandra, Il governo della Repubblica, Bologna 1986, pp. 140-42; P. G. Lignani, L'amministrazione centrale dello Stato, in Trattato di diritto amministrativo Pavone, 1990, pp. 326-31.
Consigli scolastici. - Dovendo corrispondere a una duplice esigenza avvertita dall'opinione pubblica, di aprire la scuola alle istanze della comunità sociale e di rendere questa più direttamente partecipe del funzionamento dei servizi educativi, il legislatore italiano ha promosso nel 1973-74 un radicale riordinamento degli organi collegiali della scuola, molti dei quali di nuova istituzione. L'iniziativa ha di poco preceduto o seguito analoghe esperienze straniere, tutte sollecitate dal fenomeno della contestazione studentesca e dai fermenti sociali e politici che si erano registrati negli Stati Uniti, in Europa e altrove fra la metà degli anni Sessanta e i primi anni Settanta.
Il nuovo quadro normativo − delineato dalla legge di delega al governo 30 luglio 1973, n. 477 (articoli 5-9) e definito dal d.P.R. 31 maggio 1974, n. 416 (con limitate modifiche successivamente intervenute) − ha comportato una revisione delle funzioni in precedenza attribuite al preside o al direttore didattico, in modo da armonizzarle ai compiti attribuiti ai previsti organi collegiali, attraverso i quali si è inteso realizzare la partecipazione alla gestione della scuola dei diversi soggetti interessati. Il legislatore si è posto il delicato problema di garantire il necessario equilibrio fra le differenti esigenze del sistema (finalità comuni dell'ordinamento scolastico, autonomia didattica dei docenti, aspettative delle famiglie e dell'ambiente locale, funzionalità dei servizi) e ha ritenuto di risolverlo sia con la statuizione di principio secondo cui la partecipazione alla gestione deve avvenire "nel rispetto degli ordinamenti della scuola di stato" (art. 5 legge n. 477), sia con la definizione accurata di sfere di competenze attribuite ai vari organismi e di altre norme contestuali di stato giuridico del personale scolastico (d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417). In pratica ciò ha evitato che insorgessero discrasie rilevanti nella conduzione del servizio scolastico, ma non sempre ha permesso che gli organi collegiali fruissero di poteri adeguati. Una revisione delle competenze e delle responsabilità degli attuali c. si porrà quando sarà riconosciuta alle istituzioni educative quella più ampia autonomia di cui si parla in un progetto governativo del 1988. La normativa del 1973-74, che comunque rappresenta un notevole sforzo di sistemazione della materia, prevede organismi collegiali operanti a differenti livelli: di circolo o di istituto, distrettuale, provinciale, nazionale.
Prima di specificare le competenze dei c., conviene accennare ai criteri, in gran parte comuni, relativi alla elezione dei rappresentanti e al funzionamento degli organi. All'elezione dei rappresentanti nei c. di circolo e di istituto, nei c. scolastici distrettuali e provinciali e nel c. nazionale della pubblica istruzione si procede con il sistema proporzionale sulla base di liste di candidati per ciascuna componente. Le elezioni dei rappresentanti dei genitori e degli alunni nei c. di interclasse e di classe hanno luogo per ciascuna componente sulla base di un'unica lista comprendente tutti gli elettori. L'elettorato attivo e passivo per l'elezione dei rappresentanti degli alunni spetta agli studenti delle classi della scuola secondaria superiore e artistica. Con ordinanza del ministro della Pubblica istruzione vengono stabilite le modalità per lo svolgimento delle elezioni, la proclamazione degli eletti e l'insediamento degli organi collegiali. Per la validità delle sedute dei c. e relative giunte è richiesta la presenza di almeno la metà più uno dei componenti in carica. Le deliberazioni sono adottate a maggioranza assoluta dei voti espressi. Decadono dalla carica e vengono surrogati quei membri dei c. che, senza giustificato motivo, non intervengono a tre sedute consecutive. Sul regolare funzionamento degli organi di circolo, di istituto e distrettuale vigila il Provveditore agli studi, il quale, in caso di gravi irregolarità o di mancato funzionamento dell'organo, procede al suo scioglimento, sentito il c. scolastico provinciale. In caso di conflitto di competenza fra organi a livello subprovinciale decide il provveditore; fra organi a livello provinciale, decide il ministro, sentiti rispettivamente il c. provinciale e il c. nazionale.
Consigli scolastici a livello di circolo o di istituto. - Nell'ambito di ciascun circolo didattico e di ciascun istituto d'istruzione secondaria funzionano i seguenti organi collegiali: c. d'interclasse o di classe, collegio dei docenti, c. di circolo o di istituto, comitato per la valutazione del servizio degli insegnanti. Era stato previsto anche il c. di disciplina degli alunni, successivamente soppresso; le sue competenze sono state attribuite ad altri organi fra quelli sopra elencati.
Il c. d'interclasse, nelle scuole elementari, è presieduto dal direttore didattico e composto dai docenti di classi parallele o dello stesso ciclo e da un rappresentante dei genitori per ciascuna classe. Il c. di classe, negli istituti secondari e artistici, è presieduto dal preside e composto dai docenti della classe, nonché da quattro rappresentanti dei genitori nella scuola media ovvero, nella scuola superiore, da due rappresentanti dei genitori e da due rappresentanti degli studenti. Detti c. formulano proposte al collegio dei docenti in ordine all'azione didattica e alle iniziative di sperimentazione; con la sola presenza dei docenti provvedono al coordinamento didattico e interdisciplinare e alla valutazione periodica e finale degli alunni.
Il collegio dei docenti è composto dagli insegnanti in servizio nel circolo o istituto ed è presieduto dal direttore didattico o dal preside. Esso delibera in materia di funzionamento didattico, e in particolare cura la programmazione educativa, nel rispetto della libertà d'insegnamento garantita a ciascun docente; formula proposte per la formazione delle classi e l'orario delle lezioni; provvede all'adozione dei libri di testo e alla scelta dei sussidi didattici; promuove iniziative di sperimentazione e aggiornamento ed esprime una valutazione complessiva dell'andamento didattico.
Il c. di circolo o di istituto è composto dal direttore o preside e da rappresentanti eletti degli insegnanti, del personale non insegnante, dei genitori degli alunni; nelle scuole secondarie superiori, fanno parte del c. anche rappresentanti eletti degli studenti. Dura in carica tre anni ed è presieduto da uno dei rappresentanti eletti dai genitori. Ha competenza in materia di organizzazione dei servizi scolastici, di attività parascolastiche ed extrascolastiche, di gestione del bilancio. All'interno del c. è eletta una giunta esecutiva con il compito di predisporre il bilancio preventivo e il conto consuntivo e di curare l'esecuzione delle delibere.
Il comitato per la valutazione del servizio degli insegnanti, formato dal preside e da due o quattro docenti eletti dal collegio dei docenti, esprime pareri ai fini della conferma in ruolo e provvede alla valutazione del servizio su richiesta del docente interessato.
Consiglio scolastico distrettuale. - È l'organo di governo dei distretti scolastici, comprensori territoriali subprovinciali aventi il compito di realizzare "la partecipazione democratica delle comunità locali e delle forze sociali alla vita e alla gestione della scuola". Detto c. dura in carica un triennio ed è composto da rappresentanti eletti dai genitori, dagli alunni, dal personale direttivo docente e non docente, e da rappresentanti designati dalle organizzazioni sindacali, dalla camera di commercio e da enti culturali. Elegge nel proprio ambito il presidente e una giunta, che prepara i lavori del c. e ne cura le deliberazioni. Ha competenza propositiva o programmatoria in materia di localizzazione e potenziamento delle istituzioni scolastiche e dei relativi servizi, di orientamento, di assistenza e di medicina scolastica, di istruzione degli adulti e di educazione permanente e ricorrente.
Consiglio scolastico provinciale. - Opera presso il provveditorato agli studi, dura in carica tre anni e comprende nella sua competenza la scuola materna, elementare, secondaria e artistica della provincia. Di detto c. fanno parte: il provveditore, l'assessore alla pubblica istruzione della provincia, rappresentanti dei comuni, del consiglio regionale, del personale direttivo docente e amministrativo della scuola, dei genitori degli alunni, del mondo del lavoro. Sono organi del c. il presidente, la giunta esecutiva e tre c. di disciplina per il personale docente, rispettivamente, della scuola materna, elementare e media. Oltre che in campo disciplinare per il personale suddetto, ha competenza in materia di piano di sviluppo territoriale delle istituzioni educative, di servizi di orientamento, medicina scolastica, assistenza psicopedagogica, di educazione degli adulti e di educazione permanente, di edilizia scolastica.
Consiglio nazionale della pubblica istruzione. - È il massimo organo elettivo in campo scolastico (esclusa l'istruzione universitaria). Dura in carica cinque anni, è presieduto dal ministro ed è formato da 74 componenti, in grande maggioranza eletti dalle diverse categorie del personale scolastico. Il c. elegge il vice presidente, l'ufficio di presidenza e tre c. di disciplina per il personale, rispettivamente, ispettivo, direttivo di ogni ordine e grado di scuole, docente delle scuole secondarie superiori e artistiche. Il c. ha funzioni consultive generali.
In particolare, esprime pareri in materia legislativa, di programmazione dello sviluppo scolastico, d'innovazione e di sperimentazione dei contenuti culturali e didattici, di riforma degli ordinamenti, di stato giuridico del personale; il parere è vincolante per i trasferimenti di ufficio del personale dei ruoli nazionali. Per l'espletamento dei suoi compiti il c. funziona attraverso cinque comitati a carattere orizzontale (per i problemi relativi alla scuola materna, elementare, media, secondaria superiore, artistica); attraverso comitati a carattere verticale per materie relative a due o più settori scolastici; come corpo unitario per le materie d'interesse generale.
Consigli universitari. - Nel campo dell'istruzione universitaria, nuovi organi collegiali, in aggiunta a quelli già esistenti e in parte aggiornati, sono stati introdotti dalla legge delega 21 febbraio 1980, n. 28, e dalle norme delegate del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 sul riordinamento della docenza universitaria e sulla sperimentazione organizzativa e didattica. I c. operanti ai diversi livelli dell'organizzazione universitaria sono pertanto i seguenti.
Presso ogni istituto, che riunisce più insegnamenti affini, opera il c. di istituto, costituito dai professori ufficiali e da una rappresentanza dei ricercatori facenti parte dell'istituto. Nei dipartimenti − organismi introdotti dalla predetta legislazione, nei quali si organizzano uno o più settori di ricerca e i relativi insegnamenti anche afferenti a più facoltà o corsi di laurea − funziona il c. di dipartimento, di cui fanno parte i professori ufficiali, gli ex assistenti in esaurimento, i ricercatori e una rappresentanza del personale non docente e degli studenti laureati iscritti al dottorato di ricerca. Nelle facoltà comprendenti più corsi o indirizzi di laurea, oltre al tradizionale c. di facoltà, operano specifici c. di corso di laurea o di indirizzo con il compito di coordinare le attività di insegnamento e di studio per il conseguimento delle lauree e diplomi previsti dagli statuti; detti c. sono costituiti dai professori ordinari e associati e da rappresentanti dei ricercatori, del personale non docente e degli studenti della facoltà, corso o indirizzo di laurea. Organi collegiali generali di ciascuna università continuano a essere, come per il passato, il Senato accademico e il c. di amministrazione (quest'ultimo adeguato, nella composizione, con la rappresentanza dei professori associati e dei ricercatori).
Sul piano nazionale, quale organo elettivo di rappresentanza delle università, opera il Consiglio Universitario Nazionale (CUN), istituito con l. 7 febbraio 1979, n. 31, in sostituzione della prima sezione del soppresso C. superiore della Pubblica istruzione. Nuovamente riordinato dalla l. 19 novembre 1990, n. 341 (art. 10), il CUN svolge ora funzioni consultive relativamente agli atti di carattere generale di competenza del ministro dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica. In particolare, le sue funzioni hanno riguardo: al coordinamento fra le sedi universitarie; al reclutamento e allo stato giuridico di professori e ricercatori; alla ripartizione fra le università dei fondi destinati alla ricerca scientifica; alla disciplina nazionale in materia di ordinamenti didattici; ai piani di sviluppo delle università. Il CUN è composto da 30 membri eletti in rappresentanza delle aree disciplinari di cui all'art. 67 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382; 8 rettori designati dalla Conferenza permanente dei rettori; 8 studenti eletti dagli iscritti ai corsi; 5 membri eletti dal personale tecnico e amministrativo; 2 membri designati dal C. nazionale dell'economia e del lavoro; 1 membro designato dal C. nazionale delle ricerche. Il CUN elegge il presidente fra i suoi componenti, i quali durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili.
Bibl.: Nuove strutture della scuola italiana, in Annali della Pubblica Istruzione, quaderno n. 2, 1974; A. Barettoni Arleri, G. D'Addona, F. D'Amaro, Gli organi monocratici e collegiali dell'università, Roma 1983; G. Rappazzo, A. Pietrella, La gestione collegiale della scuola. Fonti normative, dottrina, giurisprudenza, commento, Milano 1987; Ministero della P.I., Raccolta coordinata delle disposizioni sugli organi collegiali della scuola, in Suppl. ordinario al Bollettino ufficiale, 21-22 (1988).