Consiglio dei Cento
. L'affermazione del priorato (1282) sanziona a Firenze il trionfo politico delle arti maggiori, nei rappresentanti più qualificati delle quali viene a riunirsi la somma del potere, alla cui gestione, almeno fino agli Ordinamenti di giustizia, sono anche largamente presenti i magnati i quali, a ben guardare, fanno parte dello stesso tessuto economico e sociale degli esponenti più qualificati del mondo artigiano cittadino.
Gli anni immediatamente successivi all'istituzione del priorato vedono affermarsi sempre più la tendenza verso un regime di carattere oligarchico, per cui il governo fiorentino finisce coll'essere in mano a una cricca vera e propria (il termine non è nostro, ma dell'Ottokar, lo storico più sensibile di questo tempo) di cittadini, espressione dell'ambiente magnatizio e del mondo economico e finanziario.
Il Consiglio dei Cento nasce in questo periodo (1289: inizio del funzionamento dello stesso il primo ottobre), il che ci porta a ritenere che l'istituzione del medesimo rispondesse, oltre che a bisogni veri e propri di governo, agl'interessi del gruppo al potere.
In apparenza il nuovo Consiglio non pareva cosa nuova, sembrando esso una derivazione diretta del nebuloso Consiglio del giudice sindaco, esistente, sembra, nel 1282-1283 e del quale subito dopo si era persa ogni traccia: ma la filiazione è incerta e la somiglianza era più apparente che reale, perché il nuovo organo, figlio di circostanze particolari, aveva compiti tali che lo differenziavano nettamente dal precedente, per cui è logico considerarlo come istituto del tutto nuovo e senza addentellati col passato.
Il Consiglio dei Cento ebbe prevalentemente funzioni di carattere finanziario, e tale assunto è ampiamente provato dal fatto dell'essere la sua istituzione contemplata dalle note " Provvisioni canonizzate " del 2 settembre 1289, le quali, come è noto, sono appunto un complesso normativo di natura finanziaria. Questo, però, non vuol dire affatto che al Cento non si lasciasse adito a ingerenze di natura squisitamente politica, le quali nella pratica saranno anzi così ampie da fare dello stesso il Consiglio più importante del comune e la longa manus del gruppo che praticamente comandava al vertice dello stato.
I motivi della creazione del Consiglio dei Cento sono delineati con sufficiente chiarezza nell'esordio della provvisione istitutiva del 2 settembre 1289: non sembrando che i Consigli esistenti (generale e particolare del podestà e del capitano) fossero gli organi più adatti per un oculato controllo della gestione finanziaria dello stato e parendo opportuno che il controllo medesimo fosse esercitato specialmente da quelli " qui, magis in divitiis habundantes, maiora substinent honera expensarum " (sottile eufemismo per riservare il nuovo organo ai facenti parte del gruppo di potere), si viene nella determinazione di creare il nuovo Consiglio, dandogli praticamente il controllo finanziario dello stato e rimanendo escluse dall'approvazione dello stesso solamente le spese di ordinaria amministrazione, continuate, come per l'addietro, a carico della Camera del comune. Nel campo finanziario, perciò, i poteri del Cento sono esclusivi e pressoché illimitati dal momento che tutti i provvedimenti di questa natura dovevano passare attraverso quest'organo, spesso con esclusione degli altri Consigli del comune: e questo è già sufficiente a farci intendere l'importanza del Consiglio dei Cento nell'assetto costituzionale della Firenze della fine del Dugento.
Ma la funzione finanziaria, certo importantissima, non esauriva affatto i compiti del nuovo Consiglio: si deve dire, anzi, che anche nel campo politico le ingerenze dello stesso erano vaste e importanti; ed è proprio questa sua espansione a macchia d'olio nella vita politica fiorentina del tempo a far ritenere il nuovo organo come un'emanazione del gruppo dirigente cittadino. I presupposti di tutto questo, d'altronde, sono ben visibili nella stessa legge istitutiva del 2 settembre 1289, nella quale, oltre ai poteri finanziari, gli si dà la facoltà d' intervenire in tutti gli ‛ ardui negozi ' del comune, gli si concede cioè un'ingerenza diretta in tutte le questioni di una certa importanza: si deve aggiungere, anzi, che il legislatore scientemente volle adoperare una dizione tanto ambigua (arduis negotiis) per poi darle un'interpretazione estensiva e permettere al Cento un'ingerenza diretta in tutta la vita del comune; e che si sia nel vero si vede benissimo dal fatto che nella pratica l'autorità del nuovo Consiglio " non si restrinse alle sole spese, ma abbracciò quasi tutti i negozi che richiedevano la sanzione dei Consigli opportuni " (Gherardi, I, p. VIII). Si può così tirare una prima sicura conclusione: il Consiglio dei Cento è organo di grande importanza nel sistema costituzionale fiorentino della fine del sec. XIII e riflette gli interessi del gruppo al potere, in funzione e in difesa dei quali in definitiva era stato creato. L'analisi delle sue funzioni e, più ancora, il sistema di elezione dello stesso confermano appieno queste affermazioni.
I membri del Consiglio dei Cento vengono nominati dai priori assistiti da alcuni ‛ arroti ' (impiegati aggiunti ai magistrati) dei singoli quartieri cittadini, mentre in caso di sostituzione di assenti, frequenti specialmente nell'estate (è il caso, come sembra, di D. nella primavera del 1296), le nomine eran fatte direttamente dalla signoria: in ogni caso fra il gruppo di potere che spadroneggia a mezzo dei priori e il nuovo consiglio esiste una simbiosi, che si risolve nella pratica in un circolo vizioso; gli eletti di oggi sono gli elettori di domani e la rotazione degli stessi è rapida e continua perché il gruppo, specialmente in alto, è ristretto e non ammette alternative. E poiché di questo gruppo fanno parte, almeno fino agli Ordinamenti di giustizia del luglio 1293, anche non poche casate magnatizie, non c'è da sorprendersi se diversi membri delle stesse figurano con frequenza nel nuovo Consiglio. Gli avvenimenti del luglio 1293, nati sotto la spinta delle masse popolari, portano a " un effettivo allargamento della cerchia personale dei reggenti ", mentre quanto successe poco dopo (1295) segnò di nuovo il trionfo del " falso popolo " e " cricche e sette oligarchiche ancora una volta acquistarono un'importanza prevalente nel Comune " (Ottokar, pp. 278, 289). Il Consiglio dei Cento, naturalmente, ne è profondamente influenzato: e dal 1295 in poi torna a essere quell'organo ristretto che era stato prima del 1293.
Per essere chiamati a far parte dei Cento bisognava avere un'età non inferiore agli anni 25: le elezioni eran fatte nella seconda quindicina dei mesi di marzo e settembre; ogni Consiglio durava in carica sei mesi (1 aprile-30 settembre; 1 ottobre-30 marzo).
Un membro dei Cento non poteva essere rieletto per il semestre successivo, né poteva appartenere contemporaneamente a uno degli altri Consigli del podestà o del capitano, alle cui sedute, però, poteva anche partecipare se apparteneva alle capitudini delle arti: padre, figlioli e fratelli carnali non potevano far parte dei consigli, nei quali avesse figurato un congiunto. Annuenti i priori delle arti, il Consiglio dei Cento era convocato dal capitano del popolo, che ne presiedeva le riunioni, alle quali partecipava anche la signoria: in casi eccezionali, e comunque sempre rigorosamente previsti dalle leggi, il capitano poteva delegare un suo rappresentante all'ufficio della presidenza. La convocazione dei consiglieri avveniva mediante messo pubblico e suono particolare della campana del capitano del popolo (" praeconia convocatione campanaeque sonitu "): le adunanze eran fatte nella chiesa di S. Piero Scheraggio, dove si adunavano anche i due consigli del capitano del popolo; ed è qui che risuonò più di una volta la voce di Dante.
Nelle riunioni le proposte eran fatte dal capitano del popolo, o da un suo incaricato, ma solo in via del tutto eccezionale; nelle discussioni era severamente proibito parlare di cose estranee all'argomento trattato. Delle arringhe pronunciate in S. Piero Scheraggio ci sono pervenute le conclusioni attraverso i registri dei Libri Fabarum (Consulte) dell'Archivio di Stato di Firenze.
Perché le riunioni del Consiglio dei Cento fossero valide era richiesta la presenza di almeno 70 consiglieri: il ‛ quorum ' dei voti necessari alle approvazioni delle leggi era la maggioranza semplice dei presenti e il voto, a differenza di quanto avveniva negli altri consigli, era sempre segreto.
Troppo lungo sarebbe illustrare l'iter attraverso il quale le proposte acquistavano il valore di legge: il potere d'iniziativa competeva ai priori, mentre ai consigli opportuni altro non rimaneva che approvare o rigettare. Nelle questioni di carattere finanziario l'approvazione del Consiglio dei Cento era obbligatoria, e il più delle volte il suo intervento era sufficiente a dare alle proposte stesse il valore di legge: ma a poco a poco, come già si è accennato, le sue competenze si allargarono; ne dava l'occasione la generica espressione, arduis negotiis, della legge istitutiva, per cui in breve volgere di tempo il nuovo organo divenne il Consiglio più importante del comune.
D. fece parte più di una volta del Consiglio dei Cento: sicuramente ne era membro nel giugno del 1296, dal momento che il giorno 6 di quel mese egli risulta essere uno dei quattro interlocutori su una serie di proposte fatte dal capitano del popolo, e lo stesso deve dirsi del consiglio in funzione nel semestre aprile-settembre 1301 (intervento di D. del 19 giugno).
Non si può escludere a priori che D., oltre a quelle enunciate, sia stato altre volte membro del Cento, tanto più che dal 1296 in poi egli era già persona di un certo rilievo politico, come indicano le sue presenze nelle consulte nella veste di savio: ma lo stato lacunoso della documentazione del tempo non ci permette maggiori precisazioni. Una conclusione, però, sembra lecita: dall'età di trent'anni D. partecipa abbastanza intensamente alla vita politica del comune, fino ad arrivare al supremo fastigio del priorato; e il fatto stesso che più di una volta sia stato membro del Consiglio dei Cento e più di una volta sia stato chiamato a dar consigli in qualità di savio ci permette di concludere che D., oltre a essere persona di grande ascendente, occupava un posto di rilievo nel gruppo di potere cittadino della fine del sec. XIII.
Bibl. - Archivio di Stato di Firenze, Provvisioni Canonizzate, cc. 8-8v; Carlo di Tommaso Strozzi, Discorso intorno al governo di Firenze dal 1280 al 1292, in G. Capponi, Storia della repubblica di Firenze, I, Firenze 1876, 378-389; A. Gherardi, Le Consulte della repubblica fiorentina dall'anno MCCLXXX al MCCXCVIII, I, ibid. 1896, XII-XIII, XV-XVIII, XVIII-XX, 44; II, ibid., 470, 511, 577 (recens. Di M. Barbi, in " Bull. " VI [1899] 231-232, 238); D. Marzi, La cancelleria della repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1910, 27, 29, 31, 34, 48-51, 53, 65; B. Barbadoro, I consigli della repubblica fiorentina, I, Bologna 1930, 14; N. Ottokar, Il comune di Firenze alla fine del Dugento, Firenze 1926, 268, 271, 278, 289; Zingarelli, Dante 374-375, 402; Piattoli, Codice 62, 92-94, 95, 97; Davidsohn, Storia IV I 112-114, 124-125.