NATURA, Conservazione della
Fino a pochi decenni orsono predominava nell'opinione corrente la concezione tradizionale dell'uomo che, signore della terra e di tutte le creature, può disporre a suo piacimento di tutte le risorse naturali e, con ciò, si ammetteva implicitamente che tali risorse fossero illimitate e in particolare che l'insieme delle piante e degli animali costituisse una comunità essenzialmente immutabile nel corso del tempo. In realtà l'opera di Darwin, con l'introduzione del concetto di "lotta per l'esistenza", aveva reso evidente l'aspetto dinamico delle comunità biologiche, dal quale deriva la concezione di "equilibrio biologico", che fu sviluppata da vari naturalisti, e costituisce la base dell'ecologia (v. ecologia, in questa App.). Un insieme di organismi viventi in un determinato luogo costituisce un sistema ecologico, o ecosistema, e ogni membro di questa collettività, esplicando le proprie attività vitali, influisce sull'equilibrio del sistema e può modificarlo più o meno profondamente, nel corso del tempo. Il sistema è quindi in uno stato di equilibrio dinamico, anziché statico, ed è perciò suscettibile di essere modificato se si altera anche uno solo dei suoi componenti.
L'azione perturbatrice dell'uomo sugli equilibri biologici. - Anche l'uomo è un membro di un sistema ecologico, e come tale costituisce uno dei termini che possono influire sul suo equilibrio. Grazie alle singolari capacità di cui è dotato, che gli hanno consentito d'intraprendere l'evoluzione culturale, diversa e assai più rapida dell'evoluzione biologica, l'uomo è senza dubbio il più efficace modificatore degli equilibri naturali. E poiché egli ha espanso la propria area di distribuzione geografica praticamente su tutto il globo terrestre, la sua azione si riflette sull'insieme degli ecosistemi che popolano la terra, cioè sull'intera biosfera, la quale costituisce essa stessa un immenso ecosistema, chiuso e finito.
Nei primordi della sua comparsa sulla terra, quando la sua attività si limitava all'esercizio della caccia, della pesca e della raccolta delle produzioni naturali, l'uomo non produceva nell'ambiente modificazioni più intense di quelle che può determinare un grosso mammifero. In un periodo successivo, con l'applicazione delle tecniche di coltivazioni agricole e di allevamento degli animali, l'uomo ha inciso molto più profondamente sugli ambienti naturali, e con l'ausilio di opportuni attrezzi, ha disboscato, ha prosciugato terreni paludosi, ha dissodato luoghi incolti, per conquistare terreni adatti all'agricoltura e agl'insediamenti stabili. Questo stadio è durato molti secoli, praticamente fino a tutto il sec. 18°. Le modificazioni prodotte sono state, nel loro insieme, di entità non trascurabile, ma si sono attuate in modo lento e graduale, in un lungo lasso di tempo.
Il terzo stadio è quello in cui viviamo: l'era della tecnologia. Due fattori contribuiscono a rendere il processo di alterazione dell'ambiente estremamente rapido e paurosamente efficiente: l'uso di mezzi meccanici e chimici sempre più potenti e l'incremento demografico delle popolazioni umane, che ha raggiunto livelli tali da poter essere definito esplosione demografica.
Da alcuni anni a questa parte anche l'opinione pubblica ha acquistato coscienza di quanto parecchi naturalisti, demografi, sociologi venivano denunciando da molto tempo, cioè del fatto che le modificazioni apportate dall'uomo agli ambienti naturali hanno superato di gran lunga quello che si potrebbe chiamare il "livello di guardia" e minacciano di compromettere seriamente le condizioni necessarie all'esistenza stessa dell'umanità.
Occorre infatti insistere su due punti che non sempre sono ben chiari alla pubblica opinione. Primo: l'uomo, pur avendo acquistato un grado d'indipendenza dall'ambiente maggiore di qualsiasi altro essere vivente, non ha raggiunto (né potrà mai raggiungere) un'indipendenza totale. La tecnologia ha fatto progressi enormi e più ne farà in futuro, ma non potrà mai prescindere dai fattori ambientali. La catena alimentare, che va dalle piante verdi, produttrici di sostanze organiche e di ossigeno, ai consumatori (tutti gli organismi che, come gli animali e l'uomo, non sono dotati della funzione di organicazione) rimane indispensabile alla vita dell'uomo e degli animali. Molte altre catene di produzione di beni insostituibili, che si svolgono in n., sono condizioni indispensabili alla vita materiale. E così dicasi di altri beni, non materiali, come il riposo e la contemplazione della n., lo spazio per gli esercizi fisici, lo studio e l'interpretazione scientifica dei fenomeni naturali, che sono altrettanti fattori necessari alla vita umana. Il secondo punto da tener presente è che la biosfera è un sistema finito, e non illimitato. Le materie prime sono di duplice natura: quelle non rinnovabili, come il carbone, il petrolio, i minerali; e quelle rinnovabili, come le produzioni biologiche derivanti dall'attività delle piante, degli animali e dei microrganismi viventi. Le prime sono suscettibili di esaurimento totale (alcune sono ormai prossime a tale limite); le seconde, se sfruttate in modo eccessivo, possono anch'esse esaurirsi in tempi relativamente brevi.
Le principali cause della degradazione degli ambienti naturali. - Non v'ha dubbio che una delle cause prime della trasformazione degli ambienti naturali, che spesso si traduce in una loro grave degradazione, nonché nell'esaurimento di alcune risorse, è l'aumento della popolazione umana e il conseguente sovrapopolamento. Il fenomeno è mondiale; limitandoci all'Italia, dobbiamo constatare che dai 26,3 milioni di abitanti nel 1871, ai 36,9 nel 1911, si è giunti ai 56,3 milioni nel 1976, cioè la popolazione si è raddoppiata nel corso di un secolo. Oltre all'aumento numerico delle persone che occupano il territorio, si deve considerare anche in molti paesi, fra cui il nostro, l'elevazione del tenore medio di vita, che comporta un più intenso sfruttamento dei beni naturali. Lo sviluppo della tecnologia, come si è detto, consente di eseguire rapidamente operazioni di straordinaria intensità, che un tempo erano inattuabili, o si svolgevano con ritmo assai lento, nel corso di decenni, o di secoli. Quindi gli effetti della "antropizzazione" sono divenuti, in molti casi, nefasti, o comunque temibili.
La prima conseguenza di questi fatti è l'urbanizzazione, cioè la costruzione di centri di abitazione più o meno estesi su aree prima disabitate. Un aspetto particolarmente grave è la distruzione di aree panoramiche a scopo turistico, la cosiddetta "lottizzazione" dei terreni per costruirvi centri residenziali, il che comporta spesso la distruzione o la menomazione di bellezze naturali talvolta insigni, quale boschi, laghi, spiagge, ecc. A queste operazioni è connessa necessariamente l'apertura di strade, con relativi sbancamenti di strutture geologiche, boschive, ecc.
I disboscamenti indiscriminati che si sono operati in molte regioni hanno avuto come conseguenza non soltanto la distruzione di monumenti naturali di particolare imponenza, ma anche il dissesto del regime delle acque, non ultima causa delle alluvioni. Dannosa anche, se condotta oltre certi limiti, la bonifica di terreni paludosi, di lagune e laghi costieri, che, senza produrre benefici economici (il reddito derivante dalla pesca nelle lagune e nelle "valli" è spesso di gran lunga superiore a quello che si ricava dai terreni risultanti dalla bonifica e destinati all'agricoltura) hanno distrutto panorami di singolare bellezza e hanno sottratto a molti uccelli migratori luoghi di nidificazione e di pascolo, obbligandoli a modificare le vie migratorie, e mettendo a repentaglio la persistenza di parecchie specie migratorie o stanziali.
La canalizzazione delle acque a scopo industriale, e la costruzione di laghi artificiali e di condotte forzate, per alimentare impianti di produzione di energia, non soltanto deturpano ambienti naturali, ma possono provocare dissesti geologici disastrosi, com'è avvenuto recentemente nella valle del Vajont. Gl'impianti industriali, sia quelli per la produzione di energia (centrali idroelettriche, termoelettriche, nucleari), sia quelli di preparazione di materie prime a loro volta fonti di energia (raffinerie di petrolio), sia quelli di produzione di sostanze chimiche, di macchine e manufatti vari, recano spesso danni gravi al panorama, e sono fonti d'inquinamento.
Gl'inquinamenti a cui è soggetto l'ambiente oggi sono assai gravi, e purtroppo si può prevederne il futuro aumento, anziché la diminuzione. Essi colpiscono l'aria, l'acqua e la terra. Gl'inquinamenti dell'atmosfera, del mare, dei fiumi sono di tale natura da non poter essere considerati a livello locale o nazionale, bensì a livello internazionale, e sono di tale gravità da destare serie apprensioni. Basti pensare agl'inquinamenti da petrolio dei mari, o da sostanze organiche che producono l'eutrofizzazione dei mari chiusi, come l'Adriatico, o agl'inquinamenti chimici che hanno distrutto le risorse ittiche di alcuni laghi e fiumi. Disastri come quello di Seveso sono casi estremi, e di eccezionale gravità, d'inquinamento atmosferico. Contaminazioni varie si manifestano, in forme meno esplosive ma non perciò meno gravi, nei centri urbani e in vicinanza di stabilimenti industriali. Gl'inquinamenti da diossina e altre sostanze possono avere influenza non solo sulle persone con cui vengano a contatto, ma anche sulla loro discendenza, in quanto sono capaci di produrre danni genetici (mutazioni). Così dicasi anche per gl'inquinamenti da sostanze radioattive, la cui produzione è probabilmente destinata ad aumentare in futuro.
Una particolare forma d'inquinamento è data dai cosiddetti "pesticidi" molto usati in agricoltura, che possono contribuire in larga misura alla contaminazione delle acque, alle quali arrivano dilavati dalla pioggia. Anche il problema della disposizione dei rifiuti solidi va considerata nel capitolo dell'inquinamento. Categorie particolari di inquinanti sono i rumori, particolarmente incomodi o nocivi negli opifici, nei centri urbani, nelle vicinanze degli aeroporti. Infine, fra le cause che producono gravi squilibri negli ecosistemi, e non certo le meno efficienti, si devono ricordare l'esercizio incontrollato della caccia e della pesca, che hanno determinato la rarefazione o l'estinzione di numerose specie animali. Basti ricordare a titolo di esempio, per mettere in luce la gravità della situazione a livello mondiale, che le balene sono in pericolo di estinzione per la spietata caccia che viene esercitata su scala industriale con mezzi tecnici sempre più potenti e numerosi. La lista delle specie animali ormai estinte e di quelle la cui esistenza è seriamente minacciata si trova nel Red data book pubblicato a cura della International Union for the conservation of nature, che viene continuamente aggiornato.
La situazione di alterazione degli ambienti naturali, che ne provoca una grave e per lo più irreversibile degradazione, non può essere contrastata con un arresto dello sviluppo tecnologico o del progresso verso una maggiore diffusione del benessere, cosa che nessuna forza umana potrebbe ottenere, e che in linea di principio non è auspicabile, anche se un certo freno alla "civiltà consumistica sia desiderabile. Occorre però realizzare una più oculata gestione dell'ambiente e delle sue risorse, per raggiungere un equilibrio fra le esigenze dello sfruttamento immediato a vantaggio della comunità e la conservazione dei cespiti della produzione, evitando la totale distruzione dei beni.
Il controllo delle forze perturbatrici. - L'imponenza delle alterazioni prodotte dalle attività umane sui sistemi naturali e le gravissime conseguenze che ne derivano impone l'attuazione di misure adatte a frenare tale azione, o ad arrestarla, ove possibile. Per esercitare un controllo in tal senso sono necessarie azioni di diverso ordine. In primo luogo è indispensabile promuovere gli studi dei problemi ecologici (nel senso più lato, che comprende, oltre alle scienze biologiche, anche le scienze della terra e delle acque), con particolare riguardo a quelli che hanno più diretto rapporto con il benessere dell'umanità.
I problemi sono molteplici: in parte d'ordine generale e di rilevanza mondiale, in parte specifici e diversi per i vari paesi. L'ecologia, fra le scienze naturali, è quella in cui è più difficile fare previsioni precise, data l'enorme complessità dei rapporti degli organismi fra di loro e con la parte fisica degli ecosistemi. Perciò è tanto più necessario e urgente promuovere le ricerche in questi campi. Un aspetto particolarmente importante della conoscenza dei problemi ecologici e naturalistici in genere è la sua diffusione nel pubblico, che valga a creare una sensibilità naturalistica nei cittadini, in modo da sviluppare un'opinione pubblica consapevole. Perciò dev'essere rivolta particolare cura all'istruzione impartita nelle scuole. Essa deve fornire agli studenti un quadro che rappresenti la complessità degli equilibri ecologici che interessano l'uomo e mettere in luce la dipendenza dell'umanità dalle risorse della natura. Da ciò scaturisce la necessità di amministrarle con cura e di opporsi alle distruzioni che non siano indispensabili. Molto importanti in questa funzione di educazione sono naturalmente anche i cosiddetti mass media (giornali e riviste, cinema, radio e televisione).
Un secondo aspetto di grande importanza in ogni azione intesa alla conservazione della n. e delle sue risorse, è la valutazione economica. È inevitabile che l'aumento delle comodità materiali a disposizione di una popolazione e l'incremento dei beni di consumo comportino alcune conseguenze sfavorevoli per quanto riguarda la disponibilità delle risorse. In molti casi è possibile esprimere tali conseguenze in termini finanziari. Quando si possa procedere a una valutazione economica del risultato della trasformazione di un ambiente o di un sistema ecologico, ciò dev'essere fatto in base a un accurato studio socio-economico, possibilmente proiettato in un futuro non solo prossimo. Tale valutazione, in cui l'economista dev'essere assistito da altre competenze (ecologica, agronomica, industriale, ecc.) costituisce la base per la decisione sulle opere da intraprendere, sia per l'assetto territoriale, sia per lo sfruttamento dei beni naturali.
Spesse volte però una precisa valutazione finanziaria non è possibile, o non è sufficiente. Il danno che può derivare da una data operazione o da un conseguente inquinamento può essere indiretto e non misurabile, ma non perciò meno grave. Ciò si verifica frequentemente là dove sono in giuoco valori di paesaggio, o artistici, o scientifici, o di salubrità e amenità di determinati ambienti. In tali casi la società deve prendere una decisione tenendo conto di tutti gli elementi di cui dispone, affinché gli organi di governo possano scegliere la soluzione migliore in ogni singolo caso.
Il terzo stadio nell'azione di conservazione della n. è lo stadio esecutivo, che consiste nell'emanazione di provvedimenti legislativi e amministrativi (e nella loro applicazione) atti a esercitare il controllo delle azioni perturbatrici nell'uomo, consentendo quelle che la precedente indagine avrà dichiarato vantaggiose o tollerabili, e proibendo o contenendo entro limiti ragionevoli quelle dannose. È questa, evidentemente, la fase più impegnativa sia per le conseguenze immediate, sia soprattutto per quelle future, di tutta l'azione rivolta a controllare responsabilmente l'azione dell'uomo. È anche la più difficile ad adottarsi, perché ogni coercizione in questo campo può ledere interessi di privati, di società industriali, o di piccole comunità che tendono a difendere accanitamente vantaggi immediati e spesso temporanei, senza curarsi di una più lungimirante prospettiva sociale e storica. L'esercizio di un controllo adeguato è uno degl'indici più significativi del grado di civiltà raggiunto da un paese.
Criteri per la tutela dell'ambiente. - Per lo più non è praticamente possibile realizzare una conservazione assoluta (com'è, o dovrebbe essere, nei Parchi nazionali), tendenza che è stata spesso rimproverata ad alcuni protettori della n., ai quali è stata mossa l'accusa di non essere realistici, bensì dei romantici che non tengono conto delle esigenze delle popolazioni umane. La tutela dev'essere intesa nel senso di una saggia amministrazione del patrimonio comune dell'umanità, che consenta di utilizzarne i frutti senza distruggere o danneggiare il cespite che li produce. Questa amministrazione dev'essere condotta con riguardo non soltanto al presente, ma con la prospettiva del futuro, e non soltanto con lo sguardo rivolto a interessi locali o nazionali, ma su di un piano internazionale, mondiale. È quindi necessario addivenire a una concezione globale dell'ambiente, sia nel senso che i vari fattori ambientali non si possono tenere separati, com'è necessario fare per il loro studio analitico, ma si devono considerare nella loro totalità, sia nel senso che l'ambiente spesso supera i confini politici e dev'essere considerato in tutta la sua estensione geografica: basti pensare, per rendersi conto di questo fatto, all'inquinamento dell'aria o delle acque. Anche la concezione giuridica dei beni ambientali dovrebbe essere definita in linea di principio abolendo il concetto di res nullius per ciò che non è proprietà privata (principio che ancora ispira la legislazione italiana della caccia), e sostituendolo con il concetto di bene comune, res communis omnium, bene che dev'essere tutelato per assicurarne la disponibilità alla comunità e a ciascuno dei suoi membri.
Imprese per la conservazione della natura a livello internazionale e nazionale. - Il primo movimento per la protezione della n. nacque fra gli artisti: il gruppo dei pittori della scuola di Barbizon, con a capo Th. Rousseau, si oppose all'introduzione di specie di piante estranee che modificassero il paesaggio originario, e ottenne, nel 1853, un decreto di protezione della foresta di Fontainebleau. Fra i più antichi protettori vanno annoverati coloro (sovrani, principi, feudatari) che potevano istituire riserve di caccia, alcune delle quali furono poi trasformate in Parchi nazionali. Così avvenne per la Real riserva di caccia del Gran Paradiso istituita (1856-57) dal re Vittorio Emanuele II, appassionato cacciatore, per la protezione dello stambecco, la quale divenne poi, nel 1922, Parco nazionale. I primi Parchi nazionali furono istituiti negli Stati Uniti d'America: Yellowstone, nel 1872, Sequoia, Yosemite e altri nel 1890, e l'esempio fu presto seguito da molte altre nazioni (v. parchi nazionali, XXVI, p. 316, e in questa Appendice).
Le organizzazioni internazionali per la protezione della fauna ebbero inizio nel 1922 con la costituzione del Conseil International pour la Protection des Oiseaux (CIPO) per la difesa dell'avifauna e in seguito dello International Wildfowl Resarch Bureau (IWRB) che si occupa della difesa delle specie oggetto di caccia. Nel 1948, auspice l'eminente biologo inglese Sir J. Huxley, fu costituita a Fontainebleau la International Union for the Conservation (in origine protection) of Nature and its ressources (IUCN) che ha sede a Morges (Svizzera). Nel 1961 è sorta l'organizzazione World Wildlife Fund (WWF) che ha sede centrale anche a Morges, e comprende numerose sezioni nazionali, fra cui quella italiana, con sede a Roma. Nel 1967 lo International Council of Scientific Unions (ICSU) per iniziativa della International Union of Biological Sciences (IUBS) lanciò lo International Biological Program (IBP) a cui aderirono 56 nazioni, fra cui l'Italia, che aveva una sezione destinata ai problemi della conservazione della natura. Tale programma, per cui era previsto un quinquennio di attività, ha esaurito la propria opera, documentata da numerose pubblicazioni. Come continuazione l'UNESCO ha messo in opera il programma MAB (Man And Biosphere) che è attualmente in corso. Altre iniziative sul piano internazionale sono la costituzione, avvenuta nel 1963, presso il Consiglio di Europa, con sede a Strasburgo, di un Comitato europeo per la conservazione della n. e delle risorse naturali, composto da esperti nazionali, con il compito di presentare pareri e suggerimenti al riguardo. Nel 1970 il Consiglio d'Europa indisse l'Annata europea della conservazione della natura alla quale aderirono molti paesi, fra cui l'Italia, e nel 1976 propose un Programma ambiente 1977-1981. Nel 1972 l'Organizzazione delle Nazione Unite promosse la Conference on the human environment, che ebbe luogo a Stoccolma e alla quale parteciparono i delegati di 110 paesi. Nello stesso anno è stato fondato lo United Nations Environmental Programme, con sede a Nairobi (Kenya), che è finanziato da contributi delle varie nazioni, e governato da un Consiglio formato dai rappresentanti di 58 nazioni, i quali formulano i programmi ambientali.
Iniziative di ambito più limitato sono per es. il Project Mar per la conservazione e la gestione delle paludi, delle torbiere e altre zone umide (conferenza organizzata da IUCN, ICBP e IWRB a Les Saintes-Maries-de-la-Mer nel 1962) a cui fece seguito la convenzione di Ramsar (Iran, 1971) per la protezione delle zone umide; la convenzione di Washington sul commercio delle specie esotiche; la Società per la protezione del bisonte europeo; quella per la protezione delle balene, e molte altre.
A livello nazionale si deve innanzitutto ricordare la costituzione, nei diversi paesi, di varie organizzazioni private, che hanno svolto azioni protezionistiche più o meno efficaci, d'ordine generale, o in campi ristretti. In Italia, oltre alle sezioni nazionali di organizzazioni internazionali, come quelle sopra citate, si occupano attivamente dei problemi della conservazione: l'Associazione nazionale Italia Nostra (che s'interessa della tutela del patrimonio artistico e storico, e anche di quello naturale), e la Federnatura (già Pronatura italica). Anche associazioni aventi scopi diversi, come il Club Alpino Italiano (CAI) e il Touring Club Italiano (TCI) s'interessano ai problemi della difesa della natura. Vi sono inoltre numerose organizzazioni regionali e locali; dalla confederazione di un certo numero di queste, è nata appunto, nel 1959, la Federnatura.
La prima organizzazione a livello statale sorta in Italia è la Commissione di studio per la conservazione della natura e delle sue risorse, istituita presso il Consiglio nazionale delle ricerche, nel gennaio del 1951, a poco più di due anni dalla fondazione della IUCN, e a breve distanza dall'istituzione in Gran Bretagna della Nature Conservancy. Auspice di questa istituzione fu lo zoologo A. Ghigi, che ne tenne la presidenza dall'inizio fino alla sua morte (1970). La Commissione ha svolto un'attività molto intensa, emettendo voti e pareri su vari argomenti generali o specifici, organizzando colloqui e convegni, preparando disegni di legge (sulla caccia, sui parchi nazionali), organizzando alcuni programmi di ricerca e adoperandosi in vari modi per diffondere nel pubblico la sensibilità ai problemi della tutela dell'ambiente. Sono opere promosse dalla Commissione, fra l'altro, l'elenco delle aree naturali da proteggere in Italia (1971) e il Libro bianco sulla natura in Italia (1971). La Commissione del CNR ha una funzione meramente consultiva e perciò la sua efficacia per la tutela dell'ambiente è necessariamente limitata in confronto a quella che può essere l'opera di organismi statali dotati di poteri normativi ed esecutivi, quali i ministeri. Di fronte alla crescente gravità della degradazione dell'ambiente, che procede con ritmo accelerato in tutto il mondo e in particolare anche in Italia, com'è stato ampiamente documentato da numerose pubblicazioni e da altri mezzi d'informazione, si è imposta all'opinione pubblica, negli anni recenti, la necessità di addivenire a una responsabile e coordinata politica dell'ambiente. Alcune nazioni hanno costituito organismi (ministeri o agenzie statali per l'ecologia, o per l'ambiente) in grado di attuare tale politica e d'imporre vincoli e restrizioni.
In Italia, in alcune recenti legislature era stato costituito un ministero dell'Ambiente, ma esso ha avuto vita breve. Attualmente esiste, oltre al ministero per la Ricerca scientifica a cui afferiscono alcune competenze per la tutela ambientale, il ministero per i Beni Culturali e Ambientali, al quale sono state trasferite alcuni Direzioni generali (Antichità e Belle Arti, Accademie e Biblioteche) che facevano parte del ministero della Pubblica Istruzione. Ma le competenze di questo ministero nei riguardi dell'ambiente non sono ben definite: la legge vigente è ancora quella del 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle "bellezze naturali e panoramiche", evidentemente sorpassata e inattuale. In seguito all'attuazione dell'ordinamento regionale, con l. 22 luglio 1975, n. 382, e d.P.R. n. 616 del 24 luglio 1977 le funzioni di tutela delle bellezze naturali e panoramiche è delegata alle Regioni. Lo stato dovrebbe però emanare leggi-quadro che definiscano i criteri generali per la difesa dell'ambiente. Questa difesa non può limitarsi alla generica accezione indicata dalla l. 1497, ma deve riferirsi a una materia assai più varia, che ricade fino a oggi nella competenza di numerosi ministeri (Agricoltura e Foreste, Lavori pubblici, Marina mercantile, Difesa, Affari esteri e altri). La complessità della normativa attualmente in vigore, sia con leggi dello stato, sia con leggi delle Regioni, risulta dal Codice dell'ambiente, pubblicato dallo ISGEA (1977).
In conclusione si può affermare che la degradazione dell'ambiente ha raggiunto in tutto il mondo e in particolare in Europa, in genere nei paesi tecnicamente più progrediti e più intensamente popolati, livelli di una gravità molto preoccupante, ai quali urge porre riparo mediante opportune e drastiche norme, molte delle quali devono essere concordate a livello internazionale, e che nei singoli paesi devono essere rigorosamente applicate (v. ambiente e paesaggio, in questa Appendice).
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