MEYER, Conrad Ferdinand
Poeta svizzero, nato a Zurigo l'11 ottobre 1825, morto a Kilchberg il 28 novembre 1898. Discendente di vecchia famiglia patrizia, alla precoce morte del padre crebbe cagionevole di salute, facile preda di depressioni nervose, più fantastico che volitivo e perciò irregolare negli studî. Nemmeno gli anni d'università posero termine ai tormenti della sua adolescenza (adombrati poi nella novella Das Leiden eines Knaben). Per la giurisprudenza non sentiva alcuna disposizione; nei primi suoi tentativi poetici non parve a giudici autorevoli di vedere una promessa. La coscienza d'essere un inetto alla vita, la morbosa atmosfera familiare, le disordinate letture furono per guastargli la ragione. I Kritische Gänge di Fr. Th. Vischer lo richiamarono finalmente al gusto della realtà, e il soggiorno in una casa di salute (1852) gli ristabilì l'equilibrio dei nervi. Finì di trovare la strada della salvezza a Losanna in casa dello storico L. Vullemin. Traducendo i Récits des temps mérovingiens di A. Thierry e immergendosi nella letteratura francese del gran secolo incominciò quelle contemplazioni fantastiche della storia e quella disciplina di stile, che dovevano essere caratteristiche precipue della sua arte. Reso libero di sé dalla morte della madre, stretto alla energica sorella Betsy, cercò dapprima le vie del mondo, dimorando alcuni mesi a Parigi e a Monaco di Baviera (1857) e altri in Italia (1858), soprattutto a Roma e in Toscana, dove fu ospite di B. Ricasoli (che gli fornì poi tratti per l'Ezzelino della novella Die Hochzeit des Mönchs). Gli anni seguenti furono di lenta e tranquilla maturazione in patria.
Anonimo uscì nel 1864 il primo saggio poetico Zwanzig Balladen. Von einem Schweizer, seguito nel 1869 da Romanzen und Bilder. I temi romanzeschi e gli sviluppi prolissi delle prime ballate potevano ancora celare la novità di sentire del M., e appena la lasciavano intravvedere nel secondo volumetto la cresciuta intensità della visione poetica e la maggiore valentia tecnica. Tutto originale invece fu il frutto artistico delle commozioni destate nel poeta svizzero dalla guerra del '70, Huttens letzte Tage (1871). Ebbe a dire il M. d'avere allora dimesso quanto di francese era in lui, meritando di essere annoverato fra gli scrittori tedeschi. Nel coro di questi però egli portava una nota affatto personale. Il suo Hutten è un malato che viene a morire nell'isoletta di Ufenau, sul lago di Zurigo, e vive solo di ricordi. I singoli brevi componimenti del poemetto evocano una folla di personaggi e di fatti storici per celebrare la virile malinconia di un eroe segnato dalla morte. E già qui il poeta traccia i limiti del suo mondo fantastico, un mondo epico-lirico, rievocativo del giuoco di grandi fantasmi storici, creato per appagare uno spirito desideroso d'azione e capace solo di contemplazione. La storia è il rifugio e l'agone del M.; onde il valore che nella sua opera hanno le potenze del destino e della personalità, le protagoniste delle sue novelle.
La predestinazione trionfa nella prima novella, Das Amulett (1873), ma nella serie delle seguenti la luce è concentrata sulla personalità umana che si foggia da sé la propria sorte. Sono personalità vigorose e perfino demoniache, come Jürg Jenatsch (1874), il liberatore dei Grigioni, assassino, traditore e apostata per raggiungere lo scopo politico voluto; Thomas Becket (Der Heilige, 1879), dapprima strumento mirabile di governo al servizio del re d'Inghilterra, poi suo inesorabile avversario, Stemma (Die Richterin 1885), che per vent'anni nasconde l'uxoricidio commesso in gioventù. Sono personalità deboli, artefici per indecisione o impotenza della propria rovina, come il Vicedomini della Hochzeit des Mönchs (1884), il cui miserevole caso è fatto narrare da Dante alla corte scaligera, e Julian Boufflers di Das Leiden eines Knaben (1883), vittima invero anche dell'odio dei gesuiti. Sono dei motteggiatori abili nell'accomodare, non senza loro profitto o spasso, certe strutture del mondo, come il generale Wertmüller (in Der Schuss von der Kanzel, 1877), e Poggio Bracciolini (Plautus im Nonnenkloster, 1881). Tutte però, più o meno, sono personalità problematiche, anche la giovine Augusta, trasformatasi per amore del re di Svezia in paggio (Gustav Adolfs Page, 1882), e specialmente il marito di Vittoria Colonna, al quale i principi italiani offrono la corona di Napoli per farlo volgere contro l'imperatore (Die Versuchung des Pescara, 1887), e gli Este di Angela Borgia (1891). Né dovevano esserlo meno gli eroi dei racconti lasciati incompiuti dal poeta (Der Komtur, Der Dinast, Petrus de Vinea, ecc.). La sua fantasia si addentrava con predilezione nei problemi di psicologia storica, nei quali vedeva estrinsecarsi i contrasti, che sempre lo interessarono, di germanesimo e latinità, Rinascimento e Riforma, cattolicesimo e protestantesimo, di natura e spirito, di forza e debolezza. Il suo vigile senso d'arte però lo tratteneva dal cadere nell'astratto e dal trattare l'ambiente e il costume storico come fine a sé stesso. Se anche alcune età, il Barocco, il Medioevo e soprattutto il Rinascimento lo attirarono particolarmente, i nodi drammatici rappresentati nelle sue novelle erano in ultima analisi obiettivazioni del pensare, del sentire, perfino di vicende personali dell'autore, e più di un personaggio fu la sua maschera. Con tenacissimo lavoro - egli stesso riconosceva che "molto gli giovò lo studio dell'arte italiana" del Rinascimento - il M. si foggiò nelle novelle uno stile di rara potenza espressiva, ora plastico, ora musicale, di un'essenzialità sempre più severa e cristallina.
Una fantasia così amante dei segreti psicologici, dei conflitti estremi e dominata dal gusto di una vita forte e ricca in un breve cerchio insidiato dalla morte, pareva tendere naturalmente al dramma. I primi tentativi di parecchie novelle del M. ebbero forma drammatica, e a drammi egli tentò di ridurre novelle già compiute. Inutilmente: l'intima sostanza di questo autore era lirica. Anche nelle novelle una strumentazione contrappuntistica, ricca di simmetrie, parallelismi, simbolismi minaccia talvolta di sgretolare la struttura epica. Negato al dramma, il M. fu nuovamente grande nella lirica. Non lo è però nelle prime ballate, e neppure nell'idillio Engelsberg (1872) dagl'ibridi colori leggendarî, sì invece nei componimenti dell'età matura, scelti e ordinati poi, coi migliori della gioinezza, nell'armonioso tempio dei Gedichte (ed. def., 1892). Anche nei più brevi si può comprendere come il M. non continui la tradizione romantica della poesia facile e immediata. Né può essere confuso con gli artificiosi poeti della scuola di Monaco. L'assiduo sforzo artistico, che l'induceva a rielaborare senza posa ogni sua creazione, conseguì spesso la forma perfetta, che realizzava in tutta la sua purezza il fantasma lirico nativo. Nobili fantasmi e nobili forme, che nell'epoca del grossolano naturalismo furono scherniti come estetizzanti. ln realtà, come sono visibili in tutta l'opera del M. le preoccupazioni etiche e religiose, così è evidente che la bellezza da lui creata è quella della classicità. Nelle nove parti del suo volume non mancano i residui del lirismo giovanile, i virtuosismi della troppo studiata plasticità, le esagerazioni del simbolismo, ma in complesso la messe di poesia pura è di una rara ricchezza.
Ediz.: C. F. Meyer, Sämtliche Werke, con introduzione di Robert Faesi, Berlino 1928, voll. 4; C. F. M.s, unvollendete Prosadichtungen, con introduzione di A. Frey, Lipsia 1916, voll. 2; C. F. M., Briefe, a cura di A. Frey, Lipsia 1908, voll. 2; Louise von François u. C. F. M. Ein Briejwechsel, Berlino 1920; C. F. M. und I. Rodenberg. Ein Briefwechsel, Berlino 1918.
Bibl.: A. Frey, C. F. M. Sein Leben und seine Werke, Stoccarda e Berlino 1919, 3ª ed.; Harry Maync, C. F. M. und sein Werk, Frauenfeld 1925; R. d'Harcourt, C. F. M. Sa vie, son oeuvre, Parigi 1913; A. Farinelli, C. F. M., in Poesia germanica, Milano 1927; L. Bianchi, C. F. M., in Von der Droste bis Liliencron, Lipsia 1922; E. Kalischer, C. F. M. in seinem Verhältnis zur italienischen Renaissance, Berlino 1907; A. Burkhard, C. F. M. The style and the man, Cambridge 1932.