conoscere (canoscere; cognoscere)
1. Verbo di notevole frequenza nelle opere di D., sia in prosa che in verso. Ricorre in complesso 162 volte (10 nella Vita Nuova, 18 nelle Rime, 70 nel Convivio, 54 nella Commedia, 10 nel Fiore). La forma più usata è l'infinito (40 presenze) seguita dalla terza persona del presente indicativo (29 presenze), dal participio passato (18 presenze), dalla prima persona del passato remoto (14 presenze), dalla prima persona del presente indicativo (10 presenze). Nei componimenti poetici appare in rima solo nove volte, e si mantiene di preferenza nella prima parte del verso.
Sotto l'aspetto formale è da notare l'alternanza ‛ conoscere '-‛ canoscere ' (cfr. Vn VIII 10 10 per le proprietà sue conosciute; Rime XLIV 1 Non canoscendo, amico, vostro nomo; XLIV 5 si pò ben conoscere d'un omo; LXXXVII 15 non posson esser conosciute; e cfr. ancora il conoscenza di If XXVI 120). Secondo il Rohlfs (Grammatica I 166) la tendenza a cambiare la -o atona in -a (operante in D. solo nel campo della poesia), riconoscibile isolatamente in Toscana, ma comune nei dialetti meridionali, è in parte risultato di un fenomeno di dissimilazione. In particolare la -a della base canoscere nascerebbe, come nota il Contini, dalla riduzione centrale del gruppo meridionale -au, del quale è spia il caunoscenza di Vn XXIII 22 40 (cfr. il commento del Contini a Rime XLIV 1), e sarà pervenuto alla poesia dantesca attraverso le rime dei siciliani.
Da segnalare ancora il cognoscendosi di Cv IV XXVIII 17, accompagnato da un cognobbor, in Fiore CCVI 3.
Nell'ambito morfologico rileviamo due presenti indicativi (I plurale) con desinenza in -emo: procedendo da quello che conoscemo meglio in quello che conoscemo non così bene (Cv II I 13), accanto alla forma tipicamente toscana con desinenza in -iamo: non conosciamo ancor tutti li eletti (Pd XX 135, testimonianza unica in Dante).
Unico è pure l'esempio del conoschi (II singol. pres. cong.) di Pg XXXIII 85. In Vn XII 4 troviamo conoscesse (I singol. imperf. cong.). Normale è la desinenza in -eva (I singol. imperf. indic.). In Vn XXIV 7 compare un conoscia, dove la terminazione sarà voluta dalla rima con dormia, come nel caso dell'eccezionale participio passato conosciuda in rima con druda (Rime XLVIII 19; per il Contini è importazione dal nord d'Italia, " probabilmente dalla Bologna del Guinicelli ").
Dal verbo c. dipende per lo più un complemento oggetto (sostantivo o pronome), talora una proposizione interrogativa, più raramente un'oggettiva, talvolta costruita con l'accusativo e l'infinito: conobbi / esso litare stato accetto e fausto (Pd XIV 92).
2. Per quanto concerne il valore semantico fondamentale del termine, occorre tener presente che il c. è per D., con dichiarato riferimento alla dottrina aristotelica (per tutto ciò cfr. la voce INTELLETTO POSSIBILE), operazione dell'intelletto: Sano dire si può [l'intelletto], quando per malizia d'animo e di corpo impedito non è ne la sua operazione; che è conoscere quello che le cose sono, sì come vuole Aristotile nel terzo de l'Anima (Cv IV XV 11). Il riscontro col luogo aristotelico è in verità piuttosto vago (è probabile che D. sia arrivato al De Anima attraverso il commento tomistico: " Apparet autem ex hoc quod Philosophus hic dicit quod proprium obiectum intellectus est quidditas rei, quae non est separata a rebus, ut Platonici posuerunt ", III, lect. VIII, n. 717). Ma da un ulteriore rimando ad Aristotele viene meglio precisata la definizione del c. implicita nel passo prima citato: però che naturalmente le lode danno desiderio di conoscere la persona laudata; e conoscere la cosa sia sapere quello che ella è, in sé considerata e per tutte le sue c[au]se, sì come dice lo Filosofo nel principio de la Fisica (Cv III XI 1). Dice infatti Aristotele (Phys. I 1, 184 a 12-14): " Tunc enim putamus cognoscere unumquodque, cum causas primas cognoverimus, et principia, et usque ad elementa " (nella versione greco-latina: " Credimus enim in unaquaque rerum ipsam scire, cum sciverimus causas eius simplices, et prima principia eius, donec pervenimus ad prima principia eius ").
Un c. di carattere schiettamente emanatistico è quello esposto in Cv III VI 4-5, fondato su un passo del De Causis (prop. VIII). Le intelligenze separate conoscono Dio in quanto loro causa, e la realtà in quanto suo effetto da esse mediato. Esse conoscono dunque ogni cosa in sé, poiché conoscono Dio universalissima cagione di tutte le cose. La loro conoscenza comprende quindi anche la forma umana; ma a conoscerla massimamente sono le intelligenze motrici, quali spezialissime cagioni di essa, in quanto cooperano con Dio nella sua attuazione. Qui il c. e i suoi vari gradi sono giustificati dalla gerarchia degli esseri qual era affermata dalla tradizione neoplatonica: E qui è da sapere che ciascuno Intelletto di sopra, secondo ch'è scritto nel libro de le Cagioni, conosce quello che è sopra sé e quello che è sotto sé. Conosce adunque Iddio sì come sua cagione, conosce quello che è sotto sé sì come suo effetto; e però che Dio è universalissima cagione di tutte le cose, conoscendo lui, tutte le cose conosce in sé, secondo lo modo de la Intelligenza. Per che tutte le Intelligenze conoscono la forma umana in quanto ella è per intenzione regolata ne la divina mente; e massimamente conoscono quella le Intelligenze motrici, però che sono spezialissime cagioni di quella e d'ogni forma generata, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo (Cv III VI 4-5; cfr. B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, Firenze 19672, 101-104, e l'Appendice a Busnelli-Vandelli, Convivio, I 457-459).
Con le limitazioni che si deducono dagli esempi finora addotti, ribadite peraltro in Cv III XV 10 con ciò sia cosa che conoscere di Dio e di certe altre cose quello esse sono non sia possibile a la nostra natura, il c., nel senso prima indicato, è negli uomini secondo natura, la quale natura regola l'ordine e i gradi del processo gnoseologico: sì come dice lo Filosofo nel primo de la Fisica, la natura vuole che ordinatamente si proceda ne la nostra conoscenza, cioè procedendo da quello che conoscemo meglio in quello che conoscemo non così bene: dico che la natura vuole, in quanto questa via di conoscere è in noi naturalmente innata (Cv II I 13). Ecco il luogo aristotelico: " Innata autem est ex notioribus nobis via et certioribus in certiora naturae et notiora " (Phys. I 1, 184 a 16).
Tale processo, se parte dal ‛ senso ', si attua pienamente con la ‛ ragione ', ma chi rimane alla semplice conoscenza sensibile, esteriore, è come un fanciullo che conosce soltanto le apparenze e non le cause delle cose: La maggiore parte de li uomini vivono secondo senso e non secondo ragione, a guisa di pargoli; e questi cotali non conoscono le cose se non semplicemente di fuori (Cv I IV 3). Ma oltre il primo stadio della conoscenza sensibile, si giunge alla conoscenza dei principi naturali, nel loro insieme, cui può aggiungersi la conoscenza di essi, partitamente, secondo due procedimenti distinti ma complementari: conoscere che siano li principii de le cose naturali, e conoscere quello che sia ciascheduno, non è parte l'uno de l'altro (Cv IV XIII 4); Aristotile... e Zenocrate Calcedonio... questo fine [il fine della vita umana] conoscendo per lo modo socratico quasi e academico (IV VI 15); così come raia / da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei (Pd XV 57); arroganza e dissoluzione è sé medesimo non conoscere, ch'è principio ed è la misura d'ogni reverenza (Cv IV VIII 3); utile ragionamento fare non si può a coloro che non la [l'umana felicità] conoscono (IV XXII 2); A lo 'ntendimento de la quale canzone bene imprendere, conviene prima conoscere le sue parti (II II 6). Vedi anche IV VIII 1 e XVI 9.
In particolare, come espressione della misura conoscitiva concessa all'uomo nei riguardi di Dio, per quello Dio che tu non conoscesti (If I 131), c. implica, secondo lo Scartazzini, " avere non solo idea distinta degli attributi della Divinità, ma altresì riverirlo come solo e vero Dio "; cfr. Ioann. 17, 3 " ut cognoscant te, solum Deum verum, et quem misisti Iesum Christum ". V. anche Pg VII 27 e Pd XIX 108.
Ai canoni del sottile intellettualismo stilnovistico si collega il luogo di Rime LXXXVII 15 le mie bellezze sono al mondo nove, / però che di la sù mi son venute: / le quai non posson esser canosciute / se non da canoscenza d'omo in cui / Amor si metta per piacer altrui (si noti la paronomasia).
Particolare frequenza ha il vocabolo nel capitolo VI del I libro del Convivio (una presenza nel § 2, una nel § 4, una nel § 5, quattro nel § 6 [ma per una di queste occorrenze v. n. 9], quattro nel § 7, quattro nel § 9, due nel § 10), dove si sostiene la tesi che il commento latino non sarebbe stato servo conoscente al signore volgare (§ 2). Il verbo vi si mantiene prossimo al valore scientifico-filosofico di cui si è parlato solo quando è usato a proposito del rapporto latino-volgare che permette al latino di c. il volgare ‛ in genere ', cioè nelle qualifiche comuni a ogni tipo di lingua, ma non ‛ distinto ', vale a dire nei caratteri specifici dei vari volgari (altrimenti chi avesse l'abito del latino conoscerebbe distintamente tutti i volgari, il che non è). Quando invece, nel corso di un paragone inserito nel brano, è chiamato a specificare la conoscenza che il servo deve avere del signore e degli amici del signore, attenua la propria gradazione semantica e sfuma nell'accezione illustrata al seguente punto.
3. " Acquistare cognizione ", " rendersi conto " di qualche cosa, " comprendere ". Anche in questo caso il c. talora si verifica in una dimensione più che umana, come accade per quelle anime del cielo di Giove che in virtù del premio ricevuto, del confronto fra l'esperienza terrena e quella celeste, dell'illuminazione intellettuale che è propria dei beati, apprendono certe verità a loro negate in terra: così Davide ora [in Paradiso] conosce il merto del suo canto (Pd XX 40), Traiano ora conosce quanto caro costa / non seguir Cristo (v. 46), Ezechia ora conosce che 'l giudicio etterno / non si trasmuta (v. 52), Costantino ora conosce come il mal dedutto / dal suo bene operar non li è nocivo (v. 58), Guglielmo II ora conosce come s'innamora / lo ciel del giusto rege (v. 64), Rifeo Ora conosce assai di quel che 'l mondo / veder non può de la divina grazia (v. 70): nella lunga sequenza la formula ora conosce si ripete per sei volte, di sei versi in sei versi, con una precisa volontà di scansione ritmica.
In altri esempi il verbo si riferisce invece a un c. di grado umano, come in Vn XXIII 15 Onde io, essendo alquanto riconfortato, e conosciuto lo fallace immaginare, rispuosi a loro; Rime LXVII 77 e conobbe 'l disio ch'era creato / per lo mirare intento ch'ella fece; Cv III VII 9 né conoscono che sia ciò; If IV 6 fiso riguardai / per conoscer lo loco dov'io fossi; Pg XXXI 75 ben conobbi il velen de l'argomento; Pd XIV 92 E non er'anco del mio petto essausto / l'ardor del sacrificio, ch'io conobbi / esso litare stato accetto e fausto; e ancora in Vn XI 2, XII 7, Rime XLIV 3 e 5, L 52, XC 63, XCV 7, CVI 6, Cv I Il 6, XI 13, II X 4, III II 9, VIII 9, X 7 (due volte), IV IX 8 (due volte), XXII 8, XXVIII 17 (riflessivo), If IV 45, V 120, Pg XV 47, XXV 87, XXXIII 72 e 85, Pd XVIII 26, XXI 22, Fiore XXVI 2, CCVI 3. Notevole il passo di Cv IV XXVIII 17 la nobile anima, cognoscendosi non avere più ventre da frutto... torna a Dio, dove c. è usato con un pronome con valore rafforzativo.
Il participio passato equivale a " noto ", in Vn VIII 10 18, Cv II XII 2 (qui con la connotazione di " apprezzato "), Pd V 12.
4. Nel passo di Cv IV XVI 6 il vocabolo è presente quattro volte, ma mentre nella seconda e nella quarta occorrenza ha un valore generico che facilmente si ricava dal contesto (anche per il rimando al latino nosco), nella prima e nella terza, alla forma passiva ‛ esser conosciuto ', corrisponde ad " aver fama ", " godere buon nome " (Si noti l'accostamento essere... nominato e conosciuto, ripetuto poco dopo con lieve mutazione): sono alquanti folli che credono che per questo vocabolo ‛ nobile ' s'intenda ‛ essere da molti nominato e conosciuto ', e dicono che viene da uno verbo che sta per conoscere, cioè ‛ nosco '. E questo è falsissimo; ché, se ciò fosse, quali cose più fossero nomate e conosciute in loro genere, più sarebbero in loro genere nobili... E però è falsissimo che ‛ nobile ' vegna da ‛ conoscere '.
Con valore passivo, in If XXIII 74 Fa che tu trovi / alcun ch'al fatto o al nome si conosca.
5. Molto frequentemente significa " sapere " nel senso comune: Non canoscendo, amico, vostro nomo (Rime XLIV 1); Ma s'a conoscer la prima radice / del nostro amor tu hai cotanto affetto (I f V 124); Madonna, mia bisogna / voi conoscete (Pg XXXIII 30); Rime L 31, CXVI 37, Rime dubbie XVIII 9, Cv I XIII 5, II IX 7, IV II 10, Fiore LXXXVII 8, CCIX 5. In alcuni casi piega al senso di " avere pratica, esperienza " di qualche cosa, come della virtù delle erbe (Cv IV IX 13, due volte; conosco la misera vita di quelli che dietro m'ho lasciati, I 110), oppure " apprezzare " qualcosa secondo il suo reale valore: Le sue magnificenze conosciute / saranno ancora (Pd XVII 85); ogn'erba si conosce per lo seme (Pg XVI 114, variazione di una sentenza evangelica: " unaquaeque arbor de fructu suo cognoscitur " [Luc. 6, 44]; v. anche la ripresa di un versetto di Matteo [7, 16] in Cv IV XVI 10 A li frutti loro conoscerete quelli); e per questo sentirà ella la tua volontade, la quale sentendo, conoscerà le parole de li ingannati (Vn XII 7).
6. " Sapere chi sia " una persona, " avere notizia " della sua condizione e delle sue qualità. In questa accezione il verbo è usato solo in poesia: Sacciate ben (ch'io mi conosco alquanto), Rime XLII 5; Io non li conoscea (If XXV 40); guardare' io, per veder s'i' 'l conosco (Pg XI 56); per far conoscer meglio e sé e' suoi (XX 72); non conosciamo ancor tutti li eletti (Pd XX 135); ch'io non conosco il pescator né Polo (XVIII 136). Altri esempi in Vn XL 2, Cv IV XXVIII 6 (omesso nell'edizione Simonelli), If XXII 65.
Valore analogo c. conserva in Rime XLVIII 19, dove è riferito alla stanza di una poesia presentata come ‛ pulcella nuda ', vale a dire priva di musica, che il poeta manda a Lippo Pasci de' Bardi perché la rivesta di note e la tenga ‛ per druda ', sì che sia conosciuda e possa andare tra la gente; e in Pd XIX 140 E quel di Portogallo e di Norvegia / lì [nel libro della giustizia divina] si conosceranno, dove peraltro ha senso negativo.
7. " Riconoscere " qualcuno o qualche cosa, in senso proprio: la quale io riguardando molto intentivamente, conobbi ch'era la donna de la salute (Vn III 4); E nominollami per nome, sì che io la conobbi bene (IX 6); Se nostra donna conoscer non poi, / ch'è sì conquisa, non mi par gran fatto / ... Ma se tu mirerai il gentil atto / de li occhi suoi, conosceraila poi (Rime LXXI 9 e 13); vidi e conobbi l'ombra di colui / che fece per viltade il gran rifiuto (If III 59); fui conosciuto da un, che mi prese (XV 23); allor conobbi chi era (Pg II 86); Conobbi allor chi era (IV 115); conosco i segni de l'antica fiamma (XXX 48, traduzione letterale del virgiliano " agnosco veteris vestigia flammae ", Aen. IV 23); Vn XII 4, XXIV 7 4, Rime LI 5 e 11, If IV 122, VI 82, VIII 39, IX 43, XVII 54, Pg II 27, VIII 48, XI 76, Fiore CXXXI 9, al passivo C 10, CXXIX 3. In Pg XVI 139 vale " individuare " una persona attraverso un soprannome: per altro sopranome io nol conosco.
8. " Riconoscere da certi segni e indizi " la natura o le qualità proprie di una persona: dico che mostrare [è] quello, cioè che cosa è gentilezza, e come si può conoscere l'uomo in cui essa è (Cv IV XV 18); mostra quello per che potemo conoscere l'uomo nobile a li segni apparenti (IV XXIII 4); e così in IV XII 2, XVI 10, XXIII 1, XXVI 1, XXIX 1.
Con lo stesso senso in Fiore XCVII 7, in frase negativa, ha come soggetto una pecora e per oggetto un montone rivestito di una pelle di lupo; v. anche il v. 10 dove il verbo è in forma passiva.
9. In alcuni luoghi c. si approssima tanto al senso di " vedere ", " scorgere ", da confondersi quasi con esso: se conosce da lungi uno animale (Cv I VI 6); ben avria quivi conosciuta l'emme (Pg XXIII 33); quand'io conobbi quella ripa intorno (X 29); conobbi il tremolar de la marina (I 117). Di questo balzo meglio li atti e' volti / conoscerete voi di tutti quanti (VII 89).
10. " Professare, esercitare una virtù ": quivi sto io con quei che le tre sante / virtù non si vestiro, e sanza vizio / conobber l'altre e seguir tutte quante (Pg VII 36); valore assai probabile anche nell'esempio seguente: che mai valor non conobbe né volle (Pd XIX 126).