CONONE (Κόνον, Conon)
Politico e generale ateniese. Apparteneva a una nobile famiglia proveniente dal demo di Anaflisto, della tribù Antiochide; nacque non dopo il 444-43, poiché lo troviamo stratego per la prima volta nel 414-13. Allora egli stazionava in Naupatto, col mandato d'impedire alla flotta peloponnesiaca di recarsi in Sicilia; ma, avendo egli venti soli vascelli, non poté opporre un grave ostacolo alla flotta corinzia superiore per numero di navi, onde chiese a Demostene e a Eurimedonte, che tornava dalla Sicilia, un rinforzo di navi. Sulla fine dell'anno sembra che sia stato deposto e sostituito con Difilo. Nel 411, dopo la caduta dei Quattrocento, fu rieletto stratego e di nuovo mandato a Naupatto, donde si recò a Corcira chiamato dai democratici, che aiutò a stabilirsi nel potere con grande strage degli avversarî. Allontanatosi Conone, si venne a una conciliazione tra i due partiti, e Corcira rientrò nella sua tradizionale neutralità. Forse per questo C. non fu eletto stratego nell'anno 410-9. Nel 407 lo ritroviamo stratego insieme con Alcibiade: fu lasciato ad assediare Andro, e nel 406 dopo l'insuccesso di Nozio si recò a Samo, donde faceva incursioni in territorio nemico. In seguito a una di queste fazioni fu da Callicratida sconfitto e chiuso nel porto di Mitilene. Lo sforzo fatto dagli Ateniesi per liberare la flotta di Conone condusse alla battaglia delle Arginuse in cui morì lo stesso Callicratida. C., non avendo preso parte alla battaglia, non fu coinvolto nell'accusa di non aver tentato di salvare i naufraghi, e quindi non fu deposto. Finalmente lo troviamo nel 405 (agosto-settembre) nel collegio degli strateghi responsabili della sconfitta di Egospotami, ma egli per parte sua aveva fatto di tutto per evitarla e con nove navi poté fuggire. Dopo la sconfitta egli si ricoverò presso Evagora, re di Salamina di Cipro, non osando ritornare in patria, perché, se anche senza colpa, sarebbe stato egualmente condannato.
Quando C. giunse a Cipro, Evagora, che aveva cercato di rendersi indipendente dal gran re, si era riconciliato con lui per mediazione di Ctesia, e questa riconciliazione era stata facilitata dal mutato atteggiamento della Persia verso Sparta. Evagora prese sopra di sé l'incarico di far nominare C. capo della flotta persiana contro Sparta; C. già nel 398 era a Cipro a capo di una flotta di 100 vascelli; la flotta si accrebbe per il concorso di tutti i regoli di Cipro, cui il satrapo Farnabazo aveva ordinato di apprestare ciascuno il suo contingente di navi. Intanto il satrapo Titrauste aveva, per mezzo di Timocrate rodio ben fornito d'oro, sollevata quasi tutta la Grecia contro Sparta. Già con un reparto di 40 navi C. si era portato in Cilicia e aveva poi ormeggiato a Cauno, dove il navarca Farace lo bloccò (397). C. fu liberato dal blocco per opera di Artaferne e Farnabazo, e si recò a Rodi dove scoppiò la rivoluzione democratica (estate 396). Agesilao si era già recato in Asia fin dalla primavera.
Nel 394 (agosto) la flotta fenicia sotto il comando supremo di Farnabazo e per opera soprattutto di C. sconfisse a Cnido la flotta spartana comandata dal cognato di Agesilao, Pisandro, che soccombette. Fu questo un grave colpo per Sparta, non compensato certo dalla vittoria di Aristodamo sul fiume Nemea, e di Agesilao, tornato precipitosamente in patria, a Coronea. Questa vittoria rese la Persia e Atene padroni del mare Egeo: dal Bosforo e dall'Ellesponto alle Cicladi. Sino all'isola di Melo e di Citera la flotta vincitrice rinforzata percorse vittoriosa e da padrona il mare: a Citera fu posta una guarnigione. Quindi C. si recò a Corinto dove sedeva il sinedrio, e dove si trovava anche Farnabazo che profondeva oro per la continuazione della guerra. Farnabazo tornò in Asia, e C. tornò in patria dove si valse del personale della flotta per rifabbricare le lunghe mura, abbattute dopo la caduta di Atene. Quindi esercitò un'azione incitatrice perché Atene ripigliasse l'antico posto come grande potenza marittima, e si valse certamente dell'oro persiano. Ma la sua mira costante era quella di rendere Atene indipendente dalla Persia. Così cercò l'alleanza di Dionisio di Siracusa, che però non volle abbandonare la causa spartana. Ma questo suo desiderio di emancipare la sua patria dalla Persia non sfuggì a Tiribazo, satrapo di Sardi, specialmente perché Evagora aveva preso allora un atteggiamento ostile alla Persia. C. fu imprigionato, sia che con piena fiducia nella lealtà di Tiribazo si fosse recato da lui, sia che fosse stato fatto venire con un pretesto. Alcuni autori dell'antichità asserivano che C. fosse stato condotto davanti al gran re e giustiziato; secondo altri autori egli sarebbe riuscito a fuggire a Cipro presso il suo amico Evagora, dove poco dopo sarebbe morto di malattia. La seconda versione è confermata dal fatto che le sue ceneri furono trasportate ad Atene, e deposte nella parte esteriore del Ceramico.
C. aveva certo un non comune talento strategico, e se dapprima non ebbe grandi successi, ciò si deve alla superiorità delle forze nemiche. In Atene gli eressero una statua insieme con Evagora, e anche in Efeso ebbe la stessa dimostrazione d'onore. Né queste testimonianze d'ammirazione erano immeritate, avendo egli, sia pure con l'oro persiano - e non sarebbe stato possibile altrimenti - restituita Atene a potenza di prim'ordine. L'amicizia che egli ebbe col panellenista Isocrate, così pieno di affetto verso il figlio di lui Timoteo, mostra che nella mente di C. la soggezione alla Persia doveva essere soltanto strumento per liberarsi da Sparta e quindi giungere alla totale emancipazione di Atene.
Bibl.: J. Beloch, Attische Politik, Lipsia 1884, p. 294; id., Griech. Geschichte, 2ª ed., III, i, Berlino-Lipsia 1922, pp. 38, 41, 71, 78, 84, 375; ii, pp. 214 seg., 222; E. Meyer, Gesch. des Altertums, V, 3ª ed., Stoccarda 1921, passim; A. Ferrabino, L'Impero Ateniese, Torino 1927, p. 405 segg.