CONIO
Con il termine c. si designa uno strumento usato per la lavorazione delle monete, consistente in un blocchetto di metallo che reca incisa in cavo su un'estremità la figurazione e/o la leggenda da riprodurre in rilievo sul tondello monetale.La tecnica di monetazione medievale non differì sostanzialmente da quella usata nell'Antichità e, pur nel differente diametro e peso dei nominali coniati, i mezzi tecnici a disposizione delle zecche rimasero sostanzialmente invariati. I pochi esemplari di c. conservati sono tutti di età greca e romana e quindi la più cospicua fonte di informazione per la conoscenza dei c. e della tecnica di coniazione dei primi secoli del Medioevo, a causa della mancanza di fonti scritte e della scarsità di testimonianze figurate, è costituita dalle monete stesse.Per quanto riguarda i materiali, al ferro fu generalmente preferito il bronzo, anche se alcuni c. di questo metallo furono incassati in un blocco di ferro per farli resistere meglio ai colpi di martello; è possibile inoltre che i c. di bronzo avessero un manicotto in ferro. Tale struttura si conservò probabilmente anche nel Medioevo, nonostante il minore spessore delle monete e il rilievo basso dei tipi non esigessero una particolare forza nel colpo di martello per imprimere l'immagine o la leggenda sul tondello monetale.I c. usati per battere le monete erano due: uno inferiore fisso, detto d'incudine perché incastrato in un sostegno posto sull'incudine, e uno superiore mobile, detto di martello, che veniva appoggiato sul c. fisso e sorretto probabilmente da una tenaglia. Tra i due veniva posto il tondello di metallo e mediante uno o più colpi l'impronta in cavo dei c. veniva impressa sulle due facce del tondello.I c. venivano incisi direttamente a mano o preparati mediante un punzone a rilievo con il quale veniva impresso il tipo in cavo sul conio. Questo secondo metodo permetteva risparmio di tempo e di lavoro, perché con lo stesso punzone si potevano incidere più c. ed era più facile apportare correzioni o mutamenti di simboli o di lettere senza dover rifare tutto il c.; dall'esame delle monete si evince che tale sistema era il più frequente nell'Alto Medioevo e almeno fino al 12° secolo. Probabilmente venivano usati differenti punzoni per le diverse parti della leggenda e del tipo, simboli, elementi ornamentali, lettere, che spesso erano ottenute con piccoli punzoni a forma di triangolo.Nel Medioevo su monete e sigilli, ma anche su capitelli, compaiono varie raffigurazioni che rappresentano monetieri o scene di coniazione documentanti, anche se schematicamente, la tecnica e gli strumenti usati. Un triente merovingio (Parigi, BN, Cab. Méd.) mostra al dritto il busto di un personaggio barbuto che tiene nella destra un oggetto cilindrico, mentre al rovescio è rappresentato un personaggio che regge con la destra un martello e con la sinistra, forse su un'incudine, un oggetto molto simile a un c.; la rozza raffigurazione sul rovescio rappresenta in modo evidente (Lafaurie, 1964) un monetario al lavoro. Il sigillo dei monetieri di Orvieto, del sec. 14° (Bologna, Mus. Civ. Archeologico; diametro mm. 38), offre un'immagine chiara della coniazione in età medievale. Sotto due archi sono raffigurate due persone, una di fronte all'altra, sedute a un bancone: quella di sinistra batte con il martello un tondello su un'incudine, quella di destra colpisce con una mazza il c. (sotto il quale si intravede il c. d'incudine) sorretto con la mano sinistra; intorno compare la leggenda S. LABORANTI: E: MONETARI: E: D'VRBIS: VETERI, che lascia supporre una distinzione tra i laborantes, forse gli operai che preparavano i tondelli, e i monetari, che coniavano le monete. I martelli usati dagli operai erano diversi: quello piccolo serviva per martellare il tondello, mentre quello a forma di mazza era usato per battere il c., che era sostenuto dal monetiere stesso poiché il rilievo basso della moneta permetteva di reggere il c. e dare il colpo di martello. Questo sigillo costituisce un documento di eccezionale interesse e può essere confrontato con una moneta del sec. 1° a.C. proveniente da Paestum, colonia romana (Garrucci, 1885), che mostra al rovescio una scena di coniazione che, pur diversa nei particolari, appare sostanzialmente simile nell'insieme.Ancora più scarsa è la documentazione riguardo agli incisori medievali, poiché l'uso di indicare il nome dell'incisore sulla moneta è moderno. È probabile che in epoca longobarda gli incisori fossero gli orafi stessi, esperti nel lavorare i metalli preziosi. Il maestro monetario Abbone, ricordato come "fabbro aurifici probatissimo qui [...] in urbe Lemovicina fiscalis monetae officinam gerebat" (Audoeno, Vita s. Eligii episcopi Noviomensis; PL, LXXXVII, col. 482), oltre a gestire la zecca, forse incideva anche i coni.I numerosi nomi presenti sulle monete merovinge probabilmente non indicano sempre l'incisore, ma piuttosto il responsabile della zecca. Così anche i magistri monete ricordati dalle Honorantiae civitatis Papiae (Panvini Rosati, 1971) dovevano essere i responsabili della zecca e non gli operai che incidevano i c. o eseguivano altri lavori.
Bibl.: R. Garrucci, Le monete dell'Italia antica, Roma 1885, tav. CXXII, nrr. 5-6; G. Cencetti, Sigilli medievali italiani del museo civico di Bologna, Atti Memorie Romagna, n.s., 3, 1951-1953, pp. 439-512: 488, nr. 204; J. Lafaurie, Triens mérovingiens avec représentations d'un monétaire, Bulletin de la Société française de numismatique 19, 1964, pp. 342-343; G. Bascapè, Sigillografia, I, Il sigillo nella diplomatica, nel diritto, nella storia, nell'arte, Milano 1969, p. 355, nr. 31; F. Panvini Rosati, La tecnica monetaria altomedievale, in Artigianato e tecnica nella società dell'Alto Medioevo occidentale, "XVIII Settimana di studio del CISAM, Spoleto 1970", Spoleto 1971, II, pp. 713-744; M. Bernocchi, Le monete della Repubblica fiorentina (Arte e archeologia. Studi e documenti, 5-7, 11), 4 voll., Firenze 1974-1978.F. Panvini Rosati
A partire dal sec. 12° la produzione monetaria nell'Europa medievale si sviluppò notevolmente: nacquero nuove zecche in molti casi organizzate su scala industriale, con un'accurata specializzazione e divisione del lavoro. In ogni zecca i c. e gli incisori dei c. avevano un'importanza decisiva e per questo è abbondante la documentazione scritta a essi relativa; oltre alle fonti, l'analisi numismatica ha rilevato molti particolari riguardo alla tecnica di produzione dei c. e al loro uso. La condizione e posizione sociale degli incisori variavano da una zecca all'altra: talvolta condividevano i privilegi concessi ai monetieri da re e imperatori, come avvenne nel caso della conferma dei privilegi al personale della zecca di Napoli, ivi compresi i due incisores cuneorum, da parte del re Ladislao di Durazzo, che nel 1401 rinnovò un atto del 1326 di Roberto d'Angiò. Gli incisori, detti nei documenti intalliatores, incisores o sculptores cuneorum, in qualche caso, come a Pisa nel 1286, erano anche custodi dei c. (custodes cuneorum); tale delicata funzione in alcune zecche era riservata ad altri: a Volterra nel 1322 la custodia dei punzoni e di altri ferri fu affidata a un notaio che era anche saggiatore e approvatore della moneta, mentre intagliatore dei c. era un orefice fiorentino. Gli incisori di Firenze furono particolarmente richiesti: a Roma Cola di Rienzo (1347-1354), volendo coniare monete, richiese a Firenze uno zecchiere, un saggiatore e un incisore. La sostituzione del personale qualificato non era facile: la zecca di Firenze nel 1332, invece dei due previsti, aveva un solo incisore, vecchio e quasi cieco, che produceva c. brutti e pieni di errori; nel 1300 l'unico incisore della zecca di Venezia si fece affiancare dal figlio apprendista per rispondere alle necessità di un'intensificata produzione monetaria.Le monete mostrano cambiamenti di stile e di qualità, con differenze rilevabili a volte tra due facce di una stessa moneta; questo è dovuto al fatto che i c., pur essendo usati a coppie (dritto e rovescio), erano di solito prodotti in gruppi composti da un c. d'incudine (pila) e due o più c. di martello (torselli); gruppi di una pila e due torselli erano previsti per la coniazione dei carlini napoletani di Carlo I d'Angiò (1278) e per le monete di Pisa del 1318. Il numero doppio di torselli era necessario in quanto il c. superiore, ricevendo direttamente i colpi di martello, subiva un'usura maggiore e doveva essere cambiato più frequentemente. Sulla diversa durata dei c. d'incudine e di martello si basa il metodo numismatico che ricostruendo il legame dei c. permette di stabilire cronologie di intere serie.Carlo I d'Angiò seguì personalmente la preparazione dei c. dei carlini del 1278: l'orafo Giovanni Fortino, forse già attivo nella zecca di Brindisi, fu chiamato nella nuova zecca istituita a Napoli a lavorare i c. per le nuove monete su un modello proposto dal re stesso, recante al dritto lo scudo partito con le armi di Gerusalemme e di Francia e al rovescio la raffigurazione dell'Annunciazione (la prima moneta gotica 'alla francese' prodotta in Italia). Dopo aver esaminato la prova dei c., re Carlo ordinò che le lettere della leggenda venissero incise con più chiarezza e che i c. fossero allineati a zero gradi così che, ruotando la moneta sull'asse verticale, la punta inferiore dello scudo coincidesse con i piedi della Vergine e dell'angelo sull'altro lato. Un simile accorgimento era generalmente trascurato nelle monete medievali, che presentano rapporti assai variabili tra i due c.; un rapporto fisso come quello voluto da re Carlo per i carlini, e verificato puntualmente sulle monete, poteva essere ottenuto a occhio, magari segnando la posizione corretta sul c. di martello che restava mobile, oppure eventualmente fissando i due c. con due perni; tuttavia quest'ultimo metodo non sembra documentato per il Medioevo occidentale. L'unica fonte che descrive c. legati da perni è il trattato arabo dello yemenita al-Hamdānī, al-Iklīl (sec. 10°), ma le monete arabe di quel tempo presentano rapporti di c. del tutto irregolari.I c. potevano venire ritoccati sia per rinvigorire i tratti usurati sia per adattarli a nuove necessità, come l'aggiunta di una barba su un busto in origine non barbato di alcuni solidi aurei bizantini di Costante II e Giustiniano II (sec. 7°). Per tracciare cerchi si usavano compassi, i cui segni sono spesso visibili sulle monete; per le lettere e i vari particolari si usavano punzoni mobili, la cui impronta poteva essere ritoccata.
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